Il direttore dell’Ansa racconta l’appassionato e complicato rapporto con il padre Ignazio

Luigi Contu ricorda perché “I libri si sentono soli”

Luigi Contu

ROMA – «Luigi, ricordati che senza la lettura la vita di una persona è destinata a restare povera. Leggere ci arricchisce, ci fa fare viaggi incredibili, ci fa conoscere nuovi mondi. I libri vivono una vita propria che si incrocia con la nostra. Se li lasci abbandonati sugli scaffali per troppo tempo si intristiscono. Non basta comprarli e leggerli. Vanno vissuti, curati, consumati, soprattutto quelli che ti sono piaciuti di più o che ti hanno colpito, emozionato, magari turbato. Sono come degli amici, magari ti allontani per qualche tempo, ma poi sei felice di ritrovarli. Devi continuare a viverli anche dopo che hai finito di leggerli, così come faceva tuo nonno con l’Ulisse. Lo riprendeva spesso in mano, rileggendone ogni tanto qualche brano. E concludeva con una frase che mi è sempre rimasta dentro, e che, da giovane, mi suonava stravagante: “I libri si sentono soli, Luigi, proprio come noi”. Era così convinto di questa sua idea che in casa sua li spostava spesso, penso proprio perché temeva che potessero sentirsi trascurati».
Ho appena finito di leggere “I libri si sentono soli” (La nave di Teseo, 265 pagine, 20 euro) il libro scritto da Luigi Contu, direttore dell’Ansa, e la cosa mi ha emozionato e coinvolto moltissimo. Perchè dentro questo libro c’è tutta la passione mai dichiarata prima tra padre e figlio, c’è la storia di un rapporto tra padre e figlio complicato, c’è l’emozione di doversi confrontare con un padre importante e ingombrante, c’è il dubbio che il padre non colga a pieno le emozioni del figlio, e viceversa, c’è forse anche il peso di avere a che fare con un grande maestro del giornalismo che vive con te nella tua stessa casa, perché è tuo padre, appunto il padre Ignazio Contu, e il dubbio che nel giudizio del padre il figlio sia negato per questo mestiere, o peggio ancora che il padre pensi che lui non sia capace di farlo fino in fondo.
Insomma, tutte queste cose insieme fanno di questo libro un affresco di famiglia che solo lui, Luigi, avrebbe potuto darci così bene, e un ritratto di quegli anni in cui suo padre era uno dei “grandi del giornalismo italiano” che solo un figlio avrebbe potuto raccontarci in maniera così sublime.

Luigi Contu con il padre Ignazio

«Un libro – dice Luigi presentandolo nella sede di Italia Nostra a Roma – che pensavo di non poter scrivere, di non esserne capace, poi la mia editor mi ha suggerito una chiave di lavoro che alla fine mi ha portato fin qui».
Bello, intenso, coinvolgente, a tratti superbo, questo libro è un romanzo straordinario, direi il romanzo privato della famiglia Contu (la dedica dice “Ai Contu di ieri, oggi, domani. E ai loro libri”), a cui Luigi ridà finalmente unità sostanziale e forma completa, partendo proprio dal racconto controverso, sofferto, difficile, che lui aveva con suo padre «che a casa non c’era mai per via del suo lavoro» o che quando c’era «era distratto da mille impegni e pensieri diversi».
«L’ultima volta che vidi mio padre mi parlò di libri. Era sdraiato su un letto del Policlinico Gemelli di Roma. La mattina dopo doveva essere operato al rene a causa di un tumore scoperto pochi mesi prima. Benché i medici si professassero ottimisti sull’esito dell’intervento, in famiglia eravamo tutti comprensibilmente preoccupati: aveva pur sempre ottantadue anni e qualche recente malanno lo aveva indebolito. Purtroppo le cose andarono male, morì in due giorni per complicanze post operatorie».
Superbo, è davvero superbo il ritratto che il figlio ci regala di suo padre-giornalista, oggi due generazioni completamente diverse a confronto – giornalista il primo, giornalista l’altro – ma è evidente che il cordone ombelicale tra padre e figlio resista ancora al tempo, e gli insegnamenti del padre sul letto di morte siano ancora vivi e prepotentemente presenti nella sua vita di ogni giorno.

Ignazio Contu con Amintore Fanfani

«Quel giorno mio padre mi raccontò del colloquio che ebbe con Amintore Fanfani, quando nel 1987 gli propose di diventare suo portavoce alla Presidenza del Consiglio. Non appena cominciammo a parlare feci presente al presidente che non avevo mai votato per la Democrazia cristiana. Poi gli rivelai che ero divorziato, temendo che ciò potesse costituire un ostacolo insormontabile a lavorare insieme poiché lui era stato il leader del fronte antidivorzista al referendum del 1974. Mi rispose brusco: “Queste, Contu, sono bischerate da preti! Le pongo un’unica condizione: se accetterà l’incarico non potrà possedere nemmeno una lira in azioni, al massimo titoli di Stato. E niente consulenze con aziende private o pubbliche.

Luigi Contu

Chi lavora per lo Stato deve essere al di sopra di ogni sospetto”. Capisci che senso delle istituzioni aveva? Come pensi che possa piacermi la classe politica di oggi? Il tema dell’etica in politica, della separazione tra potere economico e potere politico: da vero liberale mio padre lo riteneva cruciale. E oggi quelle parole di Fanfani suonano ancor più attuali».
Quale migliore lezione di giornalismo affidare a un figlio che per mestiere fa il giornalista come te se non questa? Il rigore morale prima di tutto. Al di sopra di tutto. Oltre qualunque altra considerazione al mondo. Ma è solo un dettaglio questo della loro storia tra padre e figlio, e soprattutto tra maestro e discepolo.
«Quando iniziai a collaborare per il piccolo quotidiano economico Ore 12 di Roma, lo chiamavo al telefono per leggergli i miei articoli prima di consegnarli al caporedattore: mi faceva osservazioni sempre pertinenti che miglioravano i periodi e semplificavano, sciogliendole (è il verbo che lui stesso usava), le frasi. Penso spesso, con malinconia, a quanti punti di questo racconto avrebbe potuto sistemare. Mi sembra di sentirlo: “Luigi, qui puoi togliere questo gerundio, così faciliti la lettura…”.

Ignazio Contu

Era di una precisione quasi maniacale nel rivedere i testi, nel cercare sempre i vocaboli che dovevano essere strettamente attinenti all’esatto significato che si voleva esprimere con quella parola, nel controllare congiunzioni e avverbi. Odiava l’abuso dei “quindi” e degli “infatti”. “Sono le stampelle degli ignoranti,” sentenziò una volta nella sala stampa del Senato conversando con Giuseppe Tito, allora giovane cronista politico, oggi responsabile della redazione parlamentare dell’Ansa. Quando scriveva aveva sempre più di un dizionario a portata di mano: nel suo studio ne abbiamo contati più di quaranta».
Un padre ingombrante? Molto di più. Assolutamente molto di più. Certamente, un padre fisicamente assente e poco presente in casa, ma onnipresente nella vita vera di Luigi, capace anche di regalare al figlio emozioni impensabili, come quel giorno, per esempio, in cui il padre passa a prenderlo a casa per portarlo allo stadio Olimpico di Roma.

Gigi Riva

«Mi portò a vedere il Cagliari di Gigi Riva, in quegli anni squadra formidabile e orgoglio di tutti i sardi. Ci sedemmo sulle panchine di legno verdognole e un po’ umide della tribuna Tevere, ero emozionato, al settimo cielo. Ero felice di vivere quell’evento con lui, anche perché stavamo per vedere il più forte attaccante italiano che giocava per la nostra squadra del cuore (due anni dopo io diventai tifoso della Roma, traviato da mio zio Franco, fratello minore di mio padre, al quale sono stato affezionatissimo). Il mio entusiasmo scemò quando mi accorsi che al fischio d’inizio arbitrale si mise a leggere il giornale. E lo richiuse soltanto tra il primo e il secondo tempo per farmi compagnia».
Un padre giornalista fino in fondo, fino all’esasperazione, fino alla nausea. Una mattina di domenica del 1975 se lo porta anche dietro a lavoro, al Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana. Qui il racconto che ne fa Luigi è un racconto senza rete, dai toni confidenziali come lo è tutto il suo romanzo, ma senza nascondere nulla delle sue emozioni di allora e della distanza abissale che c’era allora tra lui e suo padre.

Luigi Contu

«Rimasi stupefatto nel vedere il Palazzo dello Sport dell’Eur stracolmo di gente che scandiva a gran voce il coro “Zac-Zac-Zaccagnini”, l’esponente democristiano che proprio quel giorno fu eletto segretario del partito. Sembrava di essere allo stadio: quelle persone si agitavano e strillavano come forsennati e io proprio non riuscivo a capire come potessero essere così coinvolte per quel noiosissimo congresso politico».
A volte i padri non si rendono conto che i figli, almeno la domenica, hanno bisogno di cose diverse da quello che poteva essere invece un congresso di partito, ma in quel caso per fortuna Ignazio si rende conto che Luigi si era annoiato, e allora decide di fargli un regalo. Era un modo il suo, forse, per farsi perdonare, ma in realtà Ignazio non fa che peggiorare il clima di quel giorno.
«Sperai per un attimo che mi portasse al vicino luna park dell’Eur, dove una volta eravamo già andati insieme a mio fratello maggiore, o magari a vedere il nuovo fi lm di Bud Spencer e Terence Hill, che adoravo. E invece si fermò a una bancarella di libri usati e comprò la Storia del Partito Comunista Italiano di Paolo Spriano. Non era per lui. Con aria molto soddisfatta me la consegnò: “Ecco un’opera che ti servirà se vorrai fare il giornalista”. Quello era il suo regalo per un adolescente di tredici anni. Mi tornò effettivamente utile una decina di anni dopo quando, giovanissimo, intervistai Giancarlo Pajetta, allora responsabile esteri del Psi, in un albergo di Rimini».
Come dire? Le lezioni di giornalismo per Luigi non finiscono davvero mai. E dopo avergli, per la prima volta in vita sua quel giorno in ospedale, raccontato del dolore provato dopo la separazione dalla mamma, “Ti voglio dire che mi dispiacque tantissimo, so che avete sofferto. Anche io in quegli anni sono stato molto male”, il grande Ignazio Contu affida a suo figlio il suo ultimo testamento spirituale, e di cui oggi Luigi, grazie anche a questo libro bellissimo, è unico e fiero testimone del suo tempo.
«“Prima che tu vada via devo lasciarti una cosa” mi annunciò all’improvviso, cambiando il tono della voce. Il suo sguardo si fece concentrato, come quando cerchiamo di ricordare un nome o un luogo ma non ci riusciamo. “A cosa stai pensando?” gli domandai, sorpreso dalla sua espressione. “Ai libri, ai nostri libri, Luigi” esclamò, mentre prese a scrivere di getto. È da questa frase che inizia la storia che vorrei raccontare».
Che è alla fine storia di libri gelosamente conservati, libri da rileggere, libri da custodire con cura, libri da far leggere a chi ne avesse voglia e desiderio, libri indomma che raccontano nei fatti la lunga epopea dei Contu, che dalla Sardegna arrivano a Roma emigranti, e a Roma diventano poi la più importante e la più gloriosa dinastia del giornalismo italiano.
«Nello studio in alto a destra – mi ricordava mio padre – ci sono i libri sulla Sardegna. Alcuni sono ormai introvabili, se non in qualche biblioteca universitaria, come il Dizionario sardo-italiano, il diario di viaggio di La Marmora, e poi carte, documenti, fotografi e di fine Ottocento. La letteratura italiana è lungo il corridoio, insieme alle riviste dirette da mio padre, in alto troverai gli autori stranieri. Andò avanti a scrivere quasi per una mezz’ora. Mi stava tracciando una mappa per orientarmi in un oceano di carta». Un inno alla lettura, alla riscoperta dei libri, il grande sipario delle biblioteche che nasconde il sapere del mondo, e Luigi tutto questo lo ha scoperto rimettendo mano alla biblioteca di suo padre e dei suoi avi. Semplicemente sublime la sua considerazione finale.
«Ho realizzato – scrive Luigi Contu – di avere intrapreso un viaggio a due dimensioni: nella vita della mia famiglia e nella storia d’Italia, tenute insieme dalle emozioni che si sprigionavano di giorno in giorno dalle scatole che aprivo, dalle pagine che leggevo, dalle fotografi e che osservavo, dagli oggetti che toccavo. Un viaggio apparentemente senza una meta, senza una bussola.

Luigi Contu con lo storico direttore dell’Ansa Sergio Lepri

Il percorso veniva deciso dal caso e ogni libro mi portava dove mai avrei pensato di arrivare. Ora mi rendo conto che sono arrivato in un luogo sconosciuto senza mai perdermi: ho semplicemente seguito il filo della poesia, della scienza, della passione per la conoscenza».
Questo libo non è solo un romanzo. È anche una bellissima fiaba moderna, o forse, molto di più, una poesia d’amore che il figlio Luigi Contu, giornalista per mestiere, dedica a suo padre, Ignazio Contu, grande e indimenticabile maestro del giornalismo italiano. (giornalistitalia.it)

Pino Nano

CHI È LUIGI CONTU

Nato a Roma il 27 novembre 1962,  Luigi Contu è giornalista professionista iscritto all’Ordine del Lazio dal 18 giugno 1985.

Luigi Contu

Inizia la sua carriera negli anni ’80 al giornale economico Ore 12 per poi collaborare per due anni alla redazione economica dell’Ansa, dove viene assunto nel 1987.
Dopo tre anni, passa alla redazione politico-parlamentare continuando ad occuparsi di economia e finanza, seguendo da vicino il lavoro delle commissioni parlamentari e l’attività del governo sul fronte dei conti pubblici.
Nel 1997 assume la guida della redazione politica e, successivamente viene nominato vicedirettore dell’Agenzia con il compito di coordinare l’informazione politica e i rapporti con il mondo istituzionale. In quegli anni viene eletto prima segretario e poi vicepresidente della Associazione Stampa Parlamentare.
Nel 2004 viene chiamato a capo della redazione interni del quotidiano la Repubblica, che condurrà fino al 2009. Dal 10 giugno 2009 è direttore dell’agenzia di stampa Ansa. (giornalistitalia.it)

Luigi Contu

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