BUENOS AIRES (Argentina) – La giustizia dell’Argentina sta rendendo note le indagini su una presunta rete di spionaggio illegale condotta ai danni dei principali protagonisti della scena politica, giudiziaria, giornalistica ed imprenditoriale del Paese. L’indagine, condotta dal procuratore federale Gerardo Pollicita, si apre nel pieno della campagna elettorale per il ballottaggio presidenziale del 19 novembre e secondo le prime ricostruzioni sembrerebbe rivelare una responsabilità di funzionari legati al peronismo della famiglia politica di Cristina Kirchner.
Le operazioni di spionaggio avrebbero, comunque, interessato tutti i protagonisti dello spettro politico, compresi i peronisti oggi al governo, passando per i due candidati alle presidenza e leader di altri partiti. Il principale imputato è Ariel Zanchetta, al servizio della polizia argentina per 25 anni, parte dei quali spesi in formazione per lavori di intelligence.
Arrestato a giugno scorso con l’accusa di aver spiato giudici della Corte Suprema, Zanchetta avrebbe commissionato intercettazioni telefoniche e informatiche, arrivando a costruire un archivio di quasi 1.200 rapporti personali, scoperto dalla polizia grazie alla perquisizione.
Gli inquirenti stanno ora acquisendo prove sulle destinazioni ultime dei rapporti. Tra queste, al momento, emergono conversazioni tra Zanchetta e un deputato peronista, Rodolfo Taihade, cui l’indagato avrebbe offerto previo compenso delle conversazioni riservate tra alti funzionari della giustizia e di governo. In più si parla delle richieste di spionaggio arrivate direttamente dal responsabile comunicazione dell’agenzia delle entrate (Administracion Federal de Ingresos Publicos, Afip), uomo vicino al deputato Maximo Kirchner, figlio della vice presidente Cristina.
Tra i dirigenti politici finiti nel mirino di Zanchetta compaiono i tre principali protagonisti della sfida presidenziale: il ministro dell’Economia Sergio Massa e il leader ultra liberista Javier Milei, entrambi giunti al ballottaggio, ma anche l’ex ministra della Sicurezza, giunta terza al primo turno, Patricia Bullrich.
Si parla poi del presidente Alberto Fernandez, del governatore della provincia di Buenos Aires Axel Kicillof, dell’ex sindaco della capitale Horacio Rodriguez Larreta. Ma dossier si trovano su numerosi altri protagonisti, dal cugino dell’ex presidente Mauricio Macri, Jorge, allo storico leader della sinistra Juan Grabois, ad Elisa Carriò, figura molto dibattuta per le sue provocazioni politiche.
Il caso non farà che arricchire di temi il dibattito per il ballottaggio presidenziale. La situazione di partenza dei due sfidanti è quella segnata al primo turno del 22 ottobre: Milei, vincitore assoluto delle primarie, ha ottenuto il 29,9 per cento dei voti contro il 36,7 per cento ottenuto dal candidato del centrosinistra, il ministro dell’Economia, Sergio Massa.
Per recuperare terreno, Milei ha varato all’indomani della chiusura delle urne una decisa svolta alla sua strategia: se fino ad allora il nemico giurato era la classe politica tutta, riassunta nello slogan “o casta o libertà”, oggi si parla di “mettere una volta per sempre fine al peronismo”, più precisamente alla famiglia politica legata agli ex presidenti Nestor e Cristina Kirchner, protagonista da tempo della scena. Uno schema che ha permesso al leader de La libertà avanza (Lla) di ricevere il sostegno di Patricia Bullrich, la candidata conservatrice esclusa dal ballottaggio con il 23,8 per cento dei voti, e – soprattutto – dell’ex presidente, Mauricio Macri.
Due connubi che hanno creato qualche difficoltà all’elettorato affezionato alla versione più scapigliata di Milei e meno incline a patti con la “casta”, come testimoniano alcune scissioni consumate nei gruppi parlamentari della giovane formazione politica.
Distinguo sono arrivati anche dagli elettori di Bullrich e da alcuni nomi pesanti della coalizione di centrodestra, all’ipotesi di correre al fianco di un candidato che fino a poco prima lanciava accuse pesantissime nei loro confronti. È il caso, fra gli altri, dell’ex sindaco di Buenos Aires, Horacio Larreta, sconfitto alle primarie da Bullrich, ma titolare di un potenziale bacino di consensi che – ha garantito – non intende “regalare” al progetto dell’ultraliberale. Ciò nonostante, i sondaggi riservati di cui parlano numerosi giornali, prefigurano una parità tecnica tra i due candidati, se non un leggero vantaggio per Milei.
Determinante, stando alle ricostruzione dei media, potrebbe essere stato in questo senso l’intervento di Macri. Sotto la sua regia, Milei avrebbe attenuato la vis polemica, ridotto la sua presenza in video e sfumato alcune delle posizioni più radicali del programma politico, rivedendo tra le altre cose la brusca ritirata dello Stato da quasi tutti i settori della vita pubblica del Paese. Tutti elementi che potrebbero rendere più semplice, all’elettore del tradizionale centrodestra, votare per l’opzione comunque in grado di sconfiggere il “kirchnerismo”.
E non è un caso che Massa abbia celebrato la notizia dell’indagine che l’agenzia di valutazione indipendente del Fondo monetario internazionale (Fmi) aprirà a fine mese sul maxi prestito da 45 miliardi di dollari concesso nel 2018 proprio a Macri. Un prestito che per la sinistra, e per lo stesso Milei fino a non molto tempo fa, rappresenta la pietra tombale sulle finanze pubbliche del Paese. (agenzia nova)