ROMA – La diffamazione tramite Facebook deve essere punita con o senza il carcere? Lo deciderà il 28 aprile la prima sezione penale della Corte di cassazione. I giudici saranno chiamati a decidere su una querela che nel 2010, in seguito a una burrascosa separazione, una donna aveva presentato nei confronti dell’ex marito accusandolo di aver pubblicato sul social network alcuni post e commenti dal contenuto diffamatorio. Il processo venne incardinato inizialmente davanti al giudice di pace che però aveva dichiarato la sua incompetenza ritenendo la diffamazione su Facebook aggravata dal mezzo della pubblicità e quindi di competenza del tribunale. Il fatto che la diffamazione a mezzo Facebook sia considerata aggravata o meno è molto rilevante.
“Infatti mentre il giudice di pace applica soltanto delle multe, il tribunale può anche infliggere il carcere e per la precisione, nel caso di diffamazione aggravata, la reclusione da sei mesi a tre anni”, spiega l’avvocato Gianluca Arrighi, difensore dell’uomo accusato dalla moglie di averla offesa su facebook, ha sollevato davanti al tribunale di Roma il conflitto di competenza. “La diffamazione è punita con il carcere quando viene commessa con un mezzo di pubblicità. Tutto ruota, di conseguenza, intorno al significato di ‘mezzo di pubblicità’. Facebook non può essere paragonato a un blog o a un quotidiano online, visionabile da chiunque sulla rete. Facebook infatti – ha detto il penalista e scrittore – prevede che l’utente debba iscriversi al social network, creare un proprio account e che i post successivamente pubblicati vengano condivisi soltanto con gli ‘amici’. Manca perciò il requisito tipico dei cosiddetti mezzi di pubblicità, ossia che le frasi offensive possano essere visionate da una pluralità indeterminata di soggetti”.
Il tribunale di Roma ha accolto l’eccezione sul conflitto di competenza sollevata da Arrighi e ha trasmesso gli atti alla Corte Suprema affinché risolva in via definitiva l’annosa questione. Il 28 aprile, quindi, gli ermellini decideranno se chi offende e diffama tramite Facebook rischierà o meno di finire in carcere. (Askanews)
Lo deciderà la Cassazione il 28 aprile. Il caso: una querela contro un ex marito