Regolo: “Il nostro lavoro rischia di essere vanificato e la nostra libertà calpestata”

Redazione occupata: è “l’Ora” della dignità

Lo striscione appeso alle finestre della redazione centrale di Rende occupata dai giornalisti

Lo striscione appeso alle finestre della redazione centrale di Rende occupata dai giornalisti de l’Ora della Calabria”

RENDE (Cosenza) – Un 25 aprile particolare per noi dell’Ora. Mentre, seduto accanto a Carlo Parisi, segretario regionale e vicesegretario nazionale della Fnsi, e ai colleghi del Cdr, parlavo con i giornalisti delle altre testate di quanto stiamo subendo in termini di brutale calpestio delle libertà sindacali, ma anche di incredibile mancanza di rispetto della dignità umana e professionale, per un attimo ho pensato a un’altra “Festa della Liberazione” di tanti anni fa.
Era il 1992 e lavoravo per “la Repubblica” edizione di Torino. Ero il più giovane della redazione e mi mandarono a seguire il raduno dell’Anpi, l’associazione dei partigiani in Val di Susa. Arrivai con poco entusiasmo, me ne andai incantato: dai racconti in prima persona delle ex ragazze anni Quaranta che portavano armi, sale e cibo in bicicletta sfidando i tedeschi, o da quelli dei valorosi che ricordavano le imprese più epiche, come le fughe prodigiose. Non c’è niente di più nobile che la difesa della libertà, senza libertà si è morti per sempre, morti dentro. E la libertà è un tutt’uno con la dignità. Me ne andai dalla Val di Susa con questa convinzione che non ho mai perduto.
Non è ammissibile che in Calabria, una regione dell’Europa, un liquidatore, in rappresentanza della proprietà, decreti l’oscuramento del sito on line della testata per impedire ai giornalisti di attirare l’attenzione della pubblica opinione sui tanti lati oscuri della vicenda che stiamo vivendo. Tanto più che il dominio non risulta neppure di proprietà della C&C la nostra casa editrice, ma di un dipendente amministrativo che lo registrò a titolo privato ancora prima che il gruppo si costituisse. Quindi una misura iniqua e illegittima adottata lo scorso venerdì santo, mentre la redazione era in sciopero, assieme allo stop delle pubblicazioni.
Giovedì si è aggiunto un altro diktat di questo liquidatore, che stando a quanto riferitomi da Alfredo Citrigno (l’ex editore) si occupa anche come commercialista dei beni sequestrati a suo padre, Piero Citrigno. Di ritorno da un dibattito a Paola sulla libertà di stampa ho trovato una sua e-mail in cui obbliga, senza alcun preavviso, nonostante l’avessimo incontrato appena un giorno prima, l’intera redazione al godimento forzato di quindici giorni di ferie (io ne ho maturato appena quattro) e annuncia la procedura di licenziamento collettivo. Non solo il liquidatore omette dal suo scritto persino i saluti, ma per l’ennesima volta non tiene in alcun conto il mio ruolo e la mia professione. Addirittura obbliga alle ferie giornalisti che non lavorano più da tempo per noi, a segno di quanto poco informato sia sulla nostra realtà professionale. Il suo obiettivo sembra essere esclusivamente la fretta e dimostrare coi fatti che lui che ha “pieni poteri” come mi ricordò nel corso di una brutale telefonata il 7 aprile scorso, quando minacciò il blocco dell’andata in stampa dopo la prima agitazione sindacale, e quindi può “fare quello che vuole”.
Nel corso del nostro ultimo incontro, alla presenza di Parisi, del Cdr, e anche del suo legale, l’avvocato Celestino (che per altra coincidenza mi fu presentato da Alfredo Citrigno come avvocato della sua famiglia lo scorso 20 febbraio, nel suo studio cosentino, ndr) ho chiesto più volte di fare chiarezza sui rapporti che intercorrono tra la società editrice e De Rose che ora vuole la nostra testata. Perché si continuava a stampare con lui nonostante la scarsa qualità della stampa e il costo  di 25 mila euro eccedente il reale valore di mercato? Perché De Rose, nonostante non fosse stato mai pagato nel corso del 2013, continuava a stampare? Perché non essendo mai stato pagato neppure per “Calabria Ora”, la testata dalle cui costole è nata l’Ora della Calabria, si è assunto l’incarico di stampare anche il nuovo quotidiano e con un contratto che presenta clausole per certi aspetti inspiegabili?
A nessuna di queste domande abbiamo ricevuto risposta. Né sappiamo il perché il socio minoritario della C&C, Ivan Greco, che si occupa della raccolta pubblicitaria della testata, ha presentato una proposta di acquisire il giornale, ma nello stesso tempo è venuto da me per dirmi da parte di De Rose che anche se avesse preso la testata avrei potuto continuare a fare il mio lavoro, perché lo stampatore lo avrebbe affidato proprio a lui, ossia a Greco. Quindi tutte e due le (uniche) proposte di acquisire la nostra testata portano a De Rose, che ritorna sempre. Devo aggiungere che Greco, la settimana prima che esplodesse l’Oragate, venne più volte a casa mia a spiegarmi che erano in corso avanzate trattative perché lo stampatore diventasse socio maggioritario della C&C e lui restasse nella medesima quota. Greco non l’ho più visto e sentito da quando respinsi con decisione la proposta di lavorare con lui e De Rose. Anzi per essere precisi fece capolino soltanto una volta in redazione, qualche giorno dopo, molto imbarazzato: era appena stato, come poi mi rivelò al telefono Alfredo Citrigno, la mattina di giovedì 17 aprile, dal padre dell’ex editore, Piero Citrigno.
È un groviglio di situazioni che mi sfuggono. Di certo c’è che il nostro lavoro rischia di essere vanificato e la nostra libertà calpestata. Un segnale d’allarme è anche quanto dichiarato dal senatore Gentile proprio mentre noi eravamo riuniti in redazione in difesa dei nostri diritti. Tonino torna a parlare di “piano preciso” contro di lui per spiegare le sue dimissioni da sottosegretario dopo l’Oragate. Ora che non abbiamo più un giornale e neppure un sito forse pensa che sia più facile far passare la sua versione dei fatti. Ma noi non taceremo. Non ci sono accorduni di sorta che possano spegnere la dignità degli individui. C’è uno striscione che troneggia all’esterno della nostra redazione occupata: “È l’Ora della dignità”. È un appello a tutti, ai colleghi giornalisti delle altre testate, all’intera comunità, un invito a uscire dai silenzi e dalle paure, dalle rivalità, da tutto ciò che impedisce di porre un freno a potentati e arroganze diffuse qui a tutto tondo, dalla politica all’editoria. L’Oragate e quanto stiamo vivendo sono il doppio risvolto della stessa medaglia, la medaglia di chi suppone di poter calpestare a proprio piacimento il diritto altrui.

Luciano Regolo

 

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