MILANO – I filmati girati da lui per la Rai rimarranno l’unica testimonianza audiovisiva dell’aggressione sovietica in Ungheria, ed una copia delle immagini da lui girate in presa diretta è stata ufficialmente consegnata dalla Rai alla Presidenza dell’Onu perché rimanesse memoria eterna di quei fatti e di quella tragedia.
«Una preziosa fonte di informazioni, fu un matto che si annidava fra noi in veste di inviato speciale della Radio e Televisione: Vittorio Mangili, di Milano. Va citato al merito del nostro giornalismo. Usciva ogni mattina al seguito di un certo Lajos che veniva fedelmente a prenderlo, armato di una macchina da presa che sembrava un compromesso fra una bomba a orologeria e un cannoncino portatile, e che avrebbe giustificato una fucilazione sul posto. E tornava la sera, carico di pellicole, di vettovaglie e di notizie. Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento, il servente ad un pezzo anticarro appostato in un groviglio di binari divelti dalla stazione Keleti, il testimone nell’interrogatorio di un maggiore russo prigioniero».
Nel suo libro “Dentro la Storia” (Rizzoli 1992), Indro Montanelli raccontava in questo modo il suo incontro con Vittorio Mangili, in quegli anni inviato speciale della televisione di Stato a Budapest e testimone oculare come pochi dei drammatici giorni dell’insurrezione ungherese.
«Un testimone oculare dei più significativi avvenimenti storici che hanno tracciato il solco indelebile del ’900», ha commentato il sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, in occasione dei suoi 100 anni, aggiungendo: «Divenuto reporter Rai nel 1956, tra i suoi primi incarichi da inviato televisivo ci sono i drammatici giorni dell’insurrezione ungherese. Lui è lì, in una terra che sente vicina a sé: nato da madre ungherese, parla la lingua locale e vive in prima persona gli eventi che mineranno le basi del dominio sovietico in Est Europa. Grazie alla sua innata vicinanza, corre con i patrioti per le strade della capitale e produce l’unica testimonianza audiovisiva di quei momenti. Il nastro verrà successivamente consegnato all’Onu come testimonianza delle violazioni dei diritti umani perpetrate in quelle occasioni».
Vittorio Mangili aveva 102 anni e senza di lui il mondo dell’informazione perde senz’altro un immenso patrimonio di conoscenza e di esperienza insieme. Diplomato al liceo classico e studente al Politecnico di Milano, Vittorio Mangili viene assunto come annunciatore dall’Eiar il 1º giugno del 1945, dopo aver vinto un concorso bandito all’indomani della Liberazione. Scala rapidissimamente i gradini della carriera giornalistica grazie al suo spirito di avventura che lo porterà negli anni a visitare le aree più lontane del pianeta. Nel 1950 viene nominato radiocronista e nel 1956 diventa telecronista ed inviato speciale della Rai.
Nessuno più di lui, nessuno meglio di lui. Era un’icona per la storia della Rai di quegli anni, ma lo è rimasto anche dopo, in vecchiaia, ricercato, intervistato e raccontato dai più importanti giornali italiani e stranieri.
Dopo i fatti dell’Ungheria, Vittorio Mangili era stato testimone diretto di numerosi altri avvenimenti storici del XX secolo. Era a Tokyo durante i giochi olimpici del 1964, a Praga durante l’occupazione sovietica del 1968, sul fronte indiano durante la guerra tra India e Pakistan nel 1971, in Israele, Egitto, Kuwait, Libano, Siria e Giordania mille altre volte diverse per documentare gli sviluppi della travagliata storia di quei paesi, quindi ancora in Biafra, a Cipro ed in Uganda.
Tra i servizi televisivi da lui girati, nella sua biografia ufficiale, troviamo altre chicche storiche, dai dossier su Madre Teresa di Calcutta e i suoi lebbrosari, alle più famose ascensioni in Himalaya. Insieme ad una spedizione di alpinisti valdostani nel 1982 scalò lui stesso il Kanchenjunga (8603 metri). Ma la storia dice di lui che era presente anche sulla scalata di Reinhold Messner della parete nord del Makalu (8481 m), avvenuta nel 1986, e nei viaggi al Polo Nord delle spedizioni di Guido Monzino e Ambrogio Fogar.
Entrò in Rai rispondendo a un annuncio trovato per caso, senza immaginarsi come sarebbe stata la sua vita. Sprezzante del pericolo, sia che si trattasse di attraversare una parte di Asia a cavallo o di superare le montagne con la mongolfiera, Mangili si è distinto per imprese che nessuna intelligenza artificiale potrebbe imitare. Complessivamente – si racconta a Viale Mazzini – Vittorio Mangili realizzò oltre 5000 servizi televisivi. Indimenticabili i suoi reportage, a cavallo dalla Turchia alla Cina sulle orme di Marco Polo, con Carlo Mauri. Ma altrettanto indimenticabili rimasero le sue imprese come inviato a ben cinque edizioni diverse della Parigi-Dakar, e la mitica traversata delle Alpi in mongolfiera a idrogeno, unico italiano a bordo con l’operatore Bruno Brunello.
Ma commetteremmo una grave colpa se non ricordassimo anche i suoi reportage sul disastro del Vajont nel 1963, l’alluvione di Firenze del 1966 e di Genova del 1970, i terremoti di Agadir nel 1960, di Skopje nel 1963, del Belice del 1968, di Tuscania del 1971, del Friuli nel 1976, dell’Irpinia nel 1980. Altro che icona, altro che testimone del nostro tempo. Vittorio era, suo malgrado, il vero diamante della Rai di quegli anni quando lontani dall’intelligenza artificiale o dai droni o dalla tecnologica sofisticata di oggi per raccontare il mondo dovevi per forza essere fisicamente là dove “cadeva la sequoia”.
Una vita leggendaria, che oggi è parte del patrimonio più bello di mamma-Rai. È andato ufficialmente in pensione dalla Rai il 9 ottobre del 1987, data in cui faceva parte della Testata giornalistica regionale della Lombardia, ma Vittorio ha continuato a collaborare con l’azienda fino al 1991.
Ha vissuto la parte finale della sua esistenza a Lobbi, una frazione del Comune di Alessandria, dove si sono svolti i suoi funerali. Alla fine della sua lunga esperienza in Rai l’uomo che aveva girato in mondo per terra e per mare si era ritirato in una minuscola borgata che si chiama Filippona, a due passi da Lobbi, era il suo “buen retiro”, ma da dove Vittorio aveva continuato a scrivere (al ‘Piccolo’ ha regalato testimonianze straordinarie) e a raccontare e raccontarsi.
«La Rai – scrive di lui Paola Ghio – saprà celebrarlo a dovere (speriamo), attingendo dall’immenso patrimonio delle sue Teche. A noi piace ricordarne la disponibilità, l’amore per la chiacchiere, l’affabilità, il suo “non sentirsi” mai di un altro pianeta. Il suo giardino ben curato conserva ancora una collezione di piastrelle molto belle. Ogni anno, un amico ligure gliene portava una in occasione di un raduno di commilitoni dei bersaglieri che Mangili organizzava a Filippona».
«Il problema è che siamo sempre di meno» diceva, elencando gli assenti (per ovvie ragioni). Teneva molto al suo essere bersagliere, come ricorda il presidente di Alessandria, Pietro Bologna, che sottolinea: «Ha espresso il desiderio di indossare, nella bara, la camicia del nostro gruppo. Questo ci deve rendere orgogliosi, il suo senso di appartenenza è stato encomiabile».
Due anni fa, Vittorio, era rimasto vedovo. Lascia oggi questo fardello pesantissimo delle sue memorie al figlio Massimo, a cui va il cordoglio della Figec Cisal e della Redazione di Giornalisti Italia. (giornalistitalia.it)
Pino Nano