ROMA – Consegna, l’ultima in ordine cronologico, del Ventaglio da parte della Stampa Parlamentare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la cerimonia stamane, al Quirinale, alla presenza di una nutrita rappresentanza del mondo dell’informazione italiana. Accanto al presidente della Stampa Parlamentare, Sergio Amici, che ha consegnato al capo dello Stato il Ventaglio, un artistico “collage” di giornali e riviste storiche realizzato da Fabiola Napoli, vincitrice del concorso indetto dall’Associazione dei giornalisti parlamentari di concerto con l’Accademia di Belle Arti di Roma, e ai componenti del Direttivo dell’Associazione.
Denso e articolato il discorso del presidente Mattarella alla cerimonia. Discorso che riproponiamo integralmente:
Ringrazio il Presidente Sergio Amici per le sue parole, per le sollecitazioni che ha presentato, e ringrazio tutti voi per questo incontro, dando a ciascuno un benvenuto qui al Quirinale.
È una tradizione simpatica questa trasferita qui dal Parlamento al Quirinale, ormai da quasi un quarto di secolo, quando alla fine dell’ ‘800 è nato il Ventaglio. Il primo Ventaglio è stato offerto al Presidente Zanardelli: era un piccolo ventaglio con le firme dei giornalisti parlamentari. Oggi il Ventaglio non riuscirebbe a contenerle tutte, e questa è una dimostrazione della diffusione dell’informazione, dell’aumento del suo pluralismo, ed è una condizione importante e provvidenziale che registriamo. Anche la presenza così numerosa questa mattina è la dimostrazione di quanto sia cresciuto il pluralismo dell’informazione e come vada gelosamente custodito e sviluppato.
I Presidenti delle Camere ricevono il Ventaglio non più per il caldo estivo come nel 1893, ma forse anche per il caldo di alcuni momenti parlamentari, per i momenti caldi che i dibattiti possono presentare. Qui non è così, qui c’è una maggiore estraneità rispetto ai momenti di tensione, però in fondo c’è un parallelo, un’analogia: anche i Presidenti delle Camere sono degli arbitri nell’ambito delle Assemblee che presiedono.
Lei mi ha chiesto se, come arbitro, registro una collaborazione dei giocatori, per usare quella metafora che mi sono permesso di adoperare nel mio discorso di insediamento. La partita è ancora in corso e queste valutazioni si fanno a partita conclusa. Posso dire però che nel complesso non ho motivo di lamentarmi del comportamento.
Certo, vi sono state turbolenze, momenti di tensione, qualche episodio di intemperanza che sarebbe stato meglio evitare anche per conferire maggiore forza e maggiore peso alle idee che si sviluppano e si presentano. Però nel complesso credo di non potermene dolere, e quindi sono convinto di potere rinnovare con fiducia questo invito ai giocatori di aiutarmi con la loro correttezza.
Anche perché tutti dobbiamo essere consapevoli che accanto ai diritti vi sono doveri, che la rivendicazione assolutamente legittima, e da tutelare dei diritti, va accompagnata sempre dalla consapevolezza di doveri e limiti. Questo delimita un elemento che vorrei sottolineare: la nostra Costituzione è presidiata da regole che vanno rispettate rigorosamente. Vanno rispettate in tutta la loro portata. Non possono essere violate neppure per intenzioni che si ritengono buone, anche perché chi potrebbe arrogarsi il diritto di decidere quali finalità sono buone e quali non lo sono? Le regole vanno rispettate perché sono il presidio della democrazia, vanno rispettate tutte.
Tra queste c’è quella che prevede il rispetto dei propri limiti e delle competenze altrui. Ogni tanto nel nostro Paese affiora la tendenza, peraltro piuttosto diffusa, a straripare dai propri confini, a penetrare nell’ambito di competenze altrui, ad appropriarsi di funzioni che spettano ad altri.
È invece una regola sempre da rispettare quella del limite delle proprie competenze, invece, perché è anche la migliore garanzia per la difesa dei confini delle competenze di cui si è titolari. Questo vale anche per il Presidente della Repubblica nei rapporti soprattutto con Governo e Parlamento. Non si può pensare che il Presidente della Repubblica possa intercettare o bloccare scelte politiche che competono al Parlamento o al Governo. Le leggi ad esempio: il Presidente della Repubblica non dispone di un potere di veto, può come è noto soltanto chiedere al Parlamento un riesame e soltanto quando riscontri una chiara violazione della Costituzione, un chiaro contrasto con la Costituzione.
Di fronte a scelte che la Costituzione attribuisce ad altri organi il mio dovere è di rispettarle. Ogni Presidente della Repubblica ha le sue idee. Io ho le mie opinioni, ma ho il dovere di accantonarle, perché, se le scelte sono fatte da organi cui queste competono secondo la Costituzione, devo rispettarle e le rispetterò sempre, naturalmente.
Vi è una tendenza a confondere la legittimità o il chiaro contrasto con la Costituzione con la valutazione di merito delle scelte. Sono due cose diverse. E ripeto: il Presidente della Repubblica deve accantonare le opinioni personali, il suo parametro di comportamento non può che essere la Costituzione e soltanto le regole che la presidiano, che essa detta per presidiare la democrazia.
Nessuno, tantomeno il Presidente della Repubblica, che non ha poteri di scelta politica, è, per usare la sua metafora, un uomo solo al comando nel nostro Paese. Non è possibile in democrazia, e la nostra Costituzione disegna un sistema equilibrato, un accorto e felice sistema di equilibri e di controlli reciproci e di influenze vicendevoli tra organi e poteri dello Stato, e questo equilibrio esiste e rimarrà nella Costituzione. È forse la principale garanzia che presidia il carattere autentico della nostra democrazia, come disegnata dalla Costituzione.
Non è un caso che siano sorte nel corso del tempo tante autority, tante autorità indipendenti dal Parlamento, dal Governo e da qualunque altro organo. Non è un caso che un ruolo significativo e importante, di primo piano, abbia la Corte Costituzionale. E, rivolgendomi ai giornalisti parlamentari, non posso che auspicare che venga sollecitamente integrata dal Parlamento nella sua composizione. Mi auguro che ciò avvenga prima che la Corte Costituzionale in autunno riprenda i propri lavori.
Questo richiamo alla Costituzione evoca il richiamo che lei, Presidente Amici, ha fatto sulla riforma della seconda parte della Costituzione. Lo dissi nel mio discorso di insediamento : mi auguro che il processo di riforma in itinere vada in porto dopo decenni di tentativi non riusciti. Naturalmente non entro nel merito di scelte che appartengono soltanto al Parlamento nella sua sovranità, ma mi auguro che questo processo vada in porto. È uno dei punti nevralgici, centrali di questa legislatura certamente.
Mi permetto soltanto di sottolineare che un intervento riformatore dell’assetto organizzativo della nostra democrazia ha necessariamente due obiettivi, due finalità : l’efficienza di questo assetto e la partecipazione. Sono i due valori a cui ci si ispira necessariamente in questi casi.
Da un lato l’incremento del processo democratico nel rapporto collaborativo tra diversi livelli di governo, e quindi la partecipazione dei cittadini che è l’ossigeno della democrazia ; per questo l’astensionismo elettorale è motivo di grave preoccupazione per tutti, non soltanto per me o per i giornalisti. Dall’altra parte vi è l’esigenza di assicurare al nostro assetto costituzionale, al nostro assetto organizzativo della Costituzione, una efficacia di azione, perché la democrazia deperisce quando non vi è partecipazione o quando questa decresce, ma anche quando il processo decisionale è inconcludente o privo di efficienza.
L’efficienza delle nostre istituzioni richiama un altro tema che lei ha evocato: quello della legalità. Sono temi strettamente connessi. Non vi è efficienza autentica senza legalità, e questa è sorretta fortemente dall’efficienza dell’azione pubblica.
Non mi stancherò di ripeterlo: la lotta alla corruzione e la lotta alle mafie costituiscono una priorità assoluta, come Lei ha avuto la cortesia di ricordare poc’anzi. È un impegno di civiltà che va condotto dall’intera società, e le pubbliche istituzioni ovviamente sono le più chiamate su questo fronte in maniera rigorosa con i propri comportamenti.
Il sistema gelatinoso, da lei evocato, si combatte così, con rigore, con precisione di interventi. Rigore vuol dire trasparenza, sobrietà. È un’esigenza prioritaria che abbiamo nel nostro Paese, ma in realtà è presente ovunque, perché la corruzione è una tentazione costante in ogni società. Nel nostro Paese i livelli raggiunti richiedono un particolare impegno rigoroso, anche perché c’è una considerazione ovvia: dove la legalità diminuisce la società paga costi altissimi di carattere economico e sociale, e si riverbera su tutto il complesso della convivenza. Anche per questo peso che la corruzione e la criminalità mafiosa provoca sui nostri giovani e sul loro futuro, leggerò con molta attenzione il rapporto “Antitesi mafia-informazione” dell’Osservatorio “Ossigeno per l’Informazione” che ringrazio.
Voi giornalisti avete un compito importante sotto tutti i profili: civile, professionale, sociale; avete anche voi i vostri doveri, la vostra deontologia.
Lei, Presidente Amici, ha evocato i temi dell’Europa. L’Europa è e rimane un nostro ideale, lo storico approdo che la lungimiranza delle scelte realizzate con i Trattati di Roma hanno concretizzato. Senza Europa saremmo più deboli, saremo in balia di eventi imprevedibili e incontrollabili.
Abbiamo tutti guardato con apprensione, per le sorti di quella popolazione amica, le immagini proventi della Grecia quando si aveva l’impressione che stesse per uscire dall’Euro. Naturalmente le politiche europee devono promuovere lo sviluppo per produrre più crescita rispetto a quanto oggi non avvenga. Come ho detto pochi giorni fa alla Conferenza degli Ambasciatori, non possiamo nasconderci la sensazione di un affievolimento dei vincoli di solidarietà nell’Unione.
La sensazione di una Europa in affanno, perché stretta tra sentimenti populisti e angusti egoismi originati da un presunto ed erroneo interesse nazionale. Occorre che l’Europa abbia coraggio e saggezza. Nell’Eurozona dobbiamo sollecitamente promuovere una nuova governance per affiancare alle regole comuni anche istituzioni comuni – senza limitarci alla Banca centrale – e visioni comuni, adeguate e democratiche.
Anche su un altro versante l’Europa deve fare una verifica di se stessa: sul dramma dei profughi l’Europa non fa ciò che dovrebbe, ciò che la sua storia, la sua civiltà richiedono. Va sottolineata con soddisfazione l’intesa raggiunta nel Consiglio europeo per una ripartizione, sia pur su base volontaria, di profughi tra i vari Paesi dell’Unione.
Al di là delle dimensioni, al di là della volontarietà, è un passo importante perché per la prima volta l’Unione ha preso formalmente atto che quello dei profughi è un problema dell’Unione e non dei Paesi in cui essi arrivano. Certo, per essere efficace, dovrà essere seguito da altri passi significativi; ma è un passo importante quello che si è conseguito.
Vorrei sottolineare a questo riguardo un elemento di riflessione. Vi sono stati Paesi più generosi di altri: la Svezia, la Finlandia, la Romania hanno accolto l’intera quota proposta dalla Commissione; l’Irlanda, che non era obbligata dalle regole comunitarie, ha però spontaneamente accolto un buon numero di profughi. Ma quelli che hanno accolto i due terzi dei profughi sono i Paesi fondatori. Questo dimostra come i Paesi fondatori abbiano nell’Unione una responsabilità importante perché sono come gli altri Paesi ma, per qualche verso, con maggiore maturazione, sono portatori dei valori ispiratori dell’Unione e dell’integrazione europea.
Tutto questo dimostra che sul fenomeno dei profughi e dei migranti, occorre avere un’intelligenza e una visione lungimirante; occorre aiutare con decisione i Paesi da cui nascono i flussi migratori anche per evitare che questi si sviluppino ulteriormente e per fare in modo che, in un futuro non lontano, avremo flussi molto più imponenti e incontrollabili. Un impegno per aiutare chi è in difficoltà nei Paesi in cui nascono i flussi migratori non è soltanto giusto sul piano della collaborazione internazionale, ma è nell’interesse attuale, immediato e futuro dell’Europa.
Vorrei ripetere anche qui che la democrazia dimostrerà la sua superiorità su altri regimi in base all’esempio che fornisce e presenta rispetto ad altri Paesi, ad altri continenti, in cui non tutti hanno scelto la convivenza democratica. La democrazia affermerà la propria superiorità se riscuoterà riconoscenza e ammirazione per i suoi comportamenti, con l’accoglienza e prestando aiuto a chi è in difficoltà. Questo messaggio sarebbe in grado di sconfiggere il messaggio di odio e di morte seminato dal terrorismo fondamentalista, seminato in tanti Paesi, dal Medio oriente all’Africa e seminato nelle periferie delle città d’Europa.
Quello del terrorismo è il pericolo principale che dobbiamo fronteggiare in questi anni. Dobbiamo farlo non soltanto militarmente ma soprattutto culturalmente per offrire una proposta di convivenza più persuasiva per chi è in difficoltà rispetto alla scorciatoia, allo sfogo, all’esasperazione della campagna di odio che il fondamentalismo presenta e diffonde nel mondo.
Presidente Amici, lei ha parlato dell’esigenza di affrontare la questione sociale, di ritrovare nel nostro Paese i fili della sua convivenza. Mi sono permesso di dirlo nel mio discorso di insediamento e vorrei mandare, vostro tramite, un messaggio di fiducia e di speranza ai nostri concittadini insieme all’affermazione del massimo impegno nei confronti di chi soffre, di chi è in difficoltà.
Vi sono segnali di ripresa. Occorre svilupparli e incoraggiarli, occorre farne un uso il più accorto possibile. Non possiamo abbandonare un’intera generazione di giovani, non possiamo abbandonare il Meridione, non possiamo dimenticare che il lavoro per tutti è un principio della nostra Costituzione. Questo è un obiettivo ambizioso, certamente, ma senza ambizione non c’è politica.
La politica è la capacità di fare scelte nell’immediato, contingenti, di fare i passi che è possibile fare ma sempre nell’ambito di una visione di ideali lungimiranti, profondi, altrimenti i passi che si compiono nell’immediato non hanno né logica né prospettiva.
La democrazia non è storicamente separabile della dimensione sociale. Questa era una convinzione fortissima dei nostri costituenti, che i decenni successivi hanno confermato. La democrazia si afferma e si consolida quando si riduce la forbice delle diseguaglianze, quando crescono per tutti le opportunità sociali. Per le scelte interne al nostro Paese, per l’Europa, ciò che è importante è guardare al futuro, non essere prigionieri delle pareti del presente.
Nella Bibbia la moglie di Lot diventa una statua di sale perché guarda indietro. Non dobbiamo compiere questo errore, né Italia né in Europa. Dobbiamo guardare avanti, progettare il futuro, perché questa è la strada per governare bene anche il presente.
Vi ringrazio molto del Ventaglio. Ho sentito con compiacimento e ammirazione che è ispirato alla lingua italiana. Non so se la scelta che avete fatto sia dettata da patriottismo o dal desiderio di difendere la nostra lingua sovente maltrattata.
La nostra lingua è viva, quindi sottoposta come tutte a un’evoluzione, a una crescita, a uno sviluppo. Bisogna stare attenti però a difenderla, evitando l’uso di acronimi non necessari, di abbreviazioni gergali, di neologismi immotivati o l’oblio della sintassi, che talvolta avviene.
La lingua va difesa e il messaggio che voi giornalisti presentate come giornalisti del Ventaglio è un messaggio importante che raccolgo in pieno.
Vi ringrazio di questo incontro: è una bella esperienza, per me è la prima come per lei, Presidente Amici. Vorrei rivolgere i miei complimenti a Fabiola Napoli, autrice del Ventaglio, e all’Accademia in cui ha studiato.