L’AVANA (Cuba) – È stato uno dei principali e controversi personaggi politici della seconda metà del ventesimo secolo, simbolo della lotta antimperialista. “Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà”, disse durante il processo per l’assalto alla Moncada, evento fallimentare, ma che sarà ricordato come l’inizio della rivoluzione cubana. Una rivoluzione capace di resistere agli Stati Uniti, alla dissoluzione dell’impero sovietico, all’isolamento, su cui un giudizio unanime non sarà mai possibile.
Fidel Castro, del quale il fratello Raul ha annunciato oggi la morte (“Hasta la victoria siempre” ha detto, commosso, in tv, ndr), nacque il 13 agosto 1926 a Biràn, un villaggio cubano nella provincia meridionale di Holguin, dove il padre possedeva 23.000 acri di piantagioni. Dopo aver studiato a Santiago di Cuba si trasferì all’Avana, dove frequentò un esclusivo collegio gesuita, dal 1941 al 1945, per poi iscriversi alla facoltà di Diritto.
All’università aderì alla lotta antimperialista, convinto del ruolo opprimente degli Stati Uniti sul destino di Cuba, schierandosi apertamente contro il presidente cubano, Ramon Grau. Nel 1948, sposò Mirta Diaz-Balart. Agli inizi degli anni ’50 cominciò la sua battaglia contro il generale Fulgencio Batista, tornato a guidare il Paese con un colpo di Stato.
Castro organizzò un assalto armato alla caserma della Moncada, il 26 luglio 1953, che si concluse in modo drammatico: più di 80 assalitori furono uccisi, mentre Castro, fatto prigioniero, fu processato e condannato a 15 anni di prigione. Rilasciato grazie a un’amnistia generale nel maggio del 1955, andò in esilio in Messico e Stati Uniti.
Castro, però, non aveva intenzione di rinunciare alla lotta per Cuba. Insieme ad altri 81 rivoluzionari, tra i quali Che Guevara, raggiunse clandestinamente Cuba, dal Messico, a bordo dello yacht Granma. Dopo due anni di guerriglia, le forze di Castro entrarono trionfalmente all’Avana il giorno di Capodanno (1959) dopo la fuga di Batista e Fidel assunse la carica di primo ministro, ricoperta per decenni insieme a quelle di capo delle forze armate e primo segretario del Partito comunista cubano.
Castro provò subito ad affrontare i gravi problemi di Cuba con una serie di drastici provvedimenti, come le espropriazioni, che colpirono anche gli interessi degli Stati Uniti. Dal punto di vista sociale, famosa fu la sua campagna per l’alfabetizzazione, soprattutto nelle zone rurali. La tensione tra Cuba e Stati Uniti crebbe in poco tempo, raggiungendo il suo culmine con il fallimentare tentativo statunitense di rovesciare il governo rivoluzionario, con lo sbarco di dissidenti addestrati e finanziati dalla Cia nella Baia dei Porci, il 17 aprile 1961.
Quest’operazione spinse Castro sempre più vicino all’Unione Sovietica. Dopo la crisi internazionale dell’ottobre 1962, conclusasi con il ritiro da Cuba dei missili sovietici e l’impegno statunitense a non aggredire l’isola, Castro perseguì una politica di relativa autonomia dall’Urss, orientata in senso terzomondista.
Dopo il varo dalla nuova Costituzione cubana (febbraio 1976), Castro fu eletto presidente del Consiglio di Stato (capo dello Stato), carica che si aggiunse alle altre. Dopo lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, suo principale partner economico, Castro si trovò sempre più isolato in seno alla comunità internazionale.
Nonostante l’introduzione di parziali riforme economiche e politiche, Castro continuò a rivendicare la sua fedeltà ai principi comunisti. Nel febbraio 2008, il Lider maximo si dimise dalle cariche ricoperte per quasi mezzo secolo, lasciando la guida del Paese al fratello Raúl, che già lo aveva sostituito pro tempore nell’estate 2006 per i suoi problemi di salute. Il 19 aprile 2011, in occasione del congresso del Partito comunista cubano, Fidel Castro si dimise anche dalla carica di Primo segretario del partito, l’ultima che deteneva ufficialmente. (askanews)
La svolta con Wojtyla grazie a Navarro Valls
CITTA’ DEL VATICANO – Tra le persone che hanno più efficacemente lavorato per l’apertura di Cuba al mondo e alla Chiesa Cattolica va ricordato anche lo storico portavoce di Wojtyla, Joaquin Navarro-Valls, che San Giovanni Paolo II inviò in avanscoperta a Cuba prima del suo storico viaggio del 1998, che proprio grazie al lavoro paziente di Navarro fu un grandioso successo e poté segnare la storia non solo dell’America e della Chiesa cattolica, ma del mondo intero. Un incontro che cambiò Fidel per sempre. Tanto che nel 2012 quando incontrò Benedetto XVI nell a nunziatura dell’Avana, il lider maximo volle ringraziarlo per aver beatificato il predecessore oggi (grazie a Francesco) San Giovanni Paolo II (e Madre Teresa, amica e ponte tra i due).
Ricorda George Weigel, biografo ufficiale del Papa polacco, che quando il portavoce del pontefice, Joaquin Navarro-Valls, si recò a Cuba nell’ottobre 1997 , a tre mesi dalla data prevista per l’arrivo del Papa, Castro gli chiese immediatamente: “Mi dica del Papa”. Navarro-Valls rispose: “Signor presidente, la invidio”. “Perché ?”. “Perché il Papa prega per lei ogni giorno, prega affinché un uomo della sua formazione possa ritrovare la via del Signore”. E il comandante Castro, per una volta, rimase in silenzio.
Al momento di entrare nel merito del viaggio papale, Navarro-Valls fu molto esplicito. “Signor presidente, il Santo Padre verrà a Cuba il 21 gennaio. Non si tratta più di un’eventualità, ma di un dato di fatto. È interesse di Cuba che la visita si riveli un grande successo. Cuba deve sorprendere il mondo”. Castro si disse d’accordo, soprattutto sull’idea di “sorprendere il mondo”.
A quel punto Navarro-Valls spiegò che tipo di sorprese avesse in mente e chiese a Castro che il Natale del 1997 fosse celebrato a Cuba come una festività ufficiale per la prima volta dall’inizio della rivoluzione. Castro rispose che ciò sarebbe stato molto difficile perché la ricorrenza cadeva nel pieno del raccolto della canna da zucchero. Navarro-Valls replicò: “Ma il Santo Padre vorrebbe poterla ringraziare pubblicamente per questo gesto già al suo arrivo all’aeroporto dell’Avana…”.
Castro finì per accondiscendere aggiungendo: “Ma potrebbe essere soltanto per quest’anno”. Al che Navarro replicò: “Benissimo, il Papa gliene sarà grato. E quanto all’anno prossimo, si vedrà”.
Il colloquio si concluse alle 2,45 del mattino. Il leader cubano accompagnò Navarro-Valls all’automobile, fra scambi di battute e ricordi dell’incontro con il Santo Padre a Roma. Era stata, avrebbe detto Castro, come una riunione di famiglia.
Nel 1988, il cardinale newyorchese John O’Connor – ricostruisce ancora George Weigel – si era recato all’Avana. Entrando nella cattedrale per celebrarvi una messa serale, fu accolto da uno scroscio di applausi e bombardato di piccoli bigliettini sui quali erano scritti alcuni nomi di prigionieri politici. O’Connor consegnò i nominativi a Castro in occasione del loro incontro, durato quattro ore, dalle 23,30 alle 3,30, in ossequio alle abitudini nottambule di Fidel Castro, sperimentate anche da Navarro.
Il cardinale newyorchese, preparato a dare il meglio di sé in quel colloquio con il volubile Castro, riuscì evidentemente a colpire il leader cubano.
Il cardinale Roger Etchegaray, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, durante un’altra visita all’Avana, sempre nel 1988, alluse alla possibilità di un pellegrinaggio papale a Cuba. Ne seguì un invito formale da parte dei vescovi cubani. Il balletto fra Roma e L’Avana poteva cominciare. E durò un decennio.
Il Papa mandava ufficiosamente sull’isola dei delegati personali, fra i quali spiccava il cardinale di Boston, Bernard Law. E Castro li riceveva. L’arcivescovo Jean-Louis Tauran, ministro degli Esteri del Vaticano, soggiornò a Cuba dal 25 al 28 ottobre 1996. Castro lo costrinse ad attenderlo sino a mezzanotte e poi gli inflisse un’arringa di tre ore, ma il dialogo era ufficialmente stabilito.
Il mese successivo, Castro partecipò al Vertice mondiale sull’alimentazione a Roma e, il 19 novembre, fu ricevuto da Giovanni Paolo II in udienza privata. Durante l’incontro egli invitò formalmente il Papa a Cuba. (agi)