PALERMO – Giornalismo siciliano – e non solo – in lutto per la morte di Mario Lombardo, 83 anni, pubblicista iscritto all’Ordine della Sicilia dal 3 maggio 1967, avvenuta stamani all’Ospedale di Cefalù, dove era ricoverato dai primi di aprile in seguito a una brutta caduta avvenuta di notte a casa sua, sempre nell’amata Cefalù.
In quella casa di famiglia, carica di libri e ricordi, Mario Lombardo trascorreva il tempo del lockdown totale, non senza tristezza, afflitto com’era dal dolore per la recente scomparsa, neppure otto mesi fa, della moglie Salva, compagna di una vita, oltre sessant’anni insieme.
Lutto a cui si aggiungevano gli acciacchi e la clausura forzata che gli impediva qualsiasi contatto coi parenti e con gli amici di sempre. Unico conforto le cure amorevoli e costanti del figlio Vincenzo, anche lui giornalista e consigliere generale dell’Inpgi, mentre la figlia Daniela, gemella di Vincenzo, si trovava bloccata nella sua casa di Parigi in seguito alla chiusura delle frontiere.
Mario Lombardo, storico corrispondente del quotidiano L’Ora di Palermo negli anni ruggenti della direzione di Vittorio Nisticò, e poi collaboratore de La Sicilia di Catania, non è stato solo un giornalista testimone del suo tempo, capace di scrittura autentica in difesa della ragione, della libertà e della giustizia. Laureato in giurisprudenza, procuratore legale dal 1971 e avvocato dal ‘77, aveva preferito poi dedicarsi all’insegnamento proprio per trasmettere ai giovani i valori del suo impegno civile. Perché il paese potesse avere un futuro migliore.
Mario Lombardo era stato tra il 1986 e il 1987 giudice popolare del primo maxi processo a Cosa Nostra. Due anni di impegno culminati nella Camera di Consiglio durata trentasei giorni in totale isolamento all’interno dei locali dell’aula bunker di Palermo.
Fu in quella occasione che lo contattai per la prima volta nella notte del 17 dicembre 1987, subito dopo la lettura della sentenza del Maxi, come lo chiamavamo a Palermo.
Lavoravo al Giornale di Sicilia a quel tempo. E mi era stato affidato il compito di raccontare l’esperienza fuori dall’ordinario dei giudici popolari chiusi per tanto tempo dentro al bunker assieme ai giudici togati, il presidente Alfonso Giordano e il giudice a latere Pietro Grasso. Non esistevano ancora i cellulari all’epoca e i nomi dei giudici popolari, che erano scortati, erano tenuti nel massimo riserbo.
Comunque sia, avendo buone fonti, riuscii a contattarli uno a uno. Non dentro l’aula bunker da dove erano usciti “blindati” subito dopo la lettura della sentenza la sera del 17 dicembre 1987. Ma a casa loro. Nella notte, scusandomi per l’invadenza.
Mario fu cortesissimo, come sempre. Ma anche molto riservato, anche più degli altri giudici popolari, forse proprio perché giornalista.
Quell’esperienza, comunque, lo aveva segnato per sempre. Infatti anni dopo la pubblicò in un libro di memorie con la prefazione dello scrittore Vincenzo Consolo.
Per il suo impegno nella società civile ha ricevuto nel 2016 il premio Francese.
L’ultima occorrenza della sua vita per cui ha dimostrato un interesse autentico è stata la lunga intervista, più di un’ora e mezza, rilasciata alla Rai prima di ammalarsi per ricordare gli anni del Maxi, della lotta alla mafia, di ciò che era stato e aveva significato per lui e per la Sicilia.
A Vincenzo che, nel comunicare la morte, del padre scrive: “Ci hai salutato lasciandoci i tuoi valori, i tuoi insegnamenti, il tuo stile, la tua correttezza, l’impegno per lo Stato, un carico di esempi da portare avanti”, le più affettuose condoglianze del direttore, della redazione di Giornalisti Italia, e dei colleghi di Stampa Libera e Indipendente. (giornalistitalia.it)
Maria Pia Farinella