BARI – «È per lo meno indecoroso che Bari non affermi giornalmente la propria vitalità, quando non vi è piccola città dell’altra Italia, centrale o settentrionale, che non senta il bisogno di fotografare la sua vita tutti i giorni in un organo strettamente locale». È l’11 settembre del 1887 e il direttore della “Settimana”, Martino Cassano, a soli 26 anni annuncia la fondazione di un nuovo quotidiano barese: il “Corriere delle Puglie”.
Forte del successo del precedente giornale, Cassano è convinto che Bari, una città con più di 60mila abitanti e in piena crescita economica, debba essere raccontata in maniera più libera, senza l’influenza di partiti e poteri forti. Un’idea rivoluzionaria (e non solo per l’epoca) che verrà portata avanti per più di trent’anni, ma che alla morte del giornalista non riuscirà a trovare proseliti, tanto che Cassano giace ora dimenticato da una città intera.
Oggi però, a distanza di 130 anni, lo scrittore e editore barese Luigi Bramato ha deciso di recuperare la sua memoria con un libro dal titolo “Martino Cassano, pioniere della stampa barese”, che ripercorre la biografia e l’attività del giornalista. Una pubblicazione nata da una circostanza puramente casuale.
«Circa un anno fa – racconta Bramato – passeggiando lungo una nascosta strada del quartiere Picone, mi sono imbattuto in una targa che recitava “Martino Cassano, pioniere della stampa barese”. A quel punto mi sono chiesto: “Ma come? Esiste il padre del giornalismo di Bari e tutti lo ignoriamo?”. E così sono iniziate le mie ricerche».
Martino Cassano nasce a Bari nel 1861 da un padre avvocato che ne vorrebbe fare un suo epigono, ma il giovane palesa ben presto altri talenti e ambizioni. A 20 anni si sposta a Roma e diventa giornalista prima per la “Gazzetta d’Italia”, poi per la “Rivista Europea” e il “Fanfulla”. Lo “spilungone dal sorriso ermetico e dallo spirito acuto”, come lo definisce lo scrittore Armando Perotti, diventa a un certo punto però troppo appetibile per non essere richiamato sul suolo natale.
«A soli 24 anni – afferma Bramato – ricevette da parte di un gruppo di commercianti baresi la proposta di fondare un nuovo giornale. Ma poi sul più bello i finanziatori svanirono, anche se Martino decise di proseguire sulla sua strada, fondando nel 1885 “La settimana” e dopo due anni “Il Corriere delle Puglie” , quotidiano che si componeva di quattro pagine di grande formato. La prima redazione ebbe sede in via Abate Gimma 59, in due piccole stanze illuminate con lampade a gas».
Il grado di alfabetizzazione dell’epoca a Bari era ancora piuttosto basso, ma il giornale ebbe un successo immediato. I motivi li spiega Armando Perotti in una biografia del 1921: «A Bari pullulavano i giornaletti di partito, dalla effimera esistenza, che per scrivere aspettavano l’imbeccata politica o il soccorso della Prefettura. Mancava invece un giornale libero, che raccogliesse le voci della città e le traducesse in programmi di benessere e di civiltà».
Un bisogno che fu colto da Cassano, che prese le distanze da quotidiani come “Il Piccolo Corriere” o il “Bari” e diede voce a una popolazione che aveva bisogno di qualcuno che denunciasse e difendesse i propri diritti proponendo soluzioni concrete. Tutto questo fu il “Corriere delle Puglie” che tra l’altro fece sua (vincendola) la battaglia per l’apertura dell’Acquedotto pugliese a Bari.
Il quotidiano divenne il primo giornale del Mezzogiorno, attirando le ire dei concorrenti, come il “Mattino” di Napoli, che cominciò a vociferare di ignoti finanziatori e sostenitori. Cassano all’epoca però ribattè con forza alle accuse, dichiarando: «Non c’è partito a Bari che noi possiamo rappresentare, non essendovi partito nel senso buono e positivo della parola. Rappresentiamo noi stessi, le nostre idee, i nostri sforzi, il nostro ingegno, i nostri mezzi finanziari e abbiamo un solo scopo: la rigenerazione soffocata sociale, materiale, morale e finanziaria della nostra provincia».
Cassano andrà avanti con le sue idee per ben 34 anni, fino a quando a causa di un clima politico mutato e della sempre più pressante atmosfera di veleni, decide di dire basta e nel 1921, ormai sessantenne, si trasferisce con moglie e figlia a Roma, dove morirà il 9 febbraio del 1927.
«Martino – conclude Bramato – non è stato solo un pioniere, ma soprattutto un modello di rettitudine e integrità valido anche e soprattutto al giorno d’oggi. I suoi insegnamenti andrebbero ripresi per migliorare il giornalismo attuale, che si è fatto più arrogante e superficiale, sensibile non tanto ai bisogni del territorio, ma alle lusinghe della propria cecità». (barinedita)
Katia Moro