ROMA – Il Jobs act prende forma. Passa alla fase attuativa e per il premier Matteo Renzi è “una rivoluzione copernicana” che lancia sul mercato del lavoro il nuovo contratto a tutele crescenti, restringe il campo di applicazione dell’articolo 18 e riforma gli ammortizzatori sociali. Non più solo titoli ma misure dettagliate e operative dopo il Consiglio dei Ministri del 24 dicembre che ha messo a punto due decreti attuativi. Ma, passato il giorno di Natale, anche i giudizi diventano netti.
E’ il momento delle critiche. Lo sconto si accende in particolare sui licenziamenti collettivi, una delle novità spuntate in Consiglio dei ministri. Il no della Cgil resta, nonostante lo scampato pericolo dell’opting out che prevedeva la possibilità per il datore di lavoro di “superare” il reintegro con un super-indennizzo. Per il sindacato guidato da Susanna Camusso si tratta di un “via libera a licenziare lavoratori singoli e gruppi di lavoratori”.
Le regole investono, infatti, anche i licenziamenti collettivi, fatto che non piace inoltre alla sinistra del Pd, che con Cesare Damiano annuncia battaglia. Ma la schiera dei delusi, non finisce qui. Vira anche a destra. Storce la bocca Ncd, con Maurizio Sacconi che accusa: “E’ mancato il coraggio delle grandi scelte”.
Non commenta per ora Confindustria, che fa sapere, però, che si tratta di norme a lungo attese dagli imprenditori. Tornando alle norme, il primo decreto attuativo della delega sul lavoro introduce il nuovo contratto a tempo indeterminato e modifica le tutele in caso di licenziamento illegittimo. Tutte novità che entreranno in vigore appena completato il passaggio parlamentare (con il parere delle commissioni) e pubblicato il testo in Gazzetta Ufficiale. Qualche modifica, quindi, è ancora possibile anche se il premier Renzi ha messo la faccia sul testo.
Resta, invece, il reintegro sul posto di lavoro quando si è stati cacciati per vie discriminatorie o nulle per legge. La “riassunzione” vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto “materiale”, deve avere quindi concretezza, è dimostrato insussistente.
In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in quelli economici, tutto si risolve con un indennizzo, che va da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, ridotte a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Che, infatti, danno la loro approvazione in modo deciso e con un sondaggio di Cna sottolineano che rende i contratti più stabili.
Rimane la possibilità di percorrere la strada della conciliazione, accettando un assegno di massimo 18 mensilità esentasse. Un articolo del decreto è, poi, riservato ai licenziamenti collettivi, anche per questi scatta l’indennizzo se vengono violate le procedure che regolano lo strumento.
Le modifiche non riguardano, invece, i dirigenti e quanti risultano già contrattualizzati. Ma c’è un’eccezione, quella di lavoratori che si ritrovino in aziende dove viene superato il limite dei 15 dipendenti: il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri, pur se “veterani”. Ciò ricordando che l’articolo 18 finora non è mai stato applicato alle piccole imprese.
Scoperte le carte in tavola, un gioco di cui Renzi si è preso “la responsabilità”, è il momento delle reazioni. Per la Cgil “più che di rivoluzione copernicana, siamo ad una delega in bianco alle imprese a cui viene appaltata la crescita” e quel che rimane “è un contratto a scadenza variabile”, con “monetizzazione crescente dei diritti”.
Dura anche la Uil, secondo Carmelo Barbagallo, è il momento di avviare “un percorso comune con Cgil e Cisl”. Anche la Cisl che, unica a non avere scioperato contro il Jobs act, non risparmia osservazioni: “Il testo del Governo sul Jobs act è ancora migliorabile, in particolare per quanto riguarda le norme sui licenziamenti collettivi”.
Un punto che non piace neanche a Damiano, che trova da ridire pure sulla riforma degli ammortizzatori, con la nascita della Naspi in sostituzione dell’Aspi targata Fornero. Damiano plaude all’ampliamento della durata a 24 mesi e dell’estensione della platea anche ai collaboratori, ma esprime dubbi sulle risorse (mancherebbero all’appello “400 milioni per il 2015”). E secondo l’ex sindacalista Fiom il fatto che si parte dal primo maggio, oltre a indicare una data simbolica, la festa del lavoro, potrebbe anche nascondere un “problema di coperture” (bisognerebbe intanto continuare a finanziare gli ammortizzatori in deroga).
Per il Pd all’attacco va anche Stefano Fassina, “è un cambiamento regressivo”, e Pippo Civati, che ribattezza il decreto in “contratto a tutele ridotte”. Per i Cinque Stelle, Luigi di Maio parla di “fregatura” e Forza Italia ironizza con Giovanni Toti: “tra i tanti «pacchi» giunti agli italiani in questi giorni è arrivato anche questo”. Tra le fila del governo, amaro il giudizio di Sacconi: “Avverto molta delusione” perché “la montagna ha partorito il topolino”. (Ansa)
Ecco le tutele crescenti, ossatura del nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato. Lo schema di decreto legislativo presentato il 24 dicembre attua la delega in 12 articoli, centrati sulle modifiche ai licenziamenti, sia individuali che collettivi.
LICENZIAMENTI INDIVIDUALI. REINTEGRO O INDENNIZZO?
Per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio (che beneficeranno degli sgravi triennali previsti dalla legge di stabilità), si esclude nei casi di licenziamenti economici la possibilità del reintegro del lavoratore, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio. Si limita poi il diritto al reintegro ai licenziamenti discriminatori, nulli e intimati in forma orale, nonché ai licenziamenti disciplinari ingiustificati in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. Non solo, la riassunzione scatta anche quando il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivi legati all’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.
NIENTE OPTING OUT
Non c’è nel testo alcun riferimento all’optiong out che non è stato approvato dal governo. Non ci sarà così la possibilità, per le imprese, nel caso in cui il giudice preveda il reintegro, di evitare la riassunzione pagando un maxi-indennizzo.
INDENNIZZO DIVERSIFICATO PER IMPRESE PICCOLE E GRANDI
In tutti i casi di indennizzo, quindi per i licenziamenti ingiustificati di tipo economico e per parte di quelli disciplinari, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro. Invece per le imprese fino a 15 dipendenti l’indennizzo è dimezzato e non può in ogni caso superare il tetto delle sei mensilità.
NOVITA’ ANCHE PER LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Per quelli che vengono intimati in forma orale è previsto il reintegro, come del resto per gli individuale. Invece per i licenziamenti collettivi che presentano un vizio di procedura o di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da mettere in uscita scatta l’indennizzo sulla base di due mensilità per anno, con un minimo di 4 mensilità. La disciplina del Jobs act si estende così anche ai casi di crisi aziendali.
ARRIVA IL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE
Viene istituito un Fondo per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria (50 milioni per il 2015 e 20 per il 2016). Il lavoratore licenziato illegittimamente avrà così il diritto di ricevere un voucher, che presentato a un agenzia per il lavoro porterà alla sottoscrizione di un contratto di ricollocazione. La riscossione del voucher da parte dell’agenzia è subordinata al raggiungimento del risultato.