ROMA – «Centinaia di migliaia di anziani sono costretti a pagarsi la loro morte in Rsa e in “case di riposo” private. Un business spaventoso sulla pelle dei più fragili. In queste strutture ben 100.000 persone sono tuttora sottoposte a contenzione».
È la spietata denuncia contenuta nel docufilm “La prigionia dei vecchi e degli inutili”, che la giornalista Barbara Pavarotti ha realizzato con la regia di Roberta Zanzarelli.
Venti minuti agghiaccianti, fitti di testimonianze e di gente che chiede di essere liberata dall’atroce destino a cui è stata condannata quasi sempre da un amministratore di sostegno.
Questa figura è stata istituita per legge nel 2004. Nata con le migliori intenzioni – tutelare chi non ce la fa da solo, nel suo esclusivo bene ed interesse – è diventata, negli anni, una “camicia di forza”. Un’interdizione mascherata. Perché gli amministratori di sostegno non hanno alcun limite al loro potere: bloccano subito i conti correnti; vendono beni e proprietà degli amministrati; li ricoverano contro la loro volontà; decidono dove devono vivere e quali cure devono seguire; possono isolarli dal mondo e spezzare legami affettivi decennali. Si sostituiscono agli amministrati in ogni decisione economica e pratica che li riguardi.
Gli amministratori di sostegno vengono nominati dai giudici tutelari, dietro istanza, spesso, delle stesse famiglie, che non sanno a cosa vanno incontro. Pensano che possano essere d’aiuto nella gestione del congiunto, invece si ritrovano poi esclusi da ogni scelta.
«Il loro operato – spiega Barbara Pavarotti a Giornalisti Italia – dovrebbe essere controllato dai giudici tutelari, ma la realtà è ben altra. I tutelari hanno troppo da fare e, una volta nominato il “sostegno”, ben raramente intervengono.
Si arriva al paradosso che l’ads (acronimo di amministratore di sostegno) può non fornire ai figli informazioni sanitarie sul genitore, in quanto “sono dati sensibili che non possono essere rivelati a terzi”». È la testimonianza di Carla, nel docufilm, la cui madre è morta senza che lei potesse sapere quanto fosse grave. Poi c’è il padre di Cristina, che è stato legato al letto per tre mesi solo perché ogni sera preparava il bagaglio per uscire dalla Rsa e voleva a tutti i costi andarsene. È morto. Muoiono tutti, muoiono soli, fra estranei, col divieto, imposto spesso dall’ads, di ricevere visite ritenute – ad esclusivo arbitrio dell’amministratore – “pericolose”. Perché costoro devono sospendere ogni contatto col mondo, altrimenti non si abituano. Nessuno di loro può mai più rivedere la propria casa, che, in genere viene smantellata e monetizzata dall’ads per pagare la retta del luogo di morte.
I divieti degli ads, avvalorati spesso col silenzio-assenso dei giudici tutelari, rasentano i “crimini contro l’umanità”. Violano diritti inviolabili garantiti costituzionalmente. A Rina, vissuta 24 anni con Sonya, l’ads ha vietato di vedere l’amore della sua vita, ricoverata in una struttura, per due anni. Rina ha saputo della morte di Sonya solo a funerali avvenuti.
Il giudice tutelare del compagno di Chiara – ricoverato in Rsa contro la sua volontà dal suo ads – le ha negato persino il permesso di poterlo portare a prendere un gelato. Lui si sta spegnendo chiedendo invano di tornare a casa da Chiara».
E tutto questo accade per una legge, la numero 6 del 2004, che è quanto di più vago ci sia, quindi si presta a ogni abuso e interpretazione distorta. La legge dice solo che l’ads «deve fare il bene del beneficiario, con la minore limitazione possibile». Ma a stabilire questo “bene” di fatto è una sola persona. «Come può – sottolinea Barbara Pavarotti – un unico individuo decidere il destino di un’altra? Quanto alla “minore limitazione possibile”, nel corso degli anni, è diventata un bluff. Gli ads, col giuramento, diventano pubblici ufficiali, ma abusano del loro potere alla grande, quasi sempre nella totale indifferenza dei giudici tutelari, che non hanno nemmeno un termine per rispondere alle istanze di chi segnala abusi e sopraffazioni. Possono rispondere dopo mesi o mai. E intanto i tutelati, per i quali il tempo è ormai agli sgoccioli, muoiono e il problema finisce».
«Questa – incalza la giornalista – è una realtà oscura di cui non parla nessuno, perché in ballo ci sono troppi interessi. I media si occupano di casi struggenti, di anziane in fuga dalla Rsa, ma mai osano toccare il problema che c’è dietro: l’amministrazione di sostegno.
Amministrazione data a pioggia quando sei anziano e cominci a sfarfallare. È questa davvero la soluzione giusta per chi invecchia? No. Gli anziani non devono mettere piede nei tribunali, non sono dei criminali, dice Paolo nel docufilm». Ogni volta che un anziano viene trascinato in tribunale senza nemmeno capire cosa gli sta accadendo è una sconfitta. Finisce intrappolato in un tunnel giudiziario da cui non uscirà mai. La liberazione è solo con la morte. «Fine pena mai – sottolinea l’associazione radicale “Diritti alla follia” – diventano detenuti senza processo con l’unica colpa di essere vecchi e di avere qualche infermità».
“La prigionia dei vecchi e degli inutili” è il primo e unico docufilm fatto finora in Italia su questo tema. Un tema scomodo e volutamente ignorato. Non è un lavoro, è una missione disperata. Perché, come dice uno dei tanti testimoni, Bruno, «io volevo solo morire a casa mia, che invece è stata affittata ad estranei e tutti i miei ricordi finiti chissà dove. In struttura ho una stanza, prima avevo una casa». Il diritto di morire a casa propria è inalienabile. E Maria dichiara: «Piuttosto che finire in Rsa preferisco suicidarmi».
“La prigionia dei vecchi e degli inutili” è dedicato a chi invecchia, a chi soffre, a chi sta perdendo se stesso. L’orrore non può essere negazione, va guardato in faccia, e il cuore deve sanguinare, altrimenti non ci sarà mai la volontà di cambiare le cose.
Nel 2016 il Comitato per l’attuazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ha chiesto all’Italia di «abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno”. «L’Italia – è l’amara conclusione del docufilm – non ha fatto nulla. E ormai, per fermare la “deportazione” quotidiana di centinaia di anziani, non resta che chiedere al Governo di introdurre un nuovo reato: quello di internamento coatto. Altrimenti tutti moriranno a stento in luoghi con le sbarre ai letti e alle finestre nelle nuove “prigioni” per vecchi».
Una straordinaria inchiesta giornalistica di elevato valore civile, quella di Barbara Pavarotti e Roberta Zanzarelli, in un Paese che non solo deve indignarsi davanti alle tante, troppe, vergogne che continuano a perpetrarsi, ma deve immediatamente porvi rimedio.
Al Governo Meloni, quindi, il compito di porre fine a queste aberranti degenerazioni che offendono e mortificano la dignità dei nostri “vecchi”. Di coloro ai quali tutti dobbiamo solo dire eternamente grazie. (giornalistitalia.it)
Bellissimo tema, di grande valenza morale. Dove è visionabile il docufilm delle due giornaliste?
E lo strapotere, improprio tutto, di medici e gestori dei reparti di rsa, che si arrogano, solo perché stai lì, il diritto di sentenziare che puoi o no uscire, quando non alcuna legge te lo vieta, visto che hai da tempo compiuto 18 anni?