ROMA – È un quadro a tinte fosche quello dipinto dai risultati della ricerca commissionata dall’Ordine nazionale dei Giornalisti all’Osservatorio di Pavia Media Research sulla “Televisione del dolore” un’indagine sulle “cattive pratiche” televisive, illustrata ieri nel corso di un convegno svoltosi, a Roma, nella Sala Auditorium del Centro Congressi Frentani.
Obiettivo della ricerca è l’analisi della rappresentazione di casi di cronaca nera e giudiziaria – o di storie di interesse umano – nell’emittenza televisiva nazionale.
Il monitoraggio è stato condotto dal 15 settembre al 15 dicembre dello scorso anno su tutti i programmi della tv nazionale in chiaro con contenuto informativo (esclusi i telegiornali e le loro rubriche) che hanno trattato casi di cronaca nera, giudiziaria o di disagio individuale e sociale.
Il risultato parla di un’attenzione televisiva alla cronaca nera molto ampia e costante (in media 3 ore al giorno), di una concentrazione su casi ritenuti emblematici che assumono carattere seriale nel racconto televisivo, di un’esposizione mediatica massiccia di vittime, familiari e conoscenti in qualità di testimoni del proprio dolore, di un’enfasi e partecipazione emotiva elevata di conduttori, inviati e ospiti, di una commistione di ruoli tra ospiti tecnici, esperti televisivi e al contempo consulenti di parte, di una ridondanza di informazioni e opinioni sui casi di cronaca più noti, di una varietà di format televisivi che include al proprio interno racconti di dolore.
La ricerca ha individuato una pluralità di aree critiche, zone del racconto che manifestano cattive pratiche rispetto alle norme e ai principi previsti sia dalla legge, sia dai codici deontologici che tutelano i soggetti della cronaca e i telespettatori.
Le reti che presentano un’offerta più consistente sono Rai1 e Canale 5, con un totale cumulativo pari al 70 per cento del totale.
La ricerca sulla “Tv del dolore” ha definito sette aree di criticità che, a diverso titolo e intensità, tornano nel racconto della cronaca nera e si delineano come esempi di cattive pratiche.
1 – La raffigurazione strumentale del dolore, che se inessenziale ai fini informativi, diventa un mero strumento di accrescimento del pathos.
2 – Lo spettacolo nel dolore, quando dentro la sofferenza raccontata si dipana una rappresentazione drammatica che accoglie contenuti e forme spettacolari.
3 – L’eccesso patemico nel racconto, che sfida i principi di pertinenza e continenza formale e di essenzialità della notizia, spostando la missione dall’informazione all’intrattenimento.
4 – La narrazione empatica, che attiva la sfera emotiva degli spettatori a scapito di quella razionale sfidando ancora una volta la continenza formale.
5 – Il processo virtuale, che riproduce in televisione pratiche paraprocessuali e offre protagonismo mediatico a parti direttamente coinvolte in procedimenti giudiziari.
6 – L’accanimento mediatico, che enfatizza la vocazione inquisitoria di programmi televisivi, favorisce l’irruenza di inviati, produce un rischio tangibile di invadere la riservatezza altrui e danneggiare la reputazione, fornisce dettagli macabri nell’incuranza della sensibilità degli spettatori.
7 – La logica assorbente dell’infotainment, una commistione di generi tra informazione e intrattenimento che fagocita il messaggio televisivo generando discrasie tra le missioni stesse delle trasmissioni.
Preoccupante il fatto che solo alcune delle trasmissioni che trattano temi così delicati non vengano condotte da giornalisti che conoscono le carte deontologiche. L’ultimo dato statistico riguarda la presenza di iscritti all’Ordine dei Giornalisti tra gli ospiti delle trasmissioni monitorate: la percentuale più alta si registra nella trasmissione “Storie Vere” (Rai 1) con il 23,6 per cento di ospiti giornalisti, seguita da Mattino Cinque (Canale 5) con il 17,6 per cento.
Fanalini di coda in questa speciale graduatoria sono i programmi Domenica live (Canale 5 con il 5,9 per cento) e Amore criminale (Rai3, 2,3 per cento).
Ricerca commissionata dall’Odg all’Osservatorio di Pavia “Media Research”