ROMA – Il voto finale sulla riforma della Rai sarà nell’Aula del Senato il prossimo 31 luglio. Lo ha deciso la conferenza dei Capigruppo di Palazzo Madama.
“E’ un contingentamento mascherato”, commentano la presidente dei senatori di Sel Loredana De Petris e Michela Montevecchi del M5S.
L’esame del testo riprende la prossima settimana. (Ansa)
Lo scenario
Nelle parole del sottosegretario allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli, che ha chiuso nell’Aula del Senato, la discussione generale sul disegno di legge di riforma della governance della Rai, è risuonato una sorta di appello al superamento della minaccia ostruzionistica rivolto alle opposizioni che hanno presentato oltre 1.500 emendamenti. A loro il sottosegretario ha garantito la preferenza del governo per il “percorso parlamentare”, alludendo quindi al fatto che il governo non pensa alla fiducia (erano circolate voci in questo senso al Senato), naturalmente sempre che ne venga consentita la praticabilità. In più, Giacomelli ha fatto capire che il governo considera deleteria l’ipotesi di una lunga prorogatio delle massime cariche di viale Mazzini. Quindi il ddl non si può impantanare più di tanto in Parlamento.
Lo scenario, secondo quanto spiegano fonti governative, si riduce a tre ipotesi: se la prossima settimana il Senato licenzia il provvedimento, occorre un accordo largo che garantisca (ormai per settembre) una corsia preferenziale alla Camera, e possibilmente anche una sostanziale presa d’atto del fatto che il dibattito è stato ampio e condiviso – e quindi di fatto concluso – a palazzo Madama.
Senza il percorso preferenziale, la palla tornerebbe nelle mani di Matteo Renzi: “Decide il presidente del Consiglio – dicono le fonti di governo – se fare un decreto con il testo licenziato dal Senato, in modo da poter avviare il rinnovo della governance, oppure fare le nomine con la vecchia normativa Gasparri, ma prevedendo nel ddl una norma di decadenza all’approvazione del nuovo testo”.
E’ toccato al democratico Ranucci fare il punto di merito sui rilievi delle opposizioni. A Maurizio Gasparri (Fi) che ha ricordato i pronunciamenti della Corte costituzionale sulla “centralità” del Parlamento nell’indirizzo del servizio pubblico, Ranucci ha replicato sottolineando che nella proposta di legge in discussione il Consiglio di amministrazione della Rai ha quattro componenti di espressione parlamentare (su sette) “quindi penso che rispetti questo orientamento”.
Quanto alla delega sul canone, questo “deve continuare a garantire l’autonomia della Rai”, ha affermato. Ai 5 stelle ha promesso, come dopo di lui anche Giacomelli, collaborazione sul tema dei “requisiti positivi” per la nomina in cda, ma con un avvertimento: “Non credo che essere parlamentare sia un peccato, non credo che dire che per sette anni o dieci chi ha fatto il parlamentare non possa fare l’amministratore delegato della Rai. Penso si possa dire che chi lo fa attualmente o è membro del Governo non lo possa fare”. Un’apertura per ora giudicata insufficiente dai 5 stelle: un senatore risponde con il gesto del pollice verso a una domanda su questo punto specifico.
Il sottosegretario Giacomelli ha negato l’intenzione del Governo di utilizzare la delega sul Testo unico “per un ampio intervento di riforma che espropri il Parlamento”. Ha sottolineato come la legge Gasparri sia ormai inadeguata, “era pre-digitale, non teneva in alcun conto la rivoluzione in atto” ma ha ammesso che l’intervento proposto dall’esecutivo è parziale: “Intanto affrontiamo la governance della Rai; è vero, non è la riforma della Rai, ma riusciremo a completare il percorso del cambiamento”.
Sono tre le linee di azione del Governo, ha spiegato: “Rinnovo dei vertici Rai, rinnovo della concessione di servizio pubblico, riforma del canone”. Ma nell’immediato “occorreva un cambio di governance che mettesse più l’accento sul concetto di azienda e non di prosecuzione del Parlamento”. (Askanews)