Il Tribunale di Rimini dichiara fallita la coop La mia Terra amministrata dal solito Celli

La Voce, fondi per 20 milioni e giornalisti alla fame

Gli ex dipendenti de La Voce davanti al Tribunale di Rimini (Manuel Migliorini / Adriapress)

Paolo Facciotto con i colleghi ex dipendenti de La Voce davanti al Tribunale di Rimini (Foto Manuel Migliorini/Adriapress)

RIMINI – Il Tribunale Ordinario di Rimini ha dichiarato il fallimento della società “La mia Terra cooperativa arl”, con sede in Verucchio, nominando giudice delegato Rossella Talia e curatore il commercialista Andrea Buldrini. L’udienza per l’esame dello stato passivo è fissata per il 21 febbraio 2017, alle ore 11.30, pertanto creditori e terzi che vantano diritti reali e mobiliari, potranno presentare domanda di insinuazione entro il 20 gennaio prossimo. A presentare istanza di fallimento, oltre alla curatela fallimentare de “La Voce Srl”, rappresentata dall’avvocato Carlotta Arianna Maggioli, è stata anche la procura della Repubblica.
La cooperativa “La mia Terra”, di cui era amministratore unico Giovanni Celli, aveva accumulato debiti per 7milioni e 200mila euro nei confronti de “La Voce srl” amministrata dallo stesso Celli, «indagato in sede penale per bancarotta per distrazione ed altro» – mette nero su bianco il Tribunale stesso nella sentenza di fallimento – perché fra le due società ci sarebbero stati passaggi di denaro senza giustificazione economica.

La VoceLa Guardia di Finanza di Rimini, nel corso delle indagini, coordinate dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi, a carico dello stesso Celli in quanto responsabile della “vecchia” società, La Voce Srl, ha puntato i riflettori sui 20 milioni di contributi pubblici all’editoria ricevuti per dieci anni dal giornale che, secondo la Procura, sarebbero stati stornati ad altre società riconducibili all’editore. Lo scorso anno la società editrice de “La Voce” è fallita con un buco di 12,8 milioni di euro, reclamati da 112 creditori: fra di loro decine di colleghi, grafici, agenzie, fotografi, Aser, nonché gli istituti di categoria dei giornalisti (Inpgi, Casagit e Fondo di previdenza complementare).
“Fate presto!” hanno intimato, martedì scorso, Associazione della Stampa dell’Emilia-Romagna,
 Fnsi e Fiduciario Sindacale dei dipendenti di Editrice La Voce srl, Paolo Facciotto, al Tribunale di Rimini invitandolo ad assumere immediatamente una decisione “per la coop di famiglia che deteneva la testata”.
“Lo scandalo economico-finanziario e giudiziario di Gianni Celli e della «Voce» – hanno, infatti, denunciato Aser, Fnsi  e giornalisti – non cessa di riservare brutte sorprese per i creditori e per il panorama dell’informazione locale. Un anno fa la società Editrice La Voce è fallita con un «buco» di oltre 12 milioni di euro, dopo avere incassato più di 20 milioni di contributi statali. La procura ha indagato l’imprenditore per bancarotta fraudolenta e malversazione ai danni dello Stato: avrebbe distratto fondi della «Voce» (9,9 milioni) ad altre 8 società a lui riconducibili, e destinato i soldi pubblici incassati nel 2010/2013 dal giornale (3,6 milioni) ad attività non editoriali, cioè alla coop edilizia di famiglia «La Mia Terra». Questa società, indebitata per 6,7 milioni nei confronti della Editrice fallita, non le ha mai restituito neanche un centesimo, ed oggi, 20 settembre 2016 in Tribunale a Rimini, compare davanti ai giudici per la resa dei conti, essendone stato chiesto il fallimento”.
Aser“Ma – hanno incalzato Aser, Fnsi e giornalisti – c’è di peggio: mentre la Editrice veniva mandata a fallimento e decine di famiglie di giornalisti, fotografi e collaboratori erano divenuti creditori fino a 15 mensilità non pagate, Celli ha consegnato formalmente l’azienda ai suoi due giovani figli, rimanendo in realtà al timone e continuando a fare pressoché indisturbato ciò che faceva prima. Lo abbiamo scoperto nei giorni scorsi nel bilancio della «Voce2», la srl Edizioni delle Romagne: in soli 8 mesi di gestione, partendo da un debito zero la società ha accumulato un indebitamento di oltre 800mila euro (100mila al mese), di cui 144mila di stipendi non pagati al personale, 185mila di mancati versamenti di contributi previdenziali, cassa sanitaria integrativa e fondo complementare, 82mila di Irpef dipendenti e ritenute d’acconto non versate, 300mila non pagati ai fornitori. E allora – ci domandiamo – i 917mila euro di ricavi dichiarati, se non sono usati per pagare dipendenti e fornitori, dove vanno a finire?”.
A giudizio del Sindacato dei giornalisti “ce n’è abbastanza per destare profonda inquietudine, per non dire altro. Non stiamo parlando di una attività commerciale qualunque, ma di un giornale il cui diritto-dovere è quello di informare correttamente e responsabilmente la cittadinanza, a Rimini e nel resto della Romagna. Questo si può fare solo a due condizioni: con una società editoriale sana che rispetti le regole del settore giornalistico; preservando l’autonomia della testata, oggi compromessa dalla gestione dissennata e – stando alle ipotesi degli inquirenti – opaca della proprietà”.
Il Sindacato dei giornalisti, nell’annunciare che non si stancherà mai di combattere, ammonisce che “sarà sempre al fianco dei colleghi danneggiati economicamente, professionalmente ed umanamente, da Celli e dai sodali che ci auguriamo siano al più presto individuati”.
L’Associazione stampa dell’Emilia Romagna, la Federazione Nazionale della Stampa ed il fiduciario sindacale dei giornalisti rivolgono in particolare un appello alla magistratura, “affinché nelle sedi proprie siano ribaditi i diritti ingiustamente calpestati dei lavoratori, siano pagati i danni e adeguatamente sanzionati gli eventuali colpevoli. Tutto questo nel più breve tempo possibile”. (giornalistitalia.it)

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