Oggi a Belgrado nuovi strali contro l’Alleanza Atlantica nel ricordo del raid di 23 anni fa

Commemorati i giornalisti uccisi dalla Nato

Il raid della Nato su Belgrado dal 24 marzo al 9 giugno 1999

BELGRADO (Serbia) – In una cerimonia commemorativa oggi a Belgrado sono stati ricordati i tre giornalisti cinesi rimasti uccisi 23 anni fa nel bombardamento Nato dell’ambasciata del loro Paese, durante la campagna di raid alleati contro la Serbia di Slobodan Milosevic, che posero fine alla guerra del Kosovo: Shao Yunhuan, giornalista della Xinhua, e Xu Xinghu e sua moglie Zhu Ying del quotidiano Guangming Daily.
«La Serbia non dimenticherà mai, la Serbia non smetterà mai di esigere le responsabilità per i crimini compiuti nell’aggressione della Nato», ha detto il ministro dell’interno Aleksandar Vulin.

L’ambasciatore cinese a Belgrado Chen Bo e il ministro del lavoro serbo Zoran Djordjevic hanno osservato oggi un minuto di silenzio e deposto corone di fiori nel luogo dove sorgeva l’ambasciata cinese bombardata, nel 1999, dalla Nato uccidendo tre giornalisti cinesi

«Gli aggressori della Nato sapevano contro chi sganciavano bombe, sapevano che bombardavano l’ambasciata cinese, sapevano che in quell’ambasciata c’erano delle persone, gli aggressori Nato sapevano chi uccidevano», ha detto il ministro serbo, noto per le sue posizioni fortemente nazionalpatriottiche e filorusse.
L’aggressione del 1999 contro la Serbia è l’ultimo grande crimine del XX secolo rimasto impunito, ha aggiunto Vulin che ha esaltato al tempo stesso la forte amicizia che lega la Serbia alla Cina.


Studenti cinesi in corteo con le foto dei tre giornalisti cinesi uccisi a Belgrado dalla Nato in occasione del bombardamento dell’ambasciata cinese: Shao Yunhuan, giornalista della Xinhua, e Xu Xinghu e sua moglie Zhu Ying del quotidiano Guangming Daily

I bombardamenti Nato contro la Serbia scattarono, su ordine dell’allora segretario generale Javier Solana e senza alcun mandato Onu, la sera del 24 marzo 1999 con i primi cacciabombardieri decollati dalla base alleata di Aviano, nel nordest dell’Italia, e si conclusero il 9 giugno dopo 78 giorni di raid martellanti che colpirono obiettivi militari ma anche civili, causando la morte di almeno 2.500 persone e il ferimento di altre 12 mila. Danni valutati in decine di miliardi di dollari furono provocati alle infrastrutture, strade, ponti, impianti industriali, scuole, ospedali, sedi di giornali, musei, teatri e siti artistici e culturali.
In Kosovo entrarono 40 mila soldati della Nato con la missione Kfor, ancora presente con circa 3.500 uomini. La motivazione addotta dall’Alleanza per l’attacco militare fu quella di porre fine alla catastrofe umanitaria in Kosovo, conseguenza delle repressioni e della pulizia etnica del regime di Milosevic. La Nato per questo è malvista dai serbi, che sono a stragrande maggioranza contrari a una eventuale adesione del loro Paese nell’Alleanza. (ansamed)

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