CATANIA – Il concorso esterno all’associazione mafiosa è un reato consolidato nella nostra giurisprudenza. Lo ribadisce la quinta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni con cui ha annullato con rinvio all’ufficio del Giudice per le indagini preliminari di Catania, la sentenza di non luogo a procedere emessa il 21 dicembre 2015 dal Gup, Gaetana Bernabò Distefano, per l’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo, editore e direttore del quotidiano La Sicilia.
Secondo i giudici della Suprema corte “non si sorregge in alcun modo la conclusione della non configurabilità della fattispecie del concorso esterno nel reato associativo” che ha di principio “una funzione estensiva dell’ordinamento penale, che porta a coprire anche fatti altrimenti non punibili”. E per la Cassazione “assumono rilevanza penale tutte le condotte, anche se ‘atipiche’, poste in essere da soggetti diversi che, se valutate complessivamente, siano risultate conformi alla condotta tipica descritta dalla norma ed abbiano contribuito casualmente all’evento”.
In caso di lettura diversa, rileva la Cassazione, deve essere “sollevata questione di legittimità costituzionale”. E sulla genericità del capo di imputazione, citata dal Gup di Catania, i giudici rilevano che “se l’avesse ritenuta” tale “avrebbe dovuto non pronunciare una sentenza di non luogo a procedere”, ma “invitare il Pubblico ministero a precisare l’imputazione”.
Per la Suprema Corte, il Gip, nel “sottolineare la necessità di approfondimenti indicati dimostra che il quadro istruttorio era suscettibile di approfondimento”. E inoltre, rileva la Cassazione, in caso di sentenza di non luogo a procedere, “deve valutare se gli elementi acquisiti siano non idonei a sostenere un’accusa in dibattimento, senza una complessa e approfondita disamina del merito del materiale probatorio, né formulare un giudizio sulla colpevolezza dell’imputato”. (Ansa)