Nel libro di Emilia Condarelli e Maria Antonietta Rositani lo scempio di un amore malato

Io non muoio: una storia di violenza e di speranza

Maria Antonietta Rositani ed Emilia Condarelli

REGGIO CALABRIA – “Io non muoio” è il titolo principale, ma c’è anche un occhiello forte: “Bruciata viva. Sopravvissuta. Una storia di violenza e di speranza” (Laruffa editore, 128 pagine). Il libro è fresco di stampa, porta la firma di due giovani donne calabresi, la giornalista Emilia Condarelli, bravissima cronista di Reggio Calabria, e Maria Antonietta Rositani, vittima di una violenza inaudita.

Pino Nano

Una mattina il suo uomo, suo marito Ciro Russo, le dà fuoco e tenta di ucciderla, ma alla fine il caso vuole che Maria Antonietta Rositani trovi la forza di reagire e di salvarsi dall’agguato, anche se oggi su di lei restano ancora visibili le cicatrici di quello scempio.
Il racconto che ne fa Emilia Condarelli è di una forza senza pari: «Reggio Calabria, 12 marzo 2019: Una donna corre. È al centro della strada con le braccia in fiamme, alzate al cielo. Respira fumo, benzina e il secco ruvido del fuoco che mangia l’ossigeno. L’aggressore è già scappato, subito dopo averle rovesciato addosso due bottiglie di benzina e aver fatto ruotare la pietrina dell’accendino. Il fuoco è rapido, un battito di ciglia. Una vampata, dalle braccia alle gambe, fino al volto. Anche i lunghi capelli corvini stanno bruciando. La donna si abbassa frettolosamente. Sembra YouTube in assenza di rete…».
Era da tempo che non mi capitava di leggere un libro così forte, così intimo, così intenso, nella forma e nella sostanza, divorato in una notte, e in cui due giovani donne calabresi squarciano il velo d’ombra che per anni da queste parti, e non solo da noi al Sud, è calato su storie di violenze come queste. Non deve essere stato facile rimettere insieme i tasselli drammatici di questa storia, ma Emilia Condarelli lo spiega qui con grande chiarezza e coraggio.

Maria Antonietta Rositani

«Avevo camminato sicura nelle gole dell’Aspromonte, sul ciglio di stradine montane imbrattate di sangue e materia cerebrale, raccontando le faide di ‘ndrangheta, gli omicidi a colpi di kalashnikov e i sequestri di persona. Adesso, stentavo a trovare qualcosa di intelligente da dire. Tutto sembrava mediocre di fronte allo scempio di quella donna ferita ed al suo urlo di dolore aggrappato alla speranza di aiutare».
Questo è un libro-denuncia, un libro-confessione, un libro “dedicato” a chi come il padre della vittima, Carlo Rositani, ha aiutato fino all’ultimo sua figlia a reagire e a trovare il coraggio della rinascita. Un libro che esalta il lavoro di un’altra donna ancora, Paola D’Ambrosio, sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia a Reggio Calabria, il magistrato che ha creduto nelle ragioni di Maria Antonietta Rositani e si è battuta perché il suo ex marito, autore di questa violenza inaudita, venisse alla finalmente e giustamente condannato. 17 anni e 8 mesi di carcere, ha deciso alla fine la Corte di Cassazione.
Ma questo – spiegano ancora meglio le due autrici – non è solo il racconto di una violenza feroce. «Non è l’esposizione di un fatto di cronaca e delle sue conseguenze giudiziarie. Non è la storia di una vittima, predestinata dallo Stato e dalla società, che si è salvata malgrado tutto. È una riflessione dura e sincera – scrivono le due donne – iniziata nel frastuono di un fattaccio di cronaca nera: il tentato femminicidio in Calabria di una moglie bruciata per strada dal marito. Proseguita nel tam tam delle ribattute delle agenzie di stampa italiane, che per giorni hanno raggiunto le redazioni di tutto il Paese. E non ancora finita».
Credo che non si stato semplice per Emilia Condarelli e Maria Antonietta Rositani sedersi ad un tavolo insieme e ricostruire questa vicenda per come loro lo hanno fatto, e poi scriverne un racconto così completo, di grande forza espressiva, suggestivo e violento insieme, e questo lo intuisco dai dettagli cruenti con cui le due donne ci fanno rivivere questa assurda storia di un amore malato. Questo è il passaggio che descrive la disperazione di Maria Antonietta Rositani avvolta dalle fiamme e che cerca sollievo in una pozzanghera d’acqua putrida.

La presentazione del libro “Io non muoio” nel Salone dei Lampadari del Comune di Reggio Calabria

«Con scatti rapidi e confusi affonda le mani in una pozzanghera tra le crepe dell’asfalto e beve di quell’acqua putrida. Ingoia assetata, bagnando viso e braccia. L’acquitrino le sembra essere una fonte miracolosa. Ma il fuoco, che le sta mangiando il corpo, continua ad ardere. Si spoglia degli abiti con un gesto talmente rapido da sembrare un unico movimento. Lancia il cappotto scuro, fa scivolare rapida il vestito e lo scaraventa lontano. Poi si alza dalla pozza e corre in cerca di scampo da un lato all’altro della via. La scena somiglia ad una cupa sequenza di “Blade Runner” con la disperata fuga di una replicante che non riuscirà a sfuggire alla distruzione. Il tilt di una realtà priva di pensiero e sentimenti».

Maria Antonietta Rositani

Emilia e Maria Antonietta non ci fanno mancare nulla nel loro racconto, perfettamente consapevoli forse del disagio di chi legge la loro storia per la prima volta spiegano straordinariamente bene cosa realmente le ha spinte a ritrovarsi insieme. Sentite cosa scrivono.
«Abbiamo condiviso quel dolore con l’impaccio e il fastidio di parlarne. È stato un confronto spontaneo, a cuore libero e mente aperta. Doloroso. Ci siamo dette parole affilate quanto lame per capire e reagire. Da allora è trascorso qualche anno, tante cose sono cambiate, ma non la parola che ci siamo date in quel primo incontro, quando abbiamo infilato, con un pennarello rosso, un cuore tra le dita e scritto su un cartello #STOPVIOLENZA, con la promessa di metterci la faccia».
“Metterci la faccia”, vuol dire trasformare una vicenda così dolorosa in una battaglia sociale, in difesa delle donne, contro ogni forma di violenza, e contro ogni tentativo di sopruso.
«Intendiamo parlare di una questione scomoda senza peli sulla lingua – precisano le due donne nel libro – con una consapevolezza rigenerata. L’umanità è smarrita e adesso deve ritrovarsi. Scavare per riempire gli spazi tra quanto ci avevano insegnato e quello che siamo diventati. Femminicidi, stupri, aggressioni, abusi familiari sono in aumento. Pericolosamente in crescita il disagio e la ferocia metodologica delle violenze, diventate più brutali e crudeli».

Maria Antonietta Rositani ed Emilia Condarelli

La drammatica vicenda di Maria Antonietta Rositani, insieme con l’esperienza di Emilia Condarelli, una donna che lavora in cronaca da trent’anni nel Sud di un paese europeo, «in un mondo che non è per donne, sono un equipaggiamento d’analisi, ragionamento e reazione. Ma anche di indagine sociale».
Se posso dirlo, questo è un libro che andrebbe fatto girare, un libro da leggere, di cui discutere, da esportare dovunque, che andrebbe diffuso nelle scuole e nelle università, da farne oggetto di discussione anche nei nostri corsi di formazione deontologica, perché è un libro che fa molto riflettere, e che può insegnare al mondo esterno molte cose, soprattutto a quelle donne che non sempre trovano il coraggio di uscire dal cono d’ombra in cui le proprie storie d’amore, impossibili assurde e malate, le hanno relegate e rinchiuse. Anche se a questo libro, scrivono alla fine le due autrici, manca ancora un capitolo.
«Quello delle storie che nessuno racconta. I piccoli semi della violenza nascosti nel terreno umido e fertile di stanze chiuse e silenziose, nell’ordinarietà delle vite quotidiane di ognuno di noi. Sogniamo di espiantare quei grani malati, di impedirne il germogliare».
E qui la provocazione finale, che Emilia Condarelli e Maria Antonietta Rositani lanciano nello stagno della vergogna: «Potremmo farlo soltanto insieme, noi che scriviamo e tu che leggi. Il tuo contributo, anche in forma anonima, servirà per fare una fotografia. Un’immagine delle molteplici sfaccettature di cui si compone il prisma della violenza, che si sia oppressi, carnefici o spettatori. Un ritratto autentico, firmato dalle persone. È un’iniziativa ambiziosa, sulla quale siamo convinte di dover scommettere. Per rendere possibile questo lavoro di ricerca, al termine del libro troverai alcune pagine bianche, un bloc-notes per le tue riflessioni. Potrai riconsegnarle in libreria: costituiranno un pezzo della strada che abbiamo già iniziato a costruire. Il nostro lavoro contro la violenza è cominciato fin dal giorno dell’aggressione e attraverso questo libro continuerà nelle strade, nelle piazze, nelle case, nelle scuole. Ovunque ci sia una possibile vittima ed un potenziale persecutore». Come cronista, lo confesso, non si finisce mai di imparare. (giornalistitalia.it)

Pino Nano

 

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