ROMA – Le persone con grosse responsabilità amano i gatti. A sostenerlo è una ricerca dell’università di Warwick, in Inghilterra. Vero o falso che sia, uomini e donne di potere del passato e del presente sono vissuti e vivono con uno o più gatti per vari motivi: combattere lo stress, lanciare messaggi distensivi al pubblico, recuperare la benevolenza degli elettori, conquistare la simpatia della gente.
È quanto emerge dal libro Gatti di Stato, tra uso pubblico e passioni private di Carola Vai, (Rubbettino), 220 pagine circa, 16 euro, in vendita nelle librerie e sul sito dell’editore. L’autrice attraverso le vicende di re, regine, papi, leader di varie epoche e continenti, e dei loro mici, narra il rapporto tra potere e felini.
Frammenti di mondi diversi per linguaggio e cultura dove in certi casi i gatti “usati” come potenti mezzi di comunicazione hanno eguagliato la celebrità del personaggio amico. Molte le conferme, a cominciare da Socks, il gatto di Bill Clinton la cui foto sulla poltrona dello Studio ovale campeggia sulla copertina del libro di Carola Vai. Il first cat protagonista vezzeggiato pure in pubblico dallo stesso presidente probabilmente consapevole di suscitare attraverso l’allegro micio stima e consensi tra il popolo degli Stati Uniti e persino simpatia all’estero, ispirò libri per bambini, dibattiti, discussioni, fino diventare un caso politico.
Una “questione politica” la suscitò pure la gatta India di George Bush junior scatenando persino problemi internazionali. Come avvenne per Larry il Chief Mouser to the Cabinet Office, ossia il “capocacciatore” di topi di Dowing Street, la sede londinese del Primo Ministro. Larry, 15 anni, ha condiviso la celebre residenza con David Cameron, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss. Ed ora è in attesa del nuovo inquilino.
Star tra le star a quattrozampe, Larry ha nel suo curriculum ha una vicenda che lo ha reso famoso in tutto il mondo: ha fatto ritardare la partenza del presidente Usa Donald Trump con l’auto blindata bloccandola con una sorta di gioco a nascondino. Il gatto si accucciò, infatti, sotto la vettura ignorando per lunghi minuti ogni tentativo degli uomini della sicurezza di farlo uscire.
Il rapporto tra gatti e potenti non è dunque solo una passione privata di questo o quell’uomo pubblico, ma è anche uno strumento di costruzione del consenso, un modo per avvicinare sudditi ed elettori, se vogliamo, un modo per apparire più “umani”. Ad esempio la passione per i gatti e il suo farsi fotografare con un micio in grembo, ha fatto sì che Benedetto XVI venisse visto dai fedeli un po’ meno austero e rigido di come la stampa lo andava dipingendo.
Il rifiuto a qualsiasi sottomissione pone il felino alla pari del personaggio, come riconobbe e lasciò scritto l’imperatore Ottaviano Augusto, indiscusso capo politico romano tanto abile, intelligente e scaltro da trasformare la Repubblica di Roma in un impero ereditario con lui imperatore, senza spaventare amici e nemici benché primo vero dittatore della storia romana.
Altrettanto dissero gli statisti Camillo Cavour, grande amante dei viaggi e della capacità di anticipare i tempi in ogni situazione: dal rapporto con i lavoratori alla politica, dalla salute degli animali al trattamento di gatti e cani. Fino al Primo Ministro del Regno Unito, Winston Churchill, l’uomo più grande della storia britannica, accompagnato da gatti lungo tutta la vita, come emerge da moltissime fotografie custodite in vari archivi compreso il Centro appositamente costruito a Cambridge nel 1973 per ospitare carte e documenti sulla sua vita.
Tra i gatti più noti di quelli appartenuti a Churchill spicca Jock, vivace tigrato rosso con il petto e le zampe bianche, che l’ex Primo Ministro ricevette in dono per il suo ottantesimo compleanno. Jock accompagnava Churchill ovunque, persino alla Camera dei Comuni. E quando lo statista spirò, l’amato micio, che visse dodici anni, gli faceva compagnia sdraiato sul letto, immobile e silenzioso.
Jock dopo la morte venne sepolto nel cimitero della residenza di Chartwell abitata per anni da Churchill, ed oggi museo. Una pietra segna la sua tomba con il suo nome e la date incise sopra 1962-74. Il suo posto nella residenza venne preso da un altro gatto simile a lui secondo quanto espressamente chiesto nel testamento da Churchill che voleva sapere ospite per sempre nella sua casa di campagna un gatto identico al suo adorato Jock.
Nel libro si scopre che ci furono leader con una particolare predilezione per i gatti soprattutto negli anni del tramonto professionale quali, ad esempio, gli statisti italiani Giovanni Giolitti e Francesco Saverio Nitti, e il francese Charles De Gaulle, uomini che dopo anni di successi, applausi, frequentazioni con milioni di persone, arrivarono a dividere gli ultimi istanti di vita solo con i loro amati pelosetti.
Tra le donne affezionate ai gatti Carola Vai ha dato spazio soprattutto a tre figure che hanno contribuito a cambiare la storia delle loro epoche: la romana Livia, moglie di Augusto, prima first lady imperiale, tanto abile da essere ancora oggi studiata dalle first lady di tutti i continenti per apprendere le sue capacità; la regina e imperatrice del Regno Unito Vittoria che amava i gatti persiani così come Sergio Mattarella; e la zarina Caterina II di Russia. La regina Vittoria amò tutti gli animali, anche se aveva una particolare predilezione per i gatti.
Tra i nomi più ricordati c’è White Heather (Erica Bianca), di razza persiana, che la sovrana voleva sempre al suo fianco e che tutti avevano l’obbligo di rispettare. In Russia ad assegnare ai gatti lo status di dipendenti dello Stato fu inizialmente lo zar Pietro I, detto il Grande.
La zarina Caterina II appassionata di Gatti Blu, perfezionò il rapporto con i piccoli felini fino attribuire loro il ruolo di “Guardiani delle pinacoteche”, ancora oggi esistente, per la loro abilità di eliminare topi, ratti e roditori di ogni genere e salvare le collezioni di opere d’arte custodite all’Hermitage di San Pietroburgo, uno dei più celebri musei del mondo.
Gli inquilini a quattrozampe dell’Hermitage hanno superato indenni la Rivoluzione russa del 1917 e pure l’epoca del comunismo. Due sole volte hanno lasciato la residenza imperiale. La prima avvenne durante la Seconda guerra mondiale quando San Pietroburgo, allora chiamata Leningrado, venne bersagliata dalle bombe; la seconda negli anni Sessanta quando l’amministrazione scelse i prodotti chimici per eliminare i topi. Fu un fallimento totale. Da quel momento i gatti tornarono all’Hermitage con il ruolo di dipendenti dello Stato più riveriti e apprezzati di prima.
Il libro “Gatti di Stato” si concentra inoltre su due paesi: l’Egitto che ha amato i gatti fin dal 3000 a.C. quando i piccoli felini erano tanto rispettati da essere addirittura considerati sacri; e il Giappone, dove l’abilità dei gatti di estasiare gli umani si è talmente diffusa da far entrare i quattrozampe nella storia prima come animali magici, poi come creature in grado di portare benefici fisici e psicologici alle persone di ogni età e sesso.
Ricordate infine anche due località italiane: la Sardegna, con la vicenda dei gatti tutelati con un Decreto del Capo dello Stato Giorgio Napolitano dallo sfratto dalla spiaggia di Su Pallosu dove vivono da circa un secolo; e il comune di Capri, dove governanti sensibili hanno scelto di tutelare i randagi con scelte normative lungimiranti volte a migliorare non solo l’esistenza dei mici, ma pure del territorio e dei suoi abitanti. (giornalistitalia.it)
Altamente interessante e coinvolgente. Un libro che scoprirò volentieri.