ROMA – Il processo a mafia capitale marcia e marcerà a tempi lunghi dovendo fare i conti con 46 imputati e ben 55 parti civili compreso il Comune di Roma la cui coscienza non appare fra le più limpide. L’ha inchiodato alle sue responsabilità la commissione prefettizia d’inchiesta, guidata dal prefetto Mariolina Magno, e il cui rapporto, solo ora reso pubblico, è stato tenuto segreto a lungo con l’evidente scopo di scongiurare lo scioglimento del Municipio per infiltrazioni mafiose.
Pesanti i giudizi contenuti in un voluminoso dossier di 834 pagine: l’esercizio dei poteri di indirizzo politico e di gestione amministrativa degli organi di Roma capitale è stato fortemente condizionato da un’associazione di stampo mafioso. In sostanza un’amministrazione inquinata, dove si faceva mano bassa di appalti e servizi e che avrebbe avuto, appunto, come punta dell’iceberg il sistema di cooperative di Buzzi e Carminati.
Secondo i prefetti indagatori, l’ex sindaco Marino avrebbe peccato di mancanza di percezione del contagio mafioso e di non essere sempre riuscito ad opporsi.
Come denunciato da più parti, lo scandalo e il marcio sono stati favoriti dall’espandersi delle società partecipate (29) e dalla galassia delle controllate (140) con un buco annuale di 1 miliardo e mezzo di euro (gran parte divorato dall’Atac), che, sotto le più diverse Giunte, hanno cancellato le storiche aziende municipalizzate ed esautorato i compiti comunali polverizzandoli al vento. Risultato: pascoli aperti per il malaffare, collasso finanziario del Campidoglio, e degrado della città.
Pur non volendo fare di ogni erba un fascio dello spreco e dell’inutilità delle partecipate, Marino era entrato nell’ordine di idee di cominciare a chiudere baracca e burattini. Nel suo sito personale, ricorda di averci provato con delibera del marzo scorso nell’intento di liberarsi di 7 società strategiche (quali Centrale del latte, Assicurazioni, ente Eur ecc.) con una previsione di risparmio di 150 milioni di euro. A conferma delle sue buone intenzioni, assicurava che il Comune sarebbe tornato a fare il Comune, perché l’amministrazione pubblica non deve vendere fiori, macellare carne, distribuire farmaci, occuparsi di assicurazioni e di società immobiliari.
Fra il dire e il fare, c’è di mezzo il solito mare e di quella delibera non si ha più traccia. La rispolvererà il commissario prefettizio Tronca oppure toccherà aspettare le calende greche del ritorno dell’ordinaria amministrazione?
Bisogna riconoscere che migliori risultati in questo campo li ha raggiunti la Regione Lazio. In due anni e mezzo, il presidente Zingaretti ha eliminato 14 inutili società partecipate, fra le quali la costosa Agenzia di sanità, ridotto da 8 a 2 le società in house, e tagliato le poltrone di diversi consigli d’amministrazione. Oggi il modello Lazio è portato come esempio dal premier Renzi.
Romano Bartoloni