ROMA – La giornata mondiale della libertà di stampa, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite su raccomandazione della conferenza generale dell’Unesco, non poteva cadere in un momento peggiore per l’informazione nel nostro Paese.
È necessario riavvolgere il nastro di quanto accaduto in questi giorni per capire quanto e come il mondo dei media debba iniziare un lungo percorso di riflessione.
L’intervista con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, trasmessa domenica sera su Rete 4 all’interno del programma “Zona Bianca” condotto dal giornalista Giuseppe Brindisi, si è trasformata in un monologo nel quale sono state fatte dichiarazioni molto gravi.
I particolari: Lavrov ha accusato il presidente ucraino Zelensky di avere organizzato un genocidio perpetrato dal proprio regime nazista aggiungendo che anche Hitler aveva origini ebree.
La sostanza l’ha definita bene il premier, Mario Draghi, nel corso di una conferenza stampa: «Quello che ha detto il ministro Lavrov è aberrante e anche osceno. Non è stata un’intervista, ma un comizio. La domanda da farsi è se si deve accettare di invitare una persona che chiede di essere intervistata senza alcun contraddittorio?».
Quesito corretto quello del presidente del Consiglio, ma è possibile che sia stato il solo a prendere posizione, in maniera secca, usando parole forti e coraggiose?
Non abbiamo letto interventi da parte dell’Ordine del giornalisti, oppure della Federazione nazionale della stampa. Possibile che alcun organo della categoria abbia alzato la voce denunciando in maniera netta quanto sta accadendo nel mondo dell’informazione del nostro Paese? Esiste un comitato di redazione a Rete 4, a Mediaset? Batta un colpo, faccia girare un comunicato nel quale prende le distanze da quanto avvenuto. Non servirà a molto, ma almeno sappiamo che, all’interno della categoria, c’è chi s’indigna, alza voce, lancia segnali di vita.
Ma forse la domanda è proprio questa: siamo vivi e attenti all’interno di una professione che ha cambiato connotati ormai da anni? Ci continuiamo a dire che le cose vanno sempre peggio. Vero! Ma che cosa stiamo facendo per migliorarle? Nulla. Diciamocelo.
Basterebbe elencare la commistione tra pubblicità e notizie per scrivere un libro su quando accade. Vogliamo parlare della Legge Cartabia, che impedisce al colleghi di nera e giudiziaria di lavorare salvaguardando la libertà di stampa? Pensiamo ai collaboratori e a quanto vengono pagati? Possiamo proporre quattro chiacchiere sul contratto che da anni non viene rinnovato? Ci possiamo aggiungere tutte le nuove professionalità che le aziende assumono al posto dei giornalisti.
L’elenco sarebbe lunghissimo. Però un punto rimane centrale: stiamo perdendo autorevolezza, lo dicono gli studiosi e non solo. I giornali sono ai minimi storici, e sono i dati a confermarlo. L’informazione in Tv spesso diventa una bagarre. Quella online sta prendendo piede, ma non sempre con i risultati sperati.
Intanto, ci dimentichiamo della nostra professionalità, dei codici deontologici, della Carta dei diritti e, soprattutto, dei doveri che abbiamo nei confronti dei lettori. Ci dimentichiamo tutto e siamo sempre più piegati dal peso e, a volte, anche dalla paura.
Eppure basterebbe che ognuno di noi alzasse la voce quando vede qualcosa che non funziona. Non ci mancano i mezzi per farlo. Rimettiamoci in discussione nelle redazioni, nelle sedi degli organi di categoria. Troviamo il coraggio di dire che così non si va avanti, troviamo la forza per andare oltre, per scrivere un futuro diverso. Nuovo.
Il conflitto, se gestito, può portare ed enormi cambiamenti. È sufficiente ascoltare, fare qualche passo indietro, non arroccarsi a vecchi privilegi e ad ideologie sorpassate. Il mondo è cambiato. Non possiamo continuare a raccontarlo e basta. Dovremmo essere i primi a capire perchè abbiamo gli elementi per farlo, ripartiamo e pensiamo che, se nulla cambierà, lasceremo ai giovani che entreranno in questa professione macerie su tutti i diritti per i quali abbiamo combattuto e scioperato.
Non basta la Costituzione a garantire la libertà di stampa se siamo noi i primi a falsare questo diritto. Non aspettiamo che sia, ancora una volta il presidente Draghi, a parlare. È avvilente. Per noi, non per lui. (giornalistitalia.it)
Chiara Roverotto