LENOX (Usa) – Il fotografo statunitense Clemens Kalischer, celebrato fotoreporter di intensi ritratti, è morto venerdì scorso a Lenox, nel Massachusetts, all’età di 97 anni. Lo ha annunciato oggi la famiglia.
Tra i suoi lavori più importanti, spicca il reportage “Displaced persons”, che propone una carrellata di volti delle persone arrivate negli Usa dopo essere sopravvissute all’Olocausto.
Nato a Lindau, in Germania, il 30 marzo 1921, da una famiglia ebrea emigrò in Francia, con la famiglia, attraverso la Svizzera (1933). Arrestato nel 1939 in Francia, sopravvisse a quasi tre anni di lavori forzati nei lager nazisti e poi riuscì a rifugiarsi negli Stati Uniti attraverso il Marocco (1942).
Kalischer ha lavorato come fotografo freelance per le più importanti riviste americane, tra cui Life, Newsweek, Time, The New York Time Magazine ed anche con il Saturday Evening Post. Alcune sue fotografie sono in mostra permanente presso il Brooklyn Museum, il Museum of Moder, il Metropolitan Museum, l’International Center of Photography di New York, il Diaspora Museum di Tel Aviv e il Bayerisches Museum di Monaco.
Kalischer era legato all’Italia, in particolare alla provincia di Cuneo, dove arrivò nel 1963, visitando la Valle Grana per caso, durata una vacanza a bordo del suo furgone con la moglie e la figlia: realizzò una serie di fotografie dei paesi della valle e dei suoi abitanti, un reportage di un mondo che stava per scomparire irrimediabilmente per sempre.
Al ritorno negli Stati Uniti, quelle fotografie vennero presentate alla rivista Life per la pubblicazione, ma poi Kalischer decise di non pubblicarle per non dover rivelare le indicazioni geografiche di quel luogo ancora sconosciuto al grande pubblico, e difendere così l’unicità di un mondo rimasto ancora isolato e intatto.
Le immagini furono portate in Italia a metà degli anni ’90 per apparire in una mostra nel 1996 al Museo Nazionale della Montagna di Torino e poi pubblicate nel libro “La montagna dell’esodo” a cura di Aldo Audisio e Mario Cordero. (adnkronos)
Costretto dai nazisti ai lavori forzati, immortalò i volti dei sopravvissuti all’Olocausto