ROMA – La Costituzione, negli Stati Uniti, è un elemento della democrazia che viene costantemente richiamato nella vita quotidiana perché, per come essa è stata concepita, dialoga costantemente con la vita degli americani.
Basterebbe solo guardare qualcuno dei tantissimi telefilm di ambientazione giudiziaria che ci arrivano da oltre Oceano per fare quasi l’abitudine al richiamo, nelle aule di giustizia statunitensi, alla Carta fondamentale del Paese e ai suoi emendamenti. A cominciare dal primo che recita che «il Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto, per limitare la libertà di parola o di stampa o che limitino il diritto della gente a riunirsi in forma pacifica e a presentare petizioni al governo per riparare alle ingiustizie».
Una affermazione che, ponendo dei limiti all’interferenza dello Stato sulla possibilità dei cittadini di esprimere una idea o un dissenso, è uno dei capisaldi della democrazia anche se spesso chi fa appello al primo emendamento questa democrazia non rispetta.
Difendere, quindi, la possibilità per tutti di esprimere le loro idee – senza che questo abbia una chiara relazione di interdipendenza con violazioni delle leggi –, mettendoli al riparo di eventuali forme di repressione della libertà di pensiero. Un principio che viene rispettato e protetto apparentemente ben oltre l’apparentemente lecito, come sta dimostrando la vicenda del fumettista Scott Adams che, dopo avere pronunciato frasi a dir poco controverse sulla comunità nera, ha visto le sue strisce, quelle di Dilbert, bandite da centinaia di quotidiani in tutto il Paese, di cui era ospite quotidiano.
Frasi come quelle che hanno definito i neri americani un “gruppo d’odio”, augurandosi che «se ne vadano via», che gli sono costate l’ostracismo totale e perenne delle sue strisce satiriche, ma non ripercussioni sul piano giudiziario. Almeno per il momento, visto che negli Stati Uniti l’ufficio del procuratore (soprattutto quello federale) ha ampie prerogative, come quella di ipotizzare un reato grave per poi ridimensionarlo, durante l’istruttoria, con l’obiettivo di arrivare comunque ad una condanna. Per dare un’unità di misura, seppure parziale, dell’effetto che ha avuto la sortita di Adams sull’opinione pubblica, ma soprattutto sui media, basta guardare a quello che ha deciso Usa Today Network, cioè di cancellare, seduta stante, dal centinaio di quotidiani che gestisce, la pubblicazione del fumetto, da anni presenza fissa sulle pagine dei giornali. Stessa decisione è stata presa da un “peso massimo” del giornalismo americano, il Washington Post.
Ciascuno in America può dire come la pensa e su qualsiasi argomento, ma se, come ha fatto Scott Adams, si affida a luoghi comuni (ma solo per una parte della popolazione), alimentando grazie ad essi odio e intolleranza, scatta una reazione che, con l’azione penale, non ha, né vuole avere nulla a che spartire, ergendosi a paladini della libertà di parola, ma soprattutto della difesa di tutti, quale che sia il colore della pelle, la religione, le inclinazioni sessuali, e la lista potrebbe essere lunga.
Che il creatore della striscia di “Dilbert” abbia scelto Youtube (che non è certo la televisione, in termini di penetrazione nell’opinione pubblica) poco toglie al peso delle sue parole, fatte a commento di un sondaggio (eseguito da una società definita “conservatrice”) secondo il quale il 53% dei neri americani preferirebbe essere bianco. Partendo da questo assunto, il vignettista, nel suo programma “Real Coffee with Scott Adams”, ha definito i neri americani come un gruppo che fomenta l’odio. Aggiungendo, semmai ci fosse stato il bisogno di dare ulteriore peso alle sue affermazioni: «Non voglio avere niente a che fare con loro. E direi, in base all’attuale modo in cui stanno andando le cose, il miglior consiglio che darei ai bianchi è di allontanarsi dai neri, andarsene dal cazzo … perché non c’è modo di risolvere questo problema».
Forse dopo, accorgendosi dell’enormità e della portata delle sue affermazioni, Adams ha cercato di porre rimedio, dicendo, su Twitter, che stava solo «consigliando alle persone di evitare l’odio».
Beh, per volere fare il pompiere di una situazione potenzialmente pericolosa, ha certo scelto le parole sbagliate e comunque accompagnate dalla considerazione che la reazione dei media – quelli stessi che sino a ieri gli avevano garantito di dire come la pensasse – indica che la libertà di parola in America è sotto attacco.
Opinione di parte e per questo affatto condivisa dagli editori dei giornali che lo hanno fermato.
Chris Quinn, direttore del quotidiano di Cleveland The Plain Dealer ha parlato di una decisione «non difficile. Non siamo una casa per coloro che sposano il razzismo». (giornalistitalia.it)
Diego Minuti