ROMA – È scomparso a Roma, dove viveva da tempo, il giornalista Oreste Barletta. Di origini siciliane, era nato a Roma il 7 agosto 1938, aveva studiato Giurisprudenza a Catania, poi a Palermo, dove si era laureato nel 1964. Nel 1966 viene assunto come praticante nella redazione centrale del Giornale di Sicilia, a Palermo.
Professionista iscritto all’Ordine del Lazio dal 18 giugno 1968, poi capo servizio, nel 1980 passa al Mattino, come capo servizio; prima nella redazione centrale, a Napoli, quindi, poco dopo, in quella romana, che rappresenterà anche nel Comitato di Redazione, dove diventa vice redattore capo. In pensione dal dicembre 1993, ha quindi collaborato con quotidiani, settimanali, agenzie di stampa e giornali on line (Panorama, Il Secolo XIX, Il Tirreno, La Nuova Sardegna, Aga, Agl, First on line, Europa Marche News).
Professionista serio e scrupoloso, mite e nondimeno scherzoso non solo nella vita privata, ma anche sul lavoro, con grande capacità di sdrammatizzare vicende e tensioni non infrequenti nel mondo giornalistico, Oreste era una delle colonne della mitica Sala Stampa italiana di piazza San Silvestro 13, crogiolo di esperienze, di età, di provenienze geografiche e di idee politiche, dove erano allocate le redazioni romane dei quotidiani italiani. E allora erano tante, prima che la stupidità editoriale (più che altro, del loro management odiatore dei giornalisti, considerati solo un costo ed un impaccio alle loro manovre di abolizione dell’informazione, che è sempre scomoda, da sostituire con marchette pubblicitarie e tanto, tanto gossip, ma anche incapaci dal punto di vista gestionale aziendale, come si è visto coi disastri che hanno combinato) le sopprimesse, condannando i grandi giornali regionali ed interregionali ad una marginalità sempre più accentuata, con penalizzazione soprattutto di quelli del Sud, già pochi ed insistenti in aree particolarmente deboli e con minor lettorato rispetto al Centro-Nord.
Diventammo rapidamente amici, oltre che colleghi. Ci accomunavano anche l’impegno sindacale (io sono stato nel Cdr della Gazzetta del Mezzogiorno dal 1989 al prepensionamento, nel 2012, prima come rappresentante della Romana, poi della redazione centrale; lui in quello del Mattino; e per un certo periodo i due quotidiani, allora di proprietà del Banco di Napoli, sono stati gestiti, male, dalla stessa società editrice) e l’interesse per le questioni ordinistiche e, in generale, del giornalismo come professione, non come “mestiere”. Una tesi che ancora nel principio degli anni ’90 era guardata con sospetto (dagli editori e dal loro funzionariato, ovviamente, ma anche da non pochi giornalisti).
Oreste, che continuava a frequentare la Sala Stampa italiana, anche dopo la pensione, fece parte nel 1996/97 con me, con Mario Petrina, allora presidente dell’Ordine nazionale, con Lorenzo Del Boca, allora vicesegretario nazionale, poi presidente della Federazione Nazionale della Stampa, e con Sandro Cardulli, in anni molto precedenti vicesegretario nazionale della Fnsi, direttore responsabile dell’Unità e segretario dei lavoratori dello spettacolo della Cgil, del gruppo promotore del Comitato per il NO al referendum abrogativo dell’Ordine dei Giornalisti voluto da Pannella (uno degli inconfessati motivi era che l’esistenza dell’Ordine gli creava problemi nel non applicare ai giornalisti di Radio radicale l’allora unico contratto nazionale di lavoro giornalistico). Il nostro invito era a disertare le urne, facendo mancare il quorum. Funzionò. La raffica di referendum con la quale Pannella voleva esautorare il parlamento anche su questioni complesse e molto tecniche, non su grandi questioni di principio, come era stato per il divorzio o l’aborto, si rivelò inefficace. In particolare, il referendum contro i giornalisti vide registrare la minima affluenza alle urne (30%), e persino la massima (sia pure largamente minoritaria) percentuale di no (34,5%).
Oreste diresse anche, designato dall’Ordine nazionale, una delle poche (allora) scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine e che ammetteva i propri iscritti, dopo l’esperienza pionieristica di Milano, agli esami di Stato, ed era stato impegnato, fino a tempi recentissimi, nell’Unione nazionale giornalisti pensionati.
Oreste Barletta lascia la moglie Daria Maffei e i figli Claudio e Massimo. I funerali saranno celebrati a Roma domani, martedì 17 settembre, alle ore 11, nella Chiesa dello Spirito Santo alla Ferratella, in via Cesare Pavese 180 all’Eur. (Giuseppe Mazzarino/giornalistitalia.it)
Che triste notizia. Oreste Barletta, amico affettuoso e caro collega non è più con noi. Siciliano doc, era un giornalista di altri tempi.
Alla fine degli anni ’90 ci siamo rivisti a Roma, all’Ordine di Lungotevere dei Cenci. “Che fai?”, ti chiesi. “Sono in pensione”, mi rispondesti. “Resta un po’ con noi”, ti dissi.
Presidente dell’Odg era l’indimenticato Mario Petrina. Io allora ero il Tesoriere. “Fai il Commissario d’esame”, ti risposi. Petrina non batté ciglio e per sei mesi ci siamo visti ogni giorno. Poi ci siamo persi di vista.
Tante volte ti ho pensato ma… Ora questa triste ed amara notizia. Ciao Oreste, ciao.
Grave perdita per il giornalismo italiano che, mai come oggi, avrebbe bisogno di intelligenze come quella di Oreste. Un uomo autenticamente onesto. Ci mancherà. L’ho conosciuto con la signora Daria tredici anni fa, a Sabaudia, io ero con i miei figlioletti, allora piccolissimi, e ho potuto apprezzarne la straordinaria umanità, sua e della sua signora. Era restato legato al mondo del giornalismo e ne intuiva le problematiche esplose in questa strana e terribile stagione per la professione. Un visionario concreto con un’idea non comune della nostra società e del mondo dell’informazione. Ciao, Oreste. Non ti dimenticheremo.
La mia vita professionale non è stata e non è tuttora una passeggiata, bensì un continuo salto ad ostacoli.
Ma se qualcosa ho imparato alla Scuola di Giornalismo della Luiss, ormai molti anni fa, lo devo soprattutto al dottor Barletta. Il quale, in un mix di ironia e rigore, mi ha insegnato a buttare giù pezzi corretti. Perché se saper scrivere è un dono, a scrivere articoli giornalistici si impara.
“Cerulli, si decida: questo termine o sempre in maiuscolo o sempre in minuscolo. Non può mischiare”. E così via discorrendo. Farsi correggere, pardon, passare un pezzo da lui era un vero spasso: perché con garbo sornione ti evidenziava sbavature o imprecisioni che mai ti saresti sognata.
Ma siccome la revisione era sempre all’insegna del delicato sarcasmo e mai della mortificazione, imparavi. E non te lo scordavi più. Anche perché aveva, ora più che mai lo so, sempre ragione lui.
A leggere quello che circola, anche su grandi testate on line, viene da chiedersi se tutto il nitido rigore che il dottor Barletta, anzi Oreste (ormai ho un’età, sono una collega e posso dargli finalmente del tu) mi ha trasmesso abbia ancora un valore.
E se sia valsa la pena, alla luce delle mie traversie professionali, fare tanta strada, con tanto impegno, per arrivare qua dove sono ora. Ma in fondo non importa, ho avuto ottime basi e queste basi ormai fanno parte di me. Diciamo che le congiunture editoriali hanno giocato a sfavore della mia generazione di cani sciolti. E che se fossi nata quindici anni prima il percorso (il termine carriera ha del chimerico) sarebbe stato un altro.
Io il dottor Barletta, oops Oreste, in tutti questi anni non l’ho mai dimenticato e rimarrà per sempre nel mio cuore di cronista di vane speranze. Col nome scritto ovviamente in maiuscolo.
ORESTE, ti abbraccio forte. Grazie di tutto. Dal Paradiso dei caporedattori suggeriscimi, ogni tanto, l’attacco giusto.
Tua ex allieva Rossella Cerulli