ALGERI (Algeria) – Dopo quasi 30 anni dal lancio, è stato pubblicato ieri l’ultimo numero del quotidiano algerino “Liberté”. La decisione è stata presa dall’azionista di maggioranza, l’imprenditore algerino e numero uno del gruppo Cevital, Issad Rebrab.
«Dopo 30 anni di avventura intellettuale, Liberté non esisterà più. Grazie e arrivederci», ha scritto Rebrab sulla prima pagina del quotidiano spiegando le ragioni della chiusura del quotidiano, che «ha sollevato un’ondata di commozione e protesta».
«Comprendo il sentimento di quanti, tanti, rifiutano la chiusura di un sostegno alla libertà di espressione, di un’isola della lotta democratica e di un testimone che ha accompagnato, giorno dopo giorno, una lunga fase della storia recente del nostro Paese», ha dichiarato Rebrab. L’imprenditore ha chiarito che la situazione economica non permette di proseguire con la pubblicazione. (agenzia nova)
Dopo trent’anni di un’avventura intellettuale, “Libertà” chiude
Grazie e arrivederci
È stata una settimana pesante. Gli ultimi momenti della Libertà sono stati vissuti nel dolore. Difficile fare gli ultimi numeri di un giornale il cui destino era segnato. Il cuore non era più al lavoro.
L’atmosfera vivace della redazione ha subito ceduto il passo agli inevitabili progressi della fine per gettare via il suo velo di tristezza. Fino alla fine, i giornalisti e gli altri dipendenti si sono aggrappati a una piccola speranza, una speranza che stava svanendo sugli articoli, consegnati con il forcipe. Hanno combattuto una battaglia finale con lo stesso vigore che ha caratterizzato il giornale per tre decenni. Il loro attaccamento a Liberté non ha eguali. Era la loro vita nel pieno senso della parola. Ma non potevano farne a meno, coloro che avevano affrontato prove difficili. Quelli che tuttavia avevano resistito in tempi insostenibili. L’ultimo incontro editoriale tenutosi ieri è stato un momento straziante. Una ferita che si apre e sarà difficile da rimarginare.
Ogni giornalista, a sua volta, ha testimoniato la sua esperienza fatta di esaltazione, rabbia, impotenza, speranza, ma soprattutto convinzione. Quella di “portare la penna nella ferita”. Quella di una missione al servizio di un ideale sorretto da una base di valori. Ciascuno a suo modo ha difeso ferocemente le libertà civili, il diritto alla diversità, la libertà di coscienza, la parità di genere, il diritto degli emarginati. Non potevano concepire un’Algeria felice senza i suoi valori. Non hanno esitato ad affrontare le difficoltà per rendere visibile un Paese che stiamo cercando di nascondere. Una lotta permanente contro la negazione, bugie. Una lotta incessante per la verità. Un dovere civico. È a questo cittadino nella sua diversità che si rivolgono in questi tempi il nostro pensiero.
Al di là dei giornalisti e della frustrazione che provoca la chiusura del loro giornale, questa scomparsa danneggerà gli algerini di tutto il Paese che saranno ora privati di uno spazio che garantisse loro un’esistenza sociale, intellettuale e politica.
Tante battaglie intraprese da uomini e donne nell’immenso territorio algerino che sarà anonimo e successi di un Paese dimenticato che sarà “invisibile”. La cancellazione di uno spazio libero che porta l’idea di un’Algeria plurale avrà un impatto considerevole su segmenti importanti di una società in perenne rinascita. Le donne organizzate in cooperative agricole sulle montagne di Seraïdi non avranno più la possibilità di rendere visibile il loro valore. Niente più reportage sui villaggi più puliti della Cabilia che i nostri giornalisti si stavano affrettando a coprire. La prossima Racont’Art si farà senza Liberty. Il grande Lounis Aït Menguellet che darà spettacolo la prossima settimana non sarà in prima pagina di Liberté. Le piccole mani che fanno il Paese con la passione di Sisifo, ovunque in Algeria, da Biskra a Mascra, da Sétif a Tlemcen, non avranno più copertura mediatica.
Le lotte delle donne che combattono nell’indifferenza saranno impercettibili. Peggio ancora, rischiano di essere stigmatizzate dai fautori di un ordine mediatico reazionario, resistente alle idee emancipatorie. I demoni di ieri tornano in vigore mentre gli spazi della modernità scompaiono. La lotta degli anni ’90 ha subito le ripercussioni di una preoccupante regressione sociale e sociale.
I combattenti della resistenza di ieri sono spinti ai margini di una storia che viene scritta da chi ha portato la bandiera nera del fondamentalismo. La memoria delle vittime del terrorismo e dell’arbitrarietà rischia così di entrare in un lungo tunnel dell’oblio.
È già iniziato con un revisionismo popolare sapientemente orchestrato. È in questo contesto incerto che scompare un giornale che ha lavorato per continuare il percorso tracciato dai Mammeri, Djaout, Liabès, Matoub Lounès, Belkhenchir, Boukhebza. Non avrà resistito alla prova del tempo. Scompare quando l’Algeria ha più bisogno di lui. Tre anni dopo la rivolta cittadina del febbraio 2019 che ha incantato di nuovo l’Algeria e soggiogato il mondo intero. Una fine che conferma un ritorno a un tempo di congelamento politico e di prosciugamento intellettuale. Un salto nell’ignoto.
Ma dobbiamo rassegnarci, dobbiamo disperare? No. Per fedeltà alla memoria degli uomini e delle donne di questo Paese che hanno dato la vita perché vivesse un’Algeria repubblicana, per attaccamento all’ideale democratico, non è ammessa la disperazione. Liberté e i suoi giornalisti, di tutte le generazioni, dovrebbero essere orgogliosi di ciò che hanno realizzato. La storia del giornale si intreccia con quella della lotta all’Algeria. Una storia vissuta nella sua carne, nel dolore. Due dei suoi giornalisti sono morti sotto i proiettili assassini del terrorismo barbaro.
Come migliaia di algerini assassinati, non sono morti per niente. La loro morte non sarà mai vana. Questo è il motivo per cui dobbiamo perseguire. (giornalistitalia.it)
Hassane Ouali
direttore di Liberté