ROMA – I “pessimisti”, fra i massmediologi, esemplificando, paragonano il momento attuale agli ultimi giorni di Pompei. Nel senso che possiamo piangere e disperarci ma, al netto di tutti gli sforzi che potremo produrre, non cambieremo il nostro destino.
L’informazione tradizionale – di carta e via etere – sarebbe sull’ultima spiaggia, destinata a essere sostituita da quella virtuale. Il futuro sta nel cyberspazio.
A conferma, valgono le quote sempre più imponenti di chi si affida alla “navigazione” su Internet. Anche se questi nuovi modelli sono nelle condizioni – non ancora, per lo meno – di costruirsi un mercato economicamente indipendente. Milioni di input informativi (qualche volta soltanto verosimili) entrano nei computer e moltiplicano i file ma non riescono a garantire uno stipendio decente a chi ci lavora.
Aumentando gli strumenti tecnologici e la loro capacità invasiva, con sempre maggior frequenza, avverrà che non sarà il cittadino a cercare la notizia ma, al contrario, il cittadino che dalla notizia verrà trovato.
L’analisi dei gusti del pubblico consente di registrarne qualche vistosa modifica nel costume. Rispetto all’informazione, sempre meno persone accettano di trovarsi in un ruolo passivo. Il lettore rivendica un ruolo “alla pari”: vuole conversare e sente l’esigenza di avere voce in capitolo non solo sulle notizie diffuse ma anche sui criteri della loro ricerca e sulla loro elaborazione concettuale.
Il giornalismo prossimo venturo non potrà più essere rappresentato da un processo in verticale con un’informazione che parla ex cathedra, senza contraddittorio e con la sola forza della sua personale credibilità. Si sta disegnando uno scenario in orizzontale con lettori che interagiscono con i loro media di riferimento: discutono, aggiungono, rettificano, correggono, contestano. E lo fanno in tempo reale. Anche con più voci che si accavallano, quasi contemporaneamente.
Un notiziario generalista – come accade con i quotidiani oggi – che offrono di tutto un po’ ma senza approfondire troppo sarà sempre meno ricercato. Il lettore chiederà di utilizzare una lente d’ingrandimento, orientata sui propri interessi specifici. Meno quantità di argomenti ma più puntualità nella loro presentazione. E, addirittura, il lettore partecipa alla vita di una specie di tribù che seleziona e sceglie in base alle proprie convinzioni, auto-escludendosi dai siti e dai blog nei quali non si riconosce per differenze ideologiche.
Fra gli studiosi di processi della comunicazione, i più radicali arrivano a teorizzare l’avvento del “citizen journalism” dove ciascuno, in qualche momento della giornata, si preoccupa di proporre quello che vede e che ritiene interessante. È l’informazione assicurata dall’uomo della strada che, utilizzando un telefono cellulare, è in grado di fotografare, filmare e registrare. Anche contemporaneamente. I cantori della prospettiva di una comunicazione anarchica sembrerebbero entusiasti dei prevedibili risultati che sarebbero più democratici, più liberi, meno condizionati dai poteri forti e, in ultima analisi, più veri.
In realtà, se lo sviluppo tecnologico portasse solo a questo risultato sarebbe un progresso di corto respiro.
Il presidente degli Usa Barak Obama che è considerato il primo techpresident della storia americana che deve la sua elezioni alle ultime diavolerie digitali ha sentenziato che il futuro non può essere consegnato unicamente alla blog sfera. Il rischio prevedibile riguarda il profilo di nuovi media così concepiti: persone che urlano, una contro l’altra, senza sforzarsi di capire e di farsi capire. E con uno sponsor, sempre in agguato (anche occulto) a minare i valori dell’assoluta indipendenza.
La casa di vetro affascina per la sua trasparenza ma i materiali deboli con cui è costruita la rendono estremamente fragile.
Questa informazione sarebbe massimamente liquida dove le notizie, i commenti e le analisi si soprappongono, tutti sullo stesso piano, di uguale significato, senza differenze né gerarchie. Possibile che un minestrone dove ogni verdura finisce per mescolarsi con le altre sia da considerare una conquista?
Però, certo, inutile immaginare – o sperare – che lancette dell’orologio decidano di girare all’indietro per riportarci l’informazione d’antàn con la quale siamo cresciuti e che – al netto di piccole o grandi delusioni – abbiamo amato. Meglio prendere atto dei cambiamenti che si stanno determinando e che, in qualche passaggio, si rivelano tumultuosi. È necessario elaborare una strategia di trasformazione di una professione che non potrà più essere quella che era. Anche se ancora non è ben chiaro come sarà. La sfida è complessa ma le scelte non sono più rinviabili.
I giornalisti possono continuare a essere “mediatori” fra le cose che accadono nel mondo e le persone che chiedono di conoscerle se crescerà il loro livello di preparazione e di consapevolezza. Con la quantità di notizie a disposizione, la qualità delle analisi farà la differenza. (giornalistitalia.it)
Lorenzo Del Boca