COSENZA – Enzo Cuccaro era uno di noi. Forse, ancora di più. Enzo era tutti noi insieme, uno dei tanti “Ragazzi di Via Montesanto” che da bambino non aveva fatto altro che sognare di fare informazione per tutta la vita. Un sogno che Enzo aveva realizzato fino in fondo, ma proprio per questo, lui oggi, può considerarsi, e senza nessuna ombra di dubbio, un tassello fondamentale di quel grande puzzle che è la storia affascinante della Sede Rai della Calabria.
Per più di 30 anni Enzo è stato testimone privilegiato, e di primissimo piano, di quello che poi, col tempo, sarebbe diventato anche il grande successo della TGR, la Testata Giornalista Regionale, che Enzo aveva visto nascere nel 1979 nella vecchia sede di Via Montesanto a Cosenza, e che da quel momento in poi avrebbe soprattutto visto crescere a dismisura, perché questo è il vero dato storico della TGR, Testata Giornalistica ed esperienza professionale che ha scandito anche la sua vita personale e privata, per 36 lunghi anni di impegno quotidiano, giorno per giorno, senza mai una sosta o una pausa.
Persino a Roma, che a volte sembra essere così lontana dalla Calabria, sanno che Enzo era uno di quello che non si fermava mai, un dipendente RAI che non conosceva cosa fossero le pause di lavoro, che non diceva mai di no a nessuno, e quando uno dei suoi superiori gli chiedeva un impegno straordinario e diverso dal solito non si tirava mai indietro. Aveva una disponibilità umana inimmaginabile, e con i suoi compagni di lavoro riusciva a costruire un rapporto personale che andava oltre l’orario di lavoro.
“Romanaccio” dalla testa ai piedi, con questa sua passione sfrenata per Carlo Verdone di cui conosceva a memoria battute e cadenze, con questa suo scioglilingua volutamente dialettale che ci riportava tutti lungo il Tevere, dove da ragazzo aveva a lungo vissuto, eterno ed instancabile compagnone, goliardico fino all’eccesso, entusiasta, carico di vita e di sogni come nessun altro.
Enzo, ricordo, era sempre pronto a partire, o a ripartire da dove si era fermato il giorno prima. Sembrava un inviato speciale come tanti di noi, cronista di razza, educato a vivere giorno per giorno sulla notizia, con la valigia sempre pronta dietro la porta di casa per un nuovo viaggio, il passaporto mai scaduto, i documenti sempre apposto, gli appunti di lingua inglese nella borsa, i suoi romanzi preferiti, i suoi testi universitari, e soprattutto una voglia di fare e di correre che era decisamente fuori dal normale. Enzo era davvero una roccia. Sembrava fosse un uomo indistruttibile, baciato dal destino, destinato ad invecchiare molto a lungo, tanto era grande la sua gioia di vivere e la sua carica positiva.
Quante litigate in redazione! Ricordo che come tutti i protagonisti del nostro “piccolo mondo antico”, Enzo doveva dire la sua fino alla fine, e che come tutti i testimoni del suo mondo e del suo tempo non amava mai essere contraddetto.
Quante litigate! A volte anche furiose, ma questo era il suo carattere. Prendere o lasciare, non c’era altro da fare. Alla fine poi, diventata un militare, e rispettava le indicazioni assegnategli come nessun altro al mondo, ubbidendo a delle decisioni che molte volte non condivideva, e te lo diceva anche sbattendoti in faccia la sua alterigia culturale, questa sua straordinaria capacità di comunicare le sue idee, questa sua cocciutaggine filosofica che ne faceva un personaggio singolare, legata ad un carattere forte, volitivo, avvolgente, mai rissoso, e mai arrendevole.
Che meraviglia di uomo! Per i “Ragazzi di Via Montesanto” Enzo è stato soprattutto uno straordinario compagno di lavoro, leale fino in fondo, passionale come una donna follemente innamorata del suo maschio, incapace di sottrarsi alle sue responsabilità, una ruspa vera e propria.
È stato un grande privilegio poter lavorare con lui per più di 30 anni, ma credo lo sia stato per moltissimi altri di noi che in quegli anni crescevano con lui. Non solo per me. Quando io arrivai in Rai a Cosenza, nel maggio del 1982, lui c’era già, e anche se ancora molto giovane ricordo che era già allora un numero uno.
In Azienda, il suo ruolo formale era quello di specializzato di ripresa, che tradotto in parole povere per noi uomini della Rai significa tutto e il contrario di tutto. Tecnico di altissima formazione, capace di usare e dosare il registratore audio in maniera incomparabile, geniale direttore della fotografia, capace di sistemare da solo un intero parco lampade al punto giusto, ma capace anche, ricordo, di montare e smontare una scenografia nel giro di poche ore, eternamente affascinato e preso dalla macchina da presa, con questa telecamera che si portava a tracolla con una fierezza tutta sua. Enzo era uno di quelli che ci aiutava a risolvere in un batter d’occhio mille problemi tecnici diversi, soprattutto sulle dirette live che allora si incominciavano a fare in ogni angolo della regione, perché conosceva il pullman satellitare che ci era stato assegnato come le sue tasche.
Lui lo chiamava “Il mio Ita”: quel pullman era per lui un pezzo mobile del suo corpo. Non c’è “diretta storica” della Sede Rai della Calabria che non lo abbia visto protagonista diretto, non c’è sequestro di persona che lui e Gregorio non abbiano vissuto in prima fila, non c’è Capo dello Stato che lui non abbia avvicinato per coglierne voce e reazioni, non c’è fatto di cronaca, nera o bianca, che non potesse raccontare agli altri, avendo vissuto insieme a tutti noi la trasformazione di questa regione da una postazione assolutamente privilegiata.
Per un momento ho immaginato che sarebbe stato molto bello poter sistemare, nel giorno del suo funerale, il “suo” ITA91 davanti alla Chiesa di Amendolara, dove sono stati celebrati i suoi funerali, magari davanti allo stesso carro funebre che da lì a poco lo avrebbe portato via per sempre. Lui, ne sono certo, si sarebbe sentito orgoglioso, perché in realtà su quel “mezzo meccanico” Enzo ha trascorso più tempo di quanto non abbia vissuto a casa sua con la sua famiglia.
La cosa che più mi commuove oggi è il doverlo immaginare gravemente ammalato e disteso inerme su un divano, così come hanno avuto la fortuna di vederlo poco prima che se ne andasse Edoardo e Ciccio, ormai completamente senza forze, incapace anche di parlare e di sorridere, irrimediabilmente devastato da un cancro al pancreas che in due mesi se lo è portato via.
Se ne era andato in pensione appena un anno prima, e se ne era andato via dalla Rai con la malinconia struggente di chi era perfettamente cosciente di aver concluso un percorso fondamentale della sua vita, ma la Rai era la sua vita, e lui avrebbe anche pagato di tasca sua chissà che cosa pur di restarci ancora un pò. Un anno fa si sentiva ancora abbastanza forte per proseguire nel suo lavoro, e ogni qualvolta mi capitava di parlare con lui del “giorno della pensione” mi diceva sempre di “temere quel momento”, perché temeva che la sua vita si sarebbe davvero fermata per sempre. Ma lui, come tanti di noi, ha sempre immaginato che la linea di demarcazione tra vita privata e vita professionale fosse davvero labilissima, e che una volta chiuso definitivamente per sempre il capitolo del lavoro si sarebbe fermata anche la sua fantasia e la sua intelligenza.
Ai figli Antonio e Francesco, di cui Enzo in regia ci ha parlato per anni e con un’ossessione che dava il senso di un “amore dichiarato e infinito”, devo una testimonianza privata che spero possa far tornare loro il sorriso, anche se per una sola frazione di secondo: eravamo in Francia ai piedi dei Pirenei. Io, lui e Cesare eravamo arrivati fino ad Angoulême per raccontare la storia dell’ultimo miracolato di Lourdes, e mentre io e Cesare ragionavamo sulle domande da fare a questo francese minuto e passato alla storia per essere stato “miracolato” dalla Madonna, lui invece era tutto preso ad organizzare per noi una cena molto speciale dal Mac Donald che stava proprio di fronte alla Grande Spianata.
Ha vinto lui. Finita la nostra intervista, siamo finiti di corsa dal vecchio Mac per il solito menu di hamburger e caesar salade, con tanto di coca cola ghiacciata. Allora non c’era ancora la coca zero. Ma era questa la nostra vita comune, allora. (giornalistitalia.it)
Pino Nano
Grazie Pino per questo tuo ricordo di Enzo scritto con il cuore. Non c’è nulla da aggiungere. Grazie, un abbraccio.
Caro Pino, che dire? Qualcuno in Rai aveva anche accennato all’idea di portare l’ITA 91 ad Amendolara, ma non si e trovato chi lo guidasse… Comunque, grazie per le belle e commoventi parole. Lui da lassù se la starà ridendo di gusto.
Pino, chi come me ha assistito alla sua assunzione nel 1979 e lo ha conosciuto da subito come gioviale e sorridente romanaccio piange per la sua immatura scomparsa. Forse pochi come lui hanno amato la Rai, alla quale ha dedicato quotidianamente la simpatia della sua fattiva presenza operativa.
Lo ricorderemo sempre con l’affetto meritato. Ciao, Enzo.