Tra minacce, aggressioni e querele temerarie da boss, teppistelli e... “lor signori”

Vita da cronisti, ma il pericolo non è un mestiere

Giuseppe Mazzarino

Giuseppe Mazzarino

ROMA – Il pericolo non è un mestiere. Non dev’esserlo per gli operai edili né per i ferrovieri. E non dovrebbe esserlo nemmeno per i cronisti. E invece…
Invece assistiamo ormai quotidianamente a minacce ed aggressioni, variamente modulate e variamente pericolose, tendenti a tappare la bocca, qualche volta definitivamente, a giornalisti “scomodi”, come dovrebbero esserlo sempre, per potenti o presunti tali, politici, pezzi grossi dell’amministrazione pubblica, ma anche boss mafiosi o loro luogotenenti e persino teppistelli (meno importanti ma sempre pericolosi). Il tutto nell’assenza di tutele e di garanzie.
Non sempre, infatti, le minacce e le aggressioni sono di tipo fisico. A volte seguono le vie giudiziarie, magari con la citazione in giudizio in sede civile con esorbitanti richieste economiche, di fronte alla quali troppo spesso il cronista, sovente non contrattualizzato, ma anche quando contrattualizzato non sempre assicurato dal proprio giornale, viene lasciato solo ad affrontare gli pseudo-potenti o i malavitosi ed i loro ben retribuiti avvocati. In cause che magari si trascinano per anni. E sempre senza che questi personaggi vengano sanzionati per lite temeraria, una fattispecie di abuso che i giudici italiani sono molto restii ad applicare, specie quando ad essere danneggiati sono i giornalisti.
La conseguenza non è solo un danno patrimoniale (di spese legali, perché poi in realtà le condanne non sono molte), ma un autentico danno esistenziale dovuto alla lunghezza del processo, alla preoccupazione che ne sopraggiungano altri ed al timore per le sue ripercussioni. Il che porta all’autocensura, ovvero alla morte del giornalismo.
Le aggravanti, semmai, dovrebbero essere previste per chi minaccia i cronisti, non per i giornalisti.
C’è poi la eterna controversia sulle intercettazioni, col più ampio campo della possibilità o no di pubblicare atti coperti dal segreto istruttorio (ma anche non coperti da tale segreto). La questione qui è drammatica, e spesso il potere politico tenta di risolverla in danno dell’interesse pubblico, come quando si à avanzata l’ipotesi di una aggravante a carico del giornalista per pubblicazione di intercettazioni relative a personalità pubbliche (quelle per le quali persino la privacy è notoriamente “attenuata”).
L’unica soluzione possibile è quella dell’interesse pubblico della notizia (al di là anche del suo rilievo penale): se un imprenditore si fa grasse risate, al telefono, alla notizia di un devastante terremoto, pregustando gli affari successivi, è di pubblico interesse che si sappia; anche per una verifica più approfondita di questi possibili affari. Insomma, una notizia vera, di interesse pubblico, non solo può ma deve essere pubblicata, comunque sia giunta a conoscenza del giornalista (che troppe volte in questi casi è stato imputato, e magari condannato, per ricettazione).
Altrimenti fra minacce fisiche, cause milionarie (in euro), imputazioni per violazione del segreto istruttorio e addirittura ricettazione, mancata assicurazione da parte dei giornali, i giornalisti rischiano davvero di doversi occupare soltanto di nani e ballerine, di gossip, di storiacce inventate magari con protagonisti senza nome… (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

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