ROMA – “A futura memoria”. Si conclude così l’amara premessa di Luciana Alpi al libro “Esecuzione con depistaggi di Stato”, in distribuzione per Kaos edizioni, sintesi degli oltre ventitré anni trascorsi senza una verità sul duplice omicidio di due cittadini italiani in Somalia, la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e l’operatore tv Miran Hrovatin.
La madre dell’inviata aveva già scritto nel ‘99, insieme al marito Giorgio, al collega della figlia in Rai Maurizio Torrealta e all’allora parlamentare Mariangela Gritta Grainer, “L’esecuzione”, primo riassunto dei fatti che all’epoca avevano portato all’assoluzione da parte della Corte d’assise di Roma di Omar Hassan Hashi, un giovane somalo fatto dapprima ritenere membro del commando armato autore dei due delitti e poi definito invece solo un “capro espiatorio”.
La sentenza sarebbe stata ribaltata in secondo grado, con successive modifiche sino alla definizione di una pena di 26 anni di reclusione che soltanto nell’ottobre scorso è stata demolita dalla Corte d’appello di Perugia, sulla base dei nuovi elementi emersi grazie a un’inchiesta giornalistica della trasmissione della Rai “Chi l’ha visto?”. E così, dopo ben sedici anni di prigione inflitti dietro una testimonianza mai resa in tribunale e oggi smentita dallo stesso autore, l’unico imputato, oggi 43enne, è stato nuovamente assolto per non aver commesso il fatto.
In seguito a questi sviluppi, a febbraio la Procura di Roma ha aperto un nuovo fascicolo d’inchiesta a carico d’ignoti, affidato alla pm Elisabetta Cennicola, con l’ipotesi di reato di falso in atto pubblico, calunnia e favoreggiamento. Ma nell’animo della signora Alpi è troppo forte, ormai, la sfiducia verso una reale volontà da parte della giustizia italiana (e della politica) di risalire ai veri killer e ai mandanti dei due omicidi.
Uno scetticismo che l’ha di recente determinata a comunicare pubblicamente di non voler più “frequentare uffici giudiziari”, né “promuovere nuove iniziative”, pur assicurando che non farà mai venir meno “la vigilanza contro ogni altro tentativo di occultamento”.
Il libro appena uscito, dunque, vuole rappresentare un punto fermo proprio di fronte allo scorrere inesorabile del tempo e all’oblio che puo’ calare sulla vicenda, laddove è obiettivamente sempre più flebile la speranza di riuscire a pervenire alla verità, così accomunando questo ai numerosi altri misteri che costellano la storia d’Italia. La madre di Ilaria, tuttavia, non si è lasciata andare a quello che sarebbe un ultimo e pur legittimo grido di rabbia per una figlia persa senza sapere perché, ma, carte alla mano, ha puntato il dito contro quegli apparati dello Stato che hanno tramato per depistare le indagini o che non hanno agito per condurle a un risultato soddisfacente.
Un’eredità pesantissima per chi dovrebbe risponderne, quanto meno in coscienza. Il volume, dedicato a Giorgio Alpi (a luglio saranno trascorsi sette anni dalla sua scomparsa), comprende una cronologia dei fatti principali e una rassegna stampa da quel 20 marzo 1994 ai giorni nostri; ripropone l’ossatura fondamentale del precedente libro “L’esecuzione”, nel quale s’illustra come il movente più probabile del delitto abbia a che fare con gli argomenti scottanti di cui la giornalista e l’operatore si stavano occupando (mala-cooperazione, traffici di armi e rifiuti tossici); e, soprattutto, riporta la sentenza di assoluzione di Hashi del 19 ottobre 2016 in Appello a Perugia, completa delle motivazioni. “A futura memoria”. (ansa)
È il titolo del libro della mamma Luciana sull’omicidio della giornalista e Miran Hrovatin