CITTA’ DEL MESSICO (Messico) – C’è stato un tempo in cui era considerata una zona di cessate il fuoco, o almeno un posto dove nascondersi anonimamente fra i suoi nove milioni di abitanti. Dopo la morte del reporter Ruben Espinosa, ucciso (il 2 agosto scorso, ndr) insieme ad altre quattro donne in circostanze ancora misteriose, neanche più Città del Messico, “el Districto Federal”, può essere considerata un posto sicuro per i tanti giornalisti messicani, minacciati per le loro inchieste sul narcotraffico, che hanno deciso di cercarvi riparo.
Secondo i dati di Reporter senza frontiere, sono oltre una decina i cronisti provenienti da tutto il Paese che sono scappati nella capitale, temendo per la propria incolumità. Negli ultimi 15 anni sono stati almeno 88 i giornalisti uccisi in Messico, che da sempre si conferma come uno dei posti più pericolosi al mondo per chi opera nel mondo dell’informazione.
Per l’organizzazione umanitaria Articolo 19, l’omicidio di Ruben Espinosa segna un nuovo picco nella violenza contro la stampa nel paese centroamericano. Si tratta, infatti, della prima volta che un giornalista viene assassinato a Città del Messico. Dietro alla morte di Espinosa c’è con tutta probabilità la drammatica situazione che si vive nello Stato di Veracruz, governato da un pezzo grosso del PRI (Partido Revolutionario Institutional), Javier Duarte.
Fotoreporter del magazine Proceso e delle testate Cuartoscuro e AVC Noticias, Espinosa – che raccontava delle frequenti proteste sociali e manteneva un atteggiamento critico nei confronti del governatore – aveva abbandonato lo Stato dopo aver ricevuto minacce. Sotto il pugno duro di Duarte, a Veracruz continuano a susseguirsi omicidi e sparizioni e per chi li denuncia c’è la condanna a morte, come nel caso di Juan Mendoza Delgado, direttore del sito Escribiendo la Verdad, ucciso lo scorso luglio e di Armando Saldaña Morales, giornalista della stazione radiofonica La Ke Buena, assassinato in maggio con quattro colpi di proiettile dopo aver subito torture. Solo gli ultimi due casi di una lunghissima serie.
Da quando Duarte è salito al potere a fine 2010, sono stati 14 i giornalisti uccisi: Regina Martínez, Goyo Jiménez, Moisés Sánchez, Víctor Manuel Báez, Irasema Becerra, Guillermo Luna, Gabriel Huge, Esteban Rodríguez, Noel López Olguin, Miguel Ángel López, Misael López, Yolanda Ordaz e Armando Saldaña e solo per l’omicidio di Regina Martínez uccisa nel 2008 nella capitale di Veracruz, Xalapa, è stato effettuato un arresto.
Lo scorso 9 luglio, in un’intervista all’emittente Rompeviento, Espinosa aveva raccontato di essere fuggito “dopo aver ricevuto diverse minacce. Veracruz è uno stato fuorilegge”. Una delle donne ritrovate uccise insieme a lui era Nadia Vera Perez, originaria del Chiapas, 32 anni, attivista dell’Assemblea studentesca di Xalapa e del movimento #YoSoy132, nato nel 2012 quando migliaia di studenti universitari scesero in piazza prima delle elezioni per chiedere più democrazia e trasparenza.
Solo un anno fa, parlando alla stessa emittente, la Perez aveva raccontato di aver ricevuto delle minacce di morte e di ritenere responsabile il governatore Duarte per qualunque cosa potesse accaderle. Per lei, come per le altre tre donne uccise, oltre ai colpi di pistola alla testa c’è stata anche la violenza sessuale. (Askanews)
Neppure la capitale è più sicura per i cronisti: dal 2010 ne sono stati uccisi 14