ROMA – «Ci ha lasciati Enrico Fierro, cronista instancabile, sempre in trincea per cambiare il mondo con la cronaca. Quando qualcuno se ne va così, con mille sigarette di troppo e nessuna cura di sé, viene quasi da rimproverarlo. Ma di fronte a chi sceglie non solo come vivere, ma anche come morire si può solo provare rispetto. E Fierro ha vissuto, ed è morto, da giornalista». Stefano Feltri, direttore del Domani, annuncia così la scomparsa di uno dei suoi cronisti migliori: Enrico Fierro, morto in ospedale a Roma dopo una malattia “breve e feroce”.
Aveva 69 anni e – sottolinea Feltri – «avrebbe potuto curarsi, fare qualche esame per tempo, e forse oggi, chissà, non mi troverei a scrivere queste righe. E invece che vedere i medici, ha passato l’estate a portare in giro per l’Italia uno spettacolo sulla vicenda di Mimmo Lucano, Riace Social Blues, con Cosimo Damiano Damato e Lucia Scarabino. Quando è arrivata la condanna di Lucano a 13 anni di carcere, Fierro era già in ospedale e non ha potuto scriverne per Domani, lui che, praticamente da solo nella stampa nazionale, aveva seguito quel processo assurdo con la dedizione di un giovane cronista anche in questa sua ultima avventura professionale, tra le pagine di Domani. Perché Fierro credeva davvero che raccontare le cose serva a cambiarle. Un atto civile, molto più che un lavoro».
Nato ad Avellino il 23 novembre 1951, Enrico Fierro era giornalista professionista iscritto all’Ordine del Lazio dall’8 aprile 1992. Dopo la stagione dell’impegno politico militante nel Pci, è stato sindacalista, quindi giornalista. Approdato nella redazione del quotidiano l’Unità, aveva raggiunto la qualifica di inviato speciale. Poi una lunga esperienza al Fatto. E, un anno fa, il passaggio al Domani. Nel corso della sua carriera ha collaborato con La Voce della Campania, Dossier Sud, L’Espresso, Epoca. Per la pubblicazione del volume “La santa. Viaggio nella ’Ndrangheta sconosciuta”, assieme a Ruben H. Oliva, ha ricevuto il Premio “Globo d’Oro” 2007-2008, il Premio “Paolo Borsellino” 2007 e il Premio “Itaca” 2008. Ha, inoltre, scritto con Rita Pennarola e Andrea Cinquegrani “Dieci anni di potere e terremoto” (1990) e “O ministro. La Pomicino story” (1991). Ed ancora: “E adesso ammazzateci tutti” (2005) e “Ammazzàti l’onorevole” (2007) e per il teatro curato testo e regia di “O cu nui o cu iddi” con Laura Aprati.
Autore di libri e documentari per la televisione, ha raccontato guerre e attentati brigatisti, congressi di partito e terremoti, guardando sempre con attenzione al Meridione e ai suoi problemi.
«Era in ospedale, Enrico, ma da lì ha firmato, con Cosimo Damiano Damato, un articolo che condensava il loro spettacolo e difendeva Lucano. Perché – spiega ancora il direttore del Domani – oltre all’amore della figlia Rossella e degli altri quattro figli, forse l’unica cosa che poteva farlo stare meglio anche nelle condizioni terribili in cui si trovava era sapere che combatteva un po’ anche da lì, da un letto nel quale aspettava diagnosi sempre peggiori.
Quando qualcuno muore così, con mille sigarette di troppo e nessuna delle accortezze che poteva seguire per proteggersi, viene quasi da rimproverarlo, da arrabbiarsi per come ci ha lasciato quasi per un capriccio, per il rifiuto di seguire raccomandazioni responsabili.
Ma di fronte a chi sceglie non solo come vivere, ma anche come morire si può solo avere rispetto: Enrico non avrebbe mai concepito di concludere una vita sana, morigerata e passiva rispetto a quello che gli succedeva intorno».
«Le vite dei giornalisti – sottolinea Stefano Feltri – spesso si consumano con la stessa rapidità dei loro articoli. Quella di Enrico ha lasciato invece una traccia indelebile, perché ha fissato uno standard etico e morale per tutti noi che abbiamo condiviso un pezzo, breve o lungo, della sua storia umana e professionale. Se per lui il giornalismo era questo sforzo civile costante, disperato ed eroico, com’è possibile che per qualcuno sia soltanto un lavoro per pagare il mutuo o guadagnare qualche follower?». (giornalistitalia.it)