REGGIO CALABRIA – Amava definirsi “un socialista inquieto”, Ciccio Catanzariti, scomparso ieri a Reggio Calabria, all’età di 91 anni, dopo una lunga malattia. E la sua inquietudine scaturiva dall’esemplare onestà morale e intellettuale che l’ha sempre visto combattere battaglie per la libertà, la democrazia, il lavoro, l’uguaglianza, la legalità, la giustizia, al di là di ogni steccato ideologico e politico e senza sconti o mediazioni di sorta. Era un uomo libero che, come tutte le persone perbene, spesso ha pagato a caro prezzo il non allineamento al pensiero unico, quindi la non condivisione delle “verità ufficiali” e delle scelte di comodo calate dall’alto.
Meridionalista convinto, sindacalista, politico e giornalista pubblicista iscritto all’Ordine della Calabria dall’11 febbraio 1978, dalla fine degli anni Ottanta al 2001 – l’epoca in cui dirigevo la redazione di Reggio del quotidiano Il Giornale di Calabria – l’avevo “arruolato” come cronista politico ed editorialista risvegliando in lui, fino alla soglia dei settant’anni, la giovanile passione per la rivendicazione dei diritti e la lotta contro ogni discriminazione e ingiustizia.
In Consiglio comunale, nel settore riservato alla stampa, era sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad alzarsi dopo aver seguito interminabili sedute, che a volte raggiungevano anche le venti ore di fila. Quindi, con il taccuino zeppo di appunti, mi raggiungeva in redazione, inizialmente in via Aschenez, poi in via Giudecca, illustrandomi gli argomenti di interesse per il giornale e “contrattando” la lunghezza del pezzo che, spesso, con il suo sorriso sornione mi costringeva ad una paziente revisione supplementare «perché sono tutte cose importanti e preferisco che i tagli li faccia tu».
In effetti Ciccio non scriveva mai cose banali, soffietti a favore di qualcuno o stilettate contro qualcun altro. Aveva un’onestà intellettuale innata che, spesso, viveva con il profondo dolore di chi è costretto a raccontare la verità a costo di far male alle persone che ama.
È stato il primo a raccontare “le mille Platì”, ovvero le anime oneste di un territorio troppo a lungo criminalizzato per la ’Ndrangheta che se, in quel territorio e non solo, ha regnato sovrana è stato solo per la totale assenza dello Stato. Tema che conosceva benissimo anche l’allora comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, Gennaro Niglio, che nel suo ufficio mi ripeteva spesso che, piuttosto che ottomila soldati in Aspromonte, avrebbe preferito due investigatori in più.
Con Ciccio Catanzariti abbiamo vissuto oltre un decennio di battaglie dalla parte dei più deboli, degli emarginati, degli sfruttati, dei senza santi in paradiso. Dalla nostra avevamo il popolo, ma il giornale ha duramente pagato il prezzo del sistematico taglio della pubblicità istituzionale che, all’epoca, costituiva la fetta più grossa delle entrate pubblicitarie nei bilanci delle società editrici. E se, una volta finito l’eldorado degli avvisi e delle pagine a pagamento pagate fior di quattrini dagli enti pubblici, molti giornali sono collassati e costretti a chiudere, qualche riflessione sull’abuso delle “linee morbide”, purtroppo spesso usate ad ogni latitudine, per non disturbare il manovratore, in molti dovrebbero farla.
La questione per noi era talmente chiara che quando si trattava di denunciare scandali, disservizi, storture, appalti poco chiari, discriminazioni e ingiustizie varie, con Ciccio e con l’altra colonna del “Politico”, Enzo Lacaria, non c’era bisogno di alcuna discussione: il giornale tutela gli interessi dei lettori e non guarda in faccia nessuno. Ovviamente, con le “carte” in mano, nel pieno rispetto della persona e della verità sostanziale dei fatti. Non a caso, nonostante le numerose denunce per diffamazione ricevute, non abbiamo mai subito una condanna, grazie anche all’appassionata, militante e gratuita assistenza che ci veniva assicurata dall’avvocato Pinino Morabito.
Di Ciccio Catanzariti, però, mi piace ricordare soprattutto il travaglio interiore vissuto in occasione della Rivolta del 1970 “per Reggio Capoluogo” che, nel corso degli anni, lo ha spinto a farsi promotore del revisionismo storico di quegli anni. «La Rivolta di Reggio Calabria è stata una rivolta di popolo, non un atto di eversione fascista». Parola di Ciccio Catanzariti (comunista e socialista), pienamente condivisa da Enzo Lacaria (comunista fino alla fine).
Sul punto, infatti, entrambi sono stati sempre d’accordo con due protagonisti della Rivolta e storici esponenti della destra reggina, il sen. Renato Meduri (che, tra l’altro, in un’occasione ha tempestato la città di manifesti di elogio nei confronti della redazione reggina del Giornale di Calabria) e l’on. Natino Aloi. Altri due galantuomini, immuni da ogni genere di malaffare, che come Ciccio Catanzariti hanno sempre avuto “il torto” di amare visceralmente quell’angolo di paradiso, che è Reggio Calabria, da sempre dannatamente costretto a patire le pene dell’inferno.
Alla moglie Angelina, ai figli Domenico, Sergio e Giampaolo, stimati professionisti che del padre hanno ereditato i più sani principi del rispetto e della dignità, un forte abbraccio, anche a nome di tutta la Redazione di Giornalisti Italia e della Figec Cisal, nel ricordo di un grande protagonista della Calabria onesta e pulita. (giornalistitalia.it)
Carlo Parisi
CHI ERA FRANCESCO CATANZARITI
Nato a Platì, in provincia di Reggio Calabria, il 10 gennaio 1933, Francesco Catanzariti era giornalista pubblicista iscritto all’Ordine della Calabria dall’11 febbraio 1978.
Iscritto al Pci nel 1948, si dedica subito al sindacato come corrispondente del Patronato Inca, divenendo segretario della Camera del Lavoro di Platì. Nel 1952 gli viene affidato l’incarico di dirigere la Federbraccianti, il più forte e combattivo sindacato di categoria della provincia reggina.
Segretario della Camera Confederale del Lavoro di Reggio Calabria dal 1958 al gennaio 1967, al primo Congresso Regionale, tenutosi a Crotone nel febbraio del 1967, viene eletto segretario della Cgil rimanendo in carica sino al maggio del 1972. È membro del Consiglio Generale della Cgil nazionale eletto sia al congresso di Bologna del 1965 che a quello di Livorno del 1969.
Contestualmente all’attività sindacale, svolge attività politica nel Pci per il quale, nel 1958, viene eletto consigliere comunale a Taurianova. È il primo degli eletti nella lista del Partito Comunista e sarà il primo degli eletti anche nel 1964 nelle Comunali di Reggio Calabria, la città nella quale ha ininterrottamente vissuto dal 1958.
Sindaco di Platì dal 1960 al 1964 e dal 1972 al 1976, alle Elezioni politiche del 1963 è candidato alla Camera dei Deputati, nella circoscrizione calabrese, ottiene 15.681 preferenze, ma non viene eletto. In Parlamento fa, invece, ingresso trionfando alle Politiche del 7 giugno 1972: per lui 38.770 voti preferenza dietro solo il capolista Pietro Ingrao.
Conclusa l’esperienza parlamentare, torna ad occuparsi del sindacato con il Congresso di Rimini del 1977 che lo elegge nell’Ufficio della Segreteria confederale. Diviene, quindi, responsabile del Centro Studi Economici Sociali Legislativi, presidente dell’Etli (ente turistico lavoratori italiani) della Cgil Calabria e presidente regionale dell’Inps.
Nel 1985 lascia il Pci e, con l’avv. Francesco Tassone e Nicola Zitara fonda il gruppo dei Quaderni Calabresi e partecipa alle elezioni regionali con il Movimento Meridionale Calabria. Successivamente aderisce al Psi ed in disaccordo con la decisione dello scioglimento del Partito rimane socialista, riformista e meridionalista, aderendo, dopo la diaspora, a diversi tentativi di ricostruire una forza socialista autonoma (Partito Socialista Riformista, lista dei sei garofani, Costituente Socialista infine Sdi).
Sabato mattina i funerali a Reggio Calabria
Francesco Catanzariti lascia la moglie Angelina Sergi, i figli Domenico con la moglie Patrizia Andreatta, Sergio con la moglie Camilla Pers e Giampaolo con la moglie Rossana Bellantoni, i nipoti Francesco e Chiara, Francesco e Niccolò, Francesco, Benedetta e Pietro.
I funerali saranno celebrati a Reggio Calabria sabato 10 agosto, alle ore 11.30, nella chiesa di San Luca Evangelista in via Sbarre Inferiori, partendo dalla sua casa di via Giuseppe Saragat 20. (giornalistitalia.it)
Persona perbene. Un caro amico, meridionalista vero.
Mi dispiace molto.
Sei un angelo assoluto.
Le mie più sentite condoglianze a tutta la famiglia.
Non l’ho mai conosciuto, ma ho sempre sentito parlare della sua onestà intellettuale. Da socialista, non posso che esternare profondo dispiacere per la sua dipartita e condividere, parola per parola, tutti quello che hai scritto. Grazie, Carlo