MILANO – Carriera da giornalista molto particolare, quasi specialistica, quella di Carlo Forquet. Praticamente tutta trascorsa a San Patrignano: nel Giornale che diresse a lungo, prima di tutto, nelle tante attività e iniziative di comunicazione e informazione della Comunità, nelle molteplici collaborazioni che intesse con altri media. Sempre con un chiaro obiettivo, coerente alla mission di Sanpa e alle sue profonde convinzioni personali: fornire un’informazione sulle droghe scevra da pregiudizi, basata sui dati reali e sulle esperienze vissute, che mostrasse la faccia drammatica degli abusi, delle dipendenze e dei comportamenti a rischio. In primis attraverso le facce delle vittime, coloro che fanno uso di sostanze, che “si fanno”, e le loro famiglie.
Fare il giornalista su questo tema e in questo modo – controcorrente, scomodo – per Carlo era del resto naturale. Nelle possenti quanto accoglienti braccia di Vincenzo Muccioli lui non c’era finito da cronista (come capitò tanti anni dopo a me), lui a San Patrignano ci era entrato da “tossico”. Figlio di quegli anni in cui il mondo della droga era quello del buco, dell’eroina sparata in vena, tagliata schifosamente, dello scambio di siringhe infette, delle overdosi, dei ragazzi che finivano le loro esistenze appoggiati a un albero, con l’ago infilato nel braccio.
Carlo se n’è andato da pochissimo, troppo giovane, dopo una lunga malattia a decorso progressivo e irreversibile, che gli aveva reso sempre più complicata qualunque azione quotidiana. Fino a fargli passare gli ultimi mesi in condizioni di totale non autosufficienza e gli ultimi giorni in uno stato che Alda Ferraresi – la moglie, l’unica persona che con le norme anti-Coronavirus ha potuto stargli accanto – ha definito senza mezzi termini una “tortura”. Del resto ricordo bene anch’io, nei nostri purtroppo pochi ultimi incontri e conversazioni, la sua progressiva difficoltà di camminare e parlare. Per quanto, probabilmente, la menomazione che lo ha fatto soffrire di più è stata quella di non poter lavorare, scrivere, leggere come aveva sempre fatto.
Una volta uscito dalla Comunità e dal Giornale che erano stati la sua vita professionale e umana per decenni, era tornato a Milano, dove era nato il 12 ottobre 1957, e il 1° luglio 2017 aveva ottenuto la pensione, grazie anche al generoso interessamento di Franco Abruzzo. Ma il non poter continuare per lo meno qualche collaborazione gli era insopportabile: ritrovarsi in età matura “fuori dal giro” è già difficile per chiunque faccia il nostro mestiere, figuriamoci per chi ha difficoltà di vista o nel pigiare su una tastiera.
Oltre che un grande dolore, per noi che gli abbiamo voluto bene, la malattia prima e la morte di Carlo poi sono una mancanza oggettiva per tutta la nostra categoria professionale. Perché Carlo Forquet è stato un grande giornalista (era professionista iscritto all’Ordine della Lombardia dal 10 marzo 1997): non solo per quello che scriveva – editoriali, interviste, reportage, libri – ma soprattutto per la capacità e la vocazione di trasmettere le sue competenze e la sua passione agli altri. Ha contribuito a formare molti colleghi, è stato un maestro nel senso più vero della parola, quello che include l’umiltà di non salire mai in cattedra.
Lavorare con lui era una piacevole, affettuosa abitudine. Sentirsi e vedersi regolarmente – preferibilmente a cena, meglio se a “Vite”, lo splendido ristorante di Sanpa – per creare e smontare il timone del Giornale di San Patrignano, inserire e “passare” i pezzi dei collaboratori e dei redattori, seguire la linea editoriale che lui – tenendo il baricentro sulla “droga” – aveva voluto allargare al mondo giovanile, dei disagi e del sociale, nella consapevolezza che il mondo, anche questo mondo, stava cambiando.
La droga dei suoi tempi, “alternativa” e di “contestazione” al “sistema”, non a caso spesso accompagnata a posizioni o militanze politiche anche estreme, stava man mano diventando “compatibile”: il tiro di coca alto-borghese per tenere su serate e week end, la “canna” assunta come rito rilassante, con la convinzione che tanto sia più o meno una qualunque sigaretta (come se la nicotina non fosse nocivissima), la “pasta” comprata per pochi euro da calarsi in discoteca, lo sballo con il “botellon” di pessimo alcool…
Quante notizie, quante informazioni, quanti chiarimenti c’erano da dare. Il poliabuso, l’età sempre più giovanile di prima assunzione, la quantità sempre più alta di principio attivo (thc) degli spinelli, l’assurdità anacronistica di proseguire la vieta polemica della legalizzazione o liberalizzazione e quella sulla presunta distinzione tra sostanze “leggere” e “pesanti”, il numero enorme di vittime delle sostanze nascosto sotto quelle degli incidenti stradali, sul lavoro, degli infarti… Il far capire che il narcotraffico è prima di tutto un mercato che, come tutti i mercati, cerca di vendere variegando l’offerta, diminuendo i prezzi e aumentando l’efficacia dei prodotti.
Se non ci fosse stato Carlo Forquet oggi molti meno giornalisti, e quindi molti meno cittadini, avrebbero chiari almeno in parte questi concetti; e se oggi il fronte mediatico che lancia l’allarme su questa tragedia si è ampliato è anche merito suo. Per quanto la vera e propria epidemia sociale e sanitaria (per usare una metafora di stringente attualità) di dipendenze, abusi e comportamenti a rischio sia ancora in gran parte sottaciuta, lasciata alla scoperta basita delle famiglie e delle scuole dove capita il “caso”, relegata nel titolo di cronaca che segnala l’ennesimo morto. Sì, perché di droga si muore ancora, moltissimo.
La scomparsa di Carlo Forquet peserà sul giornalismo e sulla consapevolezza sociale di queste problematiche. E peserà come un macigno, umanamente, sugli amici e sui famigliari: la mamma, il fratello Sergio, Alda e la figlia Francesca che, giovanissima, lo aveva reso nonno dell’adorato Joel. Una delle ultime grandi gioie della sua vita l’ha goduta quando tutti e quattro si erano potuti riunire in California, la scorsa estate. Non ha avuto una vita facile: la sua salute è stata sempre precaria, stretta tra i postumi della sua gioventù scapestrata e la malattia che ce lo ha strappato precocemente; ha subito lutti e problemi famigliari; a San Patrignano ha attraversato i travagliati passaggi gestionali da Vincenzo ad Andrea Muccioli e poi a Letizia e Gianmarco Moratti. Ci ha sicuramente dato molto più di quanto abbia ricevuto. (giornalistitalia.it)
Marco Ferrazzoli
Una perdita, oltre che molto dolorosa, molto grave… “un imperdibile “ giornalista.
Ciao Carlo, amico mio, hai dato tanto aiuto e amore, quello che ci hai insegnato ci accompagnerà per sempre… Lassù c’e chi ti accolse a braccia aperte, Vincenzo, da poco raggiunto anche da Antonietta. Ciao Carlo.
…un alto modello positivo di riscatto esistenziale, accompagnato sempre da educazione e senso di apprendimento della vita è rispetto verso gli altri, grazie Carlo Forquet, un incontro importante nel percorso della vita…
Pur non avendolo conosciuto di persona, leggendo quanto sopra riportato, credo davvero che Carlo sia stato una persona nobile e di spessore. Ogni morte è sempre una perdita per l’umanità.