MONTEVIDEO (Uruguay) – Eduardo Galeano, lo scrittore uruguaiano morto ieri, a 74 anni, in una clinica di Montevideo per un cancro ai polmoni, era uno degli autori più letti e amati della letteratura sudamericana moderna, e con “Le vene aperte dell’America Latina” (1971) ha raggiunto la più popolare ed emblematica espressione del pensiero della sinistra del subcontinente, negli anni di rivolta che hanno fatto seguito alla Revolucion cubana del 1959.
Nato nel 1940 in una famiglia alto borghese e cattolica di Montevideo – il suo vero cognome era Hughes, e il fatto che abbia sempre evitato usarlo dimostra il suo spirito ribelle – Galeano debuttò nel giornalismo a 14 anni, come disegnatore satirico, ma siccome “c’era un abisso fra quello che immaginavo e quello che tracciavo” si orientò verso la scrittura.
Poco più che ventenne, diventò una delle firme principali, e poi il capo-redazione, di Marcha, un settimanale politico e culturale di sinistra che diventò un punto di riferimento ben al di là dei confini del piccolo Uruguay, e cominciò ad interessarsi di politica anche come giornalista. Dopo una serie di libri dedicati a reportage e analisi della situazione in Cina, Guatemala e altri paesi, nel 1971 pubblicò “Le vene aperte dell’America Latina”, in cui ricostruiva il saccheggio delle ricchezze del subcontinente da parte delle potenze coloniali, e il suo proseguimento attraverso le strutture del postcolonialismo capitalista. Tradotto in più di 20 lingue, best seller internazionale, “Le vene aperte” diventò un’opera di riferimento e un manuale di storia per la sinistra terzomondista e i movimenti rivoluzionari nati in Sudamerica, ma anche in altri continenti, sulla scia della vittoria dei “barbudos” castristi all’Avana. In tempi più recenti, Galeano prese una certa distanza dal suo libro più noto.
“Non mi pento di averlo scritto, ma non lo rileggerei: volevo scrivere un saggio di economia politica e non avevo la formazione necessaria”, disse nel 2014, aggiungendo che considerava “superata” una “certa prosa di sinistra, che ora trovo pesantissima”.
Lungo gli anni della sua carriera letteraria – proseguita dalla Spagna, dopo la fuga dalle dittature militari del suo paese natale e dell’Argentina – Galeano creò un stile personale sui generis, a cavallo fra la documentazione storica e la riflessione poetica, che portarono al successo internazionale di “Memoria del Fuoco”, una trilogia pubblicata dal 1982 al 1986. Quest’opera fu incensata dalla critica internazionale, soprattutto americana – il Times Literary Supplement lo paragonò a quelle di Dos Passos e Garcia Marquez – e risultò un nuovo best seller globale, anche se nel suo paese natale Galeano, come il suo coetaneo e amico Mario Benedetti, pur rimanendo popolarissimo fu sempre apprezzato più per le sue posizioni politiche che per il suo talento letterario.
Difensore militante dei governi di sinistra dell’America Latina del secolo XXI – Chavez regalò una copia delle “Vene aperte” a Obama nel vertice americano del 2009 – Galeano mantenne anche un rapporto cordiale ma critico con la Cuba castrista.
Dopo aver denunciato la “decadenza di un modello di potere popolare” e la “rigidità burocratica” nel 2003, tornò nell’isola nel 2012, sottolineando che “un vero amico ti critica in faccia e ti elogia dietro le tue spalle”. (Ansa)
Il grande autore sudamericano, morto ieri, debuttò nel giornalismo a 14 anni