ROMA – Il giornalismo italiano perde uno dei suoi protagonisti più genuini. Gianni Minà, un genio dal cuore immenso, sempre al fianco dei più deboli del pianeta. A darne l’annuncio è stata stasera la famiglia sul suo profilo Facebook: «Gianni Miná ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari. Un ringraziamento speciale va al Prof. Fioranelli e allo staff della clinica Villa del Rosario che ci hanno dato la libertà di dirgli addio con serenità».
Nato a Torino il 17 maggio 1938, Giovanni Minà era giornalista professionista iscritto all‘Ordine del Lazio dal 12 gennaio 1963. Ha girato film documentari su Che Guevara, Muhammad Ali, Fidel Castro, Rigoberta Menchú, Silvia Baraldini, il subcomandante Marcos, Diego Armando Maradona.
Cominciò nel 1959 a Tuttosport, il quotidiano di Torino che ha diretto dal 1996 al 1998. Nel 1960 le prime esperienze in Rai come collaboratore dei servizi sportivi alle Olimpiadi di Roma. Nel 1965 a Sprint con Maurizio Barendson inaugurò la stagione dei reportage che hanno evoluto il linguaggio giornalistico della televisione, ma soprattutto cominciò a spaziare a 360 gradi in tutti i settori della professione. Dallo sport alla politica, alla musica. Ha seguito otto mondiali di calcio, sette olimpiadi, decine di campionati mondiali di pugilato.
Tra i fondatori dell’Altra domenica con Maurizio Barendson e Renzo Arbore, è stato assunto in Rai nel 1976 dopo 17 anni di precariato. A firmare la lettera l’allora direttore del Tg2 Andrea Barbato che gli affidò il compito di raccontare non solo la grande boxe e l’America dello show-business, ma soprattutto i conflitti sociali delle minoranze. Una carriera epica la sua. Nel 1978, inviato ai Mondiali di calcio 1978, venne ammonito e poi espulso dall’Argentina per aver “osato” fare domande sui desaparecidos al capitano Carlos Alberto Lacoste durante una conferenza stampa.
Nel 1981 il presidente Sandro Pertini gli consegnò il Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo dell’anno e nel 1987 riuscì ad intervistare per ben 16 ore il presidente cubano Fidel Castro che raccontò l’epopea di Che Guevara. E Fidel lo intervistò anche nel 1990 prima di dare alle stampe un libro con le prefazioni di Gabriel García Márquez e Jorge Amado.
Fra i documentari più famosi quelli su Nereo Rocco, Diego Maradona e Michel Platini, Ronaldo, Carlos Monzón, Nino Benvenuti, Edwin Moses, Tommie Smith, Lee Evans, Pietro Mennea e Muhammad Ali. Impossibile fare un elenco completo delle opere e dei personaggi intervistati in tutto il mondo: dal Premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú ai più disperati. Dopo aver collaborato alla realizzazione del film “I diari della motocicletta” diretto da Walter Salles e prodotto da Robert Redford e Michael Nozik, ha diretto il lungometraggio “In viaggio con Che Guevara”, ripercorrendo con l’ottantenne Alberto Granado quell’avventura mitica.
Per anni ha collaborato con i quotidiani la Repubblica, l’Unità, Corriere della Sera e il manifesto; dal 1996 al 1998 ha realizzato il programma televisivo Storie; ha scritto numerosi libri di successo tra i quali “Politicamente scorretto, un giornalista fuori dal coro” (Sperling & Kupfer), un saggio di controinformazione sugli avvenimenti più diversi e controversi dei primi anni del terzo millennio. Nel 2007 il suo Maradona, non sarò mai un uomo comune, la storia del mitico calciatore argentino in 10 DVD con 1 milione e 200 mila copie ha registrato il record di vendite negli ultimi dieci anni.
Innamorato di Napoli, che gli ha conferito la cittadinanza onoraria, ha definito la città «la fabbrica di tutto quello che io ho amato nei miei anni di giornalismo. Ho sessanta anni di mestiere, ho visto passare tante cose e dirne altrettante. Ho nostalgia dell’epoca in cui mi alzavo, tiravo su la cornetta del telefono e raccontavo qualche cosa che Massimo Troisi avrebbe banalizzato facendo ridere la gente. Nel mio mestiere ho cercato di avere sempre rispetto umano, curiosità e passione. Forse per questo sono stato epurato e sono andato in America a far delle cose con Robert Redford».
«Con Maradona – ha raccontato Minà – ho dovuto fare un grosso lavoro di conoscenza perché lui ha molti difetti, però è una persona leale. Ma se tu giornalista fai uscire di lui l’immagine di una persona di mezzo, senza spina dorsale, non hai fatto un buon lavoro».
I suoi due più grandi amori, Cuba e Napoli, sono il suo testamento: «Fidel Castro è un personaggio della storia anche se i nostri governanti spesso lo dimenticano. Cuba è ancora lì, è morto il Comunismo, è morto il Capitalismo, e Cuba è ancora lì. Vuol dire che non è tanto male questo regime come viene detto. E trovo pericoloso che il presidente degli Usa vada a dettare la linea a Londra. Essere napoletano, invece, significa sapere che ci sarà sempre qualcuno che avrà solidarietà per te». (giornalistitalia.it)