Stefano Maria Bianchi vince in Cassazione: collaboratore autonomo solo sulla carta

Inviato speciale a partita Iva: condannata la Rai

Stefano Maria Bianchi

ROMA – La Suprema Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte di Appello di Roma, sezione Lavoro, ha decretato la definitiva sussistenza, di un rapporto di lavoro giornalistico subordinato a tempo indeterminato, con mansioni di inviato speciale tra il giornalista Stefano Maria Bianchi, assistito dagli avvocati Vincenzo Iacovino e Piepaolo Passarelli, e la Rai Radiotelevisione Italiana spa a far data dal 13 febbraio 1996 e la giuridica prosecuzione del rapporto.

L’avv. Vincenzo Iacovino

La Rai ora dovrà corrispondere al giornalista tutte le differenze retributive dovute, rispetto a quanto percepito, dal 13 febbraio 1996, oltre interessi e rivalutazione monetaria per poi procedere alla regolarizzazione della posizione contributiva e assicurativa.
Respinti in toto gli undici motivi di censura formulati dalla Rai, tesi a paralizzare ogni diritto rivendicato. I giudici supremi hanno, così, enunciato alcuni principi di importanza fondamentale per i giornalisti, stabilizzati e precari.
Per i giudici, i vari contratti di lavoro a termine, come programmista regista, per il periodo che va dal 13 febbraio 1996 al 15 giugno 2001, nonché i molteplici contratti di collaborazione autonoma a partiva Iva, per il periodo compreso tra l’8 settembre 2001 e il 31 agosto 2011, sono stati tutti simulati e in frode alla legge e al contratto nazionale di lavoro applicabile ai giornalisti, per aver dissimulato il diverso rapporto di lavoro subordinato giornalistico di fatto svolto e intercorso tra le parti a far data dal 13 febbraio 1996, giorno in cui il giornalista si è iscritto nell’elenco professionisti dell’albo dei giornalisti.

La Corte di Cassazione al “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma (Foto Giornalisti Italia)

Il giornalista, che ha prestato la sua attività professionale in programmi di approfondimento giornalistico come l’Errore, Film vero, Cronaca in diretta, Circus, Raggio Verde, Sciuscià, C’era una volta, Ballarò, Anno Zero, è stato una figura di riferimento e uno di principali collaboratori di Michele Santoro e Giovanni Floris realizzando, da inviato, inchieste di cronaca con servizi e dirette sul campo, arrivando a vincere il premio Ilaria Alpi per un servizio sulla mafia.
La Cassazione, ritenendo acquisito che il lavoro giornalistico, in presenza di tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza, possa essere espletato oltre che presso le testate giornalistiche, anche nell’ambito di programmi, ha ritenuto dimostrate le mansioni di inviato speciale per l’intero periodo lavorato, in regime di subordinazione, sulla base della prova testimoniale che confermava come il dipendente fosse inserito nell’organizzazione aziendale al pari degli altri giornalisti formalmente dipendenti della “Rai”, realizzasse servizi sulla base delle disposizioni ricevute dal direttore, partecipasse alle riunioni redazionali, dovesse rispettare gli orari giornalieri di redazione, utilizzasse un computer messo a disposizione dalla società e avesse una sua postazione fissa.

L’avv. Pierpaolo Passarelli

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, i giudici hanno dato prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, sottolineando che queste assumono ancor più rilievo anche per via della lunga durata del rapporto professionale, ben 28 anni, e dunque per la dedotta simulazione e/o operazione in frode alla legge.
La Suprema Corte, oltre alla subordinazione riconosce, in capo al giornalista, le mansioni di inviato speciale, ritenendo che la clausola contrattuale – che prevede la necessità del conferimento dell’incarico in forma scritta nell’ambito di un rapporto formalizzato – non impedisce l’accertamento dell’effettiva attività esercitata ai fini del riconoscimento della qualifica professionale.
La Corte afferma che la posizione professionale dell’inviato speciale, prevista dal contratto collettivo giornalistico, è definita dalla destinazione del giornalista a svolgere in via permanente servizi esterni – sul luogo degli avvenimenti – e dall’attribuzione della responsabilità complessiva dei servizi che rientrino nelle sue specifiche competenze, fermo l’obbligo di prestare attività di redazione, sia pure con orario ridotto, in assenza d’impegno in servizi esterni. Per i giudici non è, infatti, applicabile l’eccepita prescrizione in quanto nessun termine decorre in costanza di rapporto di lavoro precario riconosciuto stabile solo con sentenza.
Per la Cassazione l’inerzia del lavoratore, per non aver impugnato i contratti a termine e di collaborazione intercorsi dal 1996 al 2011, non ha l’effetto di precludere l’accertamento della reale natura del rapporto svolto, ovvero l’intento elusivo/fraudolento della conclusione di contratti a termine o solo apparentemente autonomi.
Insomma, per i giudici delle leggi affinché possa configurarsi la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che costituisce pur sempre una manifestazione di volontà negoziale, anche se tacita, è necessaria una chiara e certa volontà consensuale di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, mentre non è sufficiente un atteggiamento meramente remissivo del lavoratore.
Così come neppure le dimissioni rassegnate dal lavoratore, nel corso del rapporto di lavoro, interrompono la sequenza dei rapporti a termine nell’ottica di una considerazione unitaria degli stessi ai fini della valutazione della simulazione e pertanto della frode. Le dimissioni, infatti, pur avendo effetto sul rapporto formalmente intercorso tra le parti, non cancellano il diritto all’accertamento del diverso rapporto giornalistico di fatto svolto e le conseguenze di ordine economico che derivano da tale illegittimità.
Per la Cassazione anche l’intervenuta transazione tra le parti non è preclusiva dell’accertamento del rapporto di lavoro giornalistico dissimulato, difettando la volontà del lavoratore di transigere con riguardo alla reale natura del rapporto, con la conseguente non incidenza della predetta transazione sul diritto all’accertamento della reale natura del rapporto di lavoro di fatto svolto.
Infine, gli Ermellini con riferimento ai contratti a termine, hanno ritenuto tempestiva l’azione introdotta entro i 270 giorni dalla scadenza del termine, per l’impugnativa stragiudiziale, di 60 giorni, come prorogato dal cosiddetto “decreto milleproroghe”, ossia dall’entrata in vigore del decreto milleproroghe del 21 dicembre 2011.
Con riferimento alle collaborazioni autonome la Suprema Corte ha ritenuto valido il principio secondo cui «quando un rapporto di collaborazione autonoma si risolva per effetto della manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessi per la sua naturale scadenza, l’azione per l’accertamento della subordinazione e la riammissione in servizio è esercitabile nei termini di prescrizione decennale, senza essere assoggettata al regime decadenziale previsto dalla legge Fornero di cui all’art. 32, comma 3, lett. b) della l. n. 183 del 2010, poiché il regime in questione si applica al solo caso di “recesso del datore dei lavoro” e non è estensibile alle ipotesi in cui manchi del tutto un atto che il lavoratore abbia interesse a contestare o confutare.
In ogni caso, per i giudici l’ipotesi della frode – ritenuta ricorrente nel caso in esame – cui è riferita, con valenza di decisività, rende irrilevante l’inerzia e la mera illegittimità del termine apposto al contatto di lavoro.
Grande la soddisfazione del giornalista, assistito dagli avvocati Vincenzo Iacovino e Pierpaolo Passarelli. Stefano Maria Bianchi, nel frattempo, era già stato riammesso in servizio nel 2018 in esecuzione della decisione della Corte di Appello.
Ora il giornalista potrà esigere, oltre che il definitivo inquadramento come inviato speciale, dal 13 febbraio 1996, anche il trattamento economico di vice caporedattore a partire da giugno 2023, come da recente accordo sindacale. (giornalistitalia.it)

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