CATANIA – Il Tribunale di Catania ha dichiarato il fallimento della società Domenico Sanfilippo Editore spa che, nel luglio 2020, era confluita nella Iniziative Editoriali Siciliane srl per poi riprendere l’attuale denominazione. Di proprietà dell’imprenditore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, è la società editrice del quotidiano La Sicilia e dell’edizione online lasicilia.it.
Ad avanzare la richiesta di fallimento alla Sezione Fallimentare del Tribunale di Catania è stato il sostituto procuratore della Repubblica Fabio Regolo, mentre la sentenza è firmata dai magistrati Mariano Sciacca (presidente), Fabio Letterio Ciraolo (giudice) e Lucia De Bernardin (giudice relatore). A rappresentare e difendere in giudizio la società Domenico Sanfilippo Editore spa c’erano gli avvocati Vito Branca, Aurelio Mirone, Giuseppe Spadaro e Gabriele Sebastiano Giurato.
Dopo la confisca per mafia disposta in primo grado, la Domenico Sanfilippo Editore spa era stata restituita al proprietario in sede di appello.
Nel ricorso depositato il 3 dicembre scorso, il Pubblico Ministero chiedeva il fallimento della società «deducendo – sebbene molto succintamente – l’insolvenza della stessa dall’entità dei debiti erariali impagati ed evidenziando l’intervenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese in data 11 dicembre 2020». Dal canto suo, la difesa sosteneva «l’insussistenza dei presupposti per la disposta abbreviazione dei termini; l’intervenuta incorporazione per fusione nel luglio del 2020 della società resistente in essa interveniente (originariamente denominata Iniziative editoriali Siciliane srl e che aveva –
contestualmente all’operazione di fusione – assunto l’attuale denominazione); la nullità del ricorso introduttivo per la mancata individuazione del soggetto nei cui confronti
era stata proposta l’istanza di fallimento; l’inammissibilità dell’istanza di fallimento nei confronti della società fusa per incorporazione; l’insussistenza dello stato di insolvenza in capo ad essa interveniente, producendo – a sostegno – relazione tecnica».
Il Pm ha chiarito che «l’istanza di fallimento è stata proposta nei confronti del soggetto cancellato dal registro delle imprese; i difensori dell’interveniente hanno insistito in tutte le difese spiegate;
ritenuto, quanto all’eccezione spiegata da parte resistente e relativa alla nullità del ricorso per la mancata individuazione del debitore di cui si chiede il fallimento, che: a. il Pm ha avanzato istanza di fallimento nei confronti di Domenico Sanfilippo Editore spa, con sede legale in Catania, Via Odorico da Pordenone 50; b. allegata all’istanza di fallimento vi è informativa della Guardia di Finanza (prot. 1431/8933) che compiutamente identifica il soggetto resistente con l’indicazione anche della partita Iva 00431560879; c. ad essere stata cancellata dal registro delle imprese in data 11 dicembre 2020 è la società Domenico Sanfilippo Editore spa, con sede legale in Catania, Via Odorico da Pordenone 50 partita Iva 00431560879; ritenuto che l’insieme degli elementi in fatto innanzi indicati, letti nella prospettiva di quanto dichiarato dal Pm in udienza e alla luce del principio di eterointegrazione della domanda non lasciano dubbi in ordine al soggetto nei cui confronti è stata rivolta l’istanza di fallimento;
ritenuto, peraltro, che la società incorporante si è costituita in giudizio spiegando difese nel merito, segnatamente sostenendo la tesi della non fallibilità del soggetto cancellato dal registro delle imprese assumendo essersi verificata – in esito alla fusione societaria – una vicenda meramente evolutivo-modificativa, conforme alla lettura del novellato art. 2504 bis c.c. offerta dalle SS.UU., sentenza 14 settembre 2020, n. 19509, espressamente richiamata dalla resistente;
ritenuto – sempre in via preliminare – che l’abbreviazione dei termini è stata correttamente disposta nel bilanciamento delle esigenze di difesa della parte ricorrente e a tutela delle ragioni dei creditori e ciò in considerazione dell’imminenza della scadenza dei termini di cui all’art. 10 l.f., così come evidenziato nell’istanza di fallimento dal Pubblico Ministero (cfr. per fattispecie analoga: Cass. 2498/2013), trattandosi di istituto volto a bilanciare il diritto di difesa della debitrice con quello del ceto creditorio di non vedere pregiudicata la possibilità di far valere il proprio diritto di credito nell’ambito del concorso per via della cancellazione dal registro delle imprese; ritenuto, in concreto, che l’abbreviazione dei termini a comparire non precludeva comunque l’accesso alla cancelleria il giorno 6 dicembre 2021 per prendere visione dei ruoli allegati all’istanza di fallimento onde prendere posizione su questi, tenuto – peraltro – conto della possibilità di depositare le memorie telematicamente, anche oltre l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie;
ritenuto, sotto altro profilo e ancora in via preliminare, che – depositato il ricorso per la dichiarazione di fallimento il 3 dicembre 2021 – la notifica ex art.15 l.f. è stata consegnata nella Pec della società alle ore 13.42 del medesimo giorno, con udienza celebrata il 7 dicembre 2021 in vista dell’ultimo giorno per il rispetto del termine di cui all’art.10 l.f. che spira l’ultimo istante dell’ultimo giorno corrispondete all’anno successivo all’intervenuta cancellazione, ossia l’11 dicembre 2021 (cfr. in tema di computo del termine per la pronuncia della sentenza di fallimento: Cassazione civile, sez.I, 12 luglio 2012, n.12214); ritenuto – inoltre – che va affermato: da un lato, che il ricorso per la dichiarazione di fallimento in esame deve intendersi proposto nei confronti della società Domenico Sanfilippo Editore spa, con sede legale in Catania, Via Odorico da Pordenone 50 partita Iva 00431560879; dall’altro, che il contraddittorio si è correttamente instaurato con l’intervento dell’incorporante nel rispetto dei termini di legge;
ritenuto – nel merito e in diritto – che la ratio dell’art.10 l.f. è anche quella di tutelare – in astratto e salve le successive verifiche specifiche e concrete da effettuarsi in sede fallimentare – il ceto creditorio da – eventuali – comportamenti potenzialmente in grado di diminuire o affievolire la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2740 cc, indipendentemente dagli obiettivi societari e imprenditoriali concreti che questi si prefigge con la cessazione; ritenuto che lo spazio applicativo della disposizione di cui all’art.10 l.f. ai fenomeni di riorganizzazione societaria è stata oggetto di riflessioni da parte della giurisprudenza più recente che – in linea con quanto innanzi rammentato – ha evidenziato l’esigenza di evitare che: “la modificazione della struttura conformativa del debitore (…) [realizzi] una causa di sottrazione dell’impresa alla soggezione alle procedure concorsuali” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21 febbraio 2020 n. 4737, §14 delle ragioni in diritto; nello stesso senso Cass. 1593/2002; nonché: Cassazione civile, sez.I, 19 giugno 2020, n. 11984 §4.7 secondo cui: “Diversamente ragionando si potrebbe correre il rischio di favorire operazioni negoziali volte proprio, in prossimità della decozione e della dichiarazione di fallimento della società, a determinare la trasformazione, pur consentite dall’ordinamento di queste ultime in enti ovvero in altre entità giuridiche non fallibili non consentendo l’apertura del concorso dei creditori sui beni della società debitrice”); ritenuto che una simile sottrazione si verifica nel momento in cui l’operazione straordinaria abbia dato causa: “ad un fenomeno estintivo della società con la formazione di un nuovo ente (e con effetti pertanto successori)” e non: “invece a una fenomeno semplicemente evolutivo e modificativo del contratto sociale (come avviene pacificamente nel caso delle trasformazioni societarie omogenee)” (Cassazione civile sez. I – 19 giugno 2019, n. 16511, §7.1.1 della motivazione);
ritenuto che alle superiori ipotesi deve assimilarsi – in termini di potenziale pregiudizio per le ragioni del ceto creditorio – quello derivante da modifiche della consistenza – qualitativa oltre che quantitativa- del patrimonio assoggettato agli obblighi di garanzia delle obbligazioni contratte, oltre che del novero dei soggetti che su questo hanno diritto di soddisfarsi;
ritenuto che – in questa prospettiva – anche l’operazione di fusione – pur dando continuità ai rapporti giuridici in essere – arreca un potenziale pregiudizio al ceto creditorio della società fusa che si trova a concorrere sul patrimonio della ridetta società fusa anche coi creditori della società incorporante, laddove l’esperimento delle azioni di massa consentirebbe – invece – il ripristino di quella garanzia patrimoniale venuta meno per via dell’operazione straordinaria (cfr. in tema di esperibilità di azioni revocatoria delle operazioni straordinarie – anche in capo al curatore –: Cassazione civile sez. III – 29 gennaio 2021, n. 2153; nonché Cassazione civile sez. III – 6 maggio 2021, n. 12047, oltre che: Cassazione civile sez. I – 4 dicembre 2019, n. 31654, ovvero azioni ex art.146 l.f. o ex art. 2504 quater co.2 cc.);
ritenuto che l’impostazione sopra esposta si coordina con gli arresti della giurisprudenza di legittimità allorquando, in particolare, si è affermato:
a. Cassazione civile, sez. I, 1 febbraio 2007, n. 2210 secondo cui: “la legge fallimentare all’evento della cessazione dell’impresa, ovvero del decesso dell’imprenditore, connette effetti da un lato sanzionatori – nella misura in cui il fallimento è sanzione per l’imprenditore insolvente, e dall’altro rafforzativi della garanzia dei creditori insoddisfatti sia pure nei limiti dell’anno dall’evento”;
b. Cassazione civile sez. I, 11 agosto 2016, n.17050 che ha affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio L. Fall., ex art. 15, il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il decreto di convocazione vanno notificati alla società incorporante, che ai sensi dell’art. 2504 bis c.c. assume i diritti e gli obblighi della società partecipante alla fusione, proseguendo in tutti i rapporti della stessa, anche processuali, anteriori alla fusione, pur conservando la propria identità la società incorporata ai fini della eventuale dichiarazione di fallimento”;
c. nonché – da ultimo e pur se ad altri fini, nel ricostruire lo stato della legislazione in tema di fusione – Cassazione sezioni unite, 30 luglio 2021 n. 21970 ha comunque avuto modo di osservare: “2.3.5 È appena il caso di rilevare che la questione dell’assoggettabilità a fallimento della società incorporata o fusa (ma lo stesso ordine di concetti vale per la società interamente scissa) solo in parte interseca quella della sua esistenza: dal momento che ivi vige il disposto speciale della L. Fall., art. 10, il quale, in perfetta equiparazione al debitore persona fisica, sancisce la fallibilità degli imprenditori, individuali come collettivi, alle condizioni che sia trascorso non oltre un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese e che l’insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o nel termine detto; la ratio generale di tale disposizione è nota, onde non necessita disconoscerne in questa sede. In tal modo, per quanto riguarda le società, può fallire un “ente” che non è più tale, entro un anno dall’evento estintivo. Si richiama il principio per cui “un fenomeno di riorganizzazione societario… come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali”; ed il tema della soggezione della società fusa o scissa alle procedure concorsuali “non risulta
propriamente attenere al piano dell’organizzazione societaria dell’impresa… Attiene, piuttosto, al piano dell’operatività dell’impresa e dei suoi rapporti coi terzi, contraenti e creditori” (cfr. Cass. 21 febbraio 2020, n. 4737). Dunque, che la società possa essere assoggettata a fallimento dopo la fusione o la scissione, ancorché cancellata dal registro delle imprese, non è elemento normativo a favore della tesi della sua sopravvivenza alla cancellazione; se proprio se ne voglia trarre un indizio, è allora piuttosto elemento in senso contrario, atteso che solo una norma speciale come quella della L. Fall., art. 10 ha potuto sancire un simile precetto. Ed al riguardo, si noti, si è stabilito il principio di diritto che, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio L. Fall., ex art. 15, il ricorso per la dichiarazione di fallimento di una società già incorporata per fusione ed il relativo decreto di convocazione debbano essere notificati all’ente incorporante, che ne prosegue tutti i rapporti anche processuali anteriori alla fusione, pur conservando la suddetta società la propria identità per l’eventuale dichiarazione di fallimento (Cass. 11 agosto 2016, n. 17050; e v. Cass., 18 febbraio 2007, n. 2210).)”;
ritenuto che non ostano alla dichiarazione di fallimento le considerazioni espresse da parte interveniente e, segnatamente:
a. quella secondo cui non vi sarebbe più una realtà organizzativa di impresa per essersi questa confusa con quella dell’incorporante: l’osservazione non appare condivisibile nella misura in cui la fictio dell’art.10 l.f. consente proprio in via eccezionale di dichiarare il fallimento anche a fronte di una realtà d’impresa non più esistente, ma con la possibilità – per come esposto – di ricostituire e cristallizzare il patrimonio della società fusa a beneficio della massa dei suoi creditori;
b. quella secondo cui si sarebbe al cospetto di una mera vicenda evolutiva-modificativa dello stesso soggetto giuridico: la prospettazione non appare dirimente non solo perché non in linea con quanto stabilito a riguardo dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (secondo cui occorre: “tenere distinto il profilo negoziale del contratto di società da quello giuridico formale dell’ordinario soggetto di diritto dal primo scaturito, distinguendo tra la società come insieme di rapporti che prosegue in una diversa organizzazione, dalla società come ente che si estingue” Cassazione civile, sezioni unite, 30 luglio 2021, n.21970), ma soprattutto perché non supera la problematica relativa al potenziale pregiudizio arrecato ai creditori della società fusa per via dell’operazione posta in essere;
ritenuto – quanto ai presupposti per la dichiarazione di fallimento – che la resistente: i. ha sede nel circondario del Tribunale di Catania (sede legale in Catania); ii. svolge attività commerciale (esercizio della industria grafica ed editoriale in genere); iii. il bilancio di esercizio chiuso al 31/12/2018 (attivo patrimoniale superiore a nove milioni di euro e debiti superiori a dieci milioni di euro) attesta il superamento delle soglie di cui all’art.1 l.f.; iv. la società è stata cancellata dal registro delle imprese l’11 dicembre2020 di tal che non è ancora decorso l’anno di cui all’art.10 l.f.;
ritenuto che, con riferimento all’insolvenza, si osserva quanto segue:
a. In relazione al debito erariale oggetto di istanza di fallimento: i. si ribadisce che l’abbreviazione
dei termini a comparire non precludeva comunque l’accesso alla cancelleria il giorno 6 dicembre 2021 per prendere visione dei ruoli allegati all’istanza di fallimento onde prendere posizione su questi, tenuto peraltro conto della possibilità di depositare le memorie telematicamente anche oltre l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie; ii. nessuna documentazione è stata prodotta a sostegno dell’affermazione secondo cui: “le cartelle notificate risulterebbero tutte rateizzate e in regolare ammortamento (…) risulta che la società anche in pendenza della sospensione abbia ottenuto le dilazioni dei carichi iscritti a ruolo e rispettato i termini di pagamento” (cfr. pag.5, relazione tecnica a firma dott. Valerio Garozzo), non essendovi riscontro documentale ai dedotti pagamenti e rateizzazioni ed essendo le schede contabili prodotte mera contabilità interna; iii. la circostanza che non sia stata avviata esecuzione esattoriale non elide la legittimazione del Pm ex art.7 l.f.;
b. Quanto all’importo di cui all’art.15 l.f. deve rilevarsi che risultano nel bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2019 – fra le altre cose – debiti scaduti nei confronti dei fornitori entro l’esercizio per oltre 4 milioni di euro, in relazione a cui non vi è prova della generica dedotta rinegoziazione ovvero del loro pagamento, risultando peraltro irrilevante la circostanza del mancato esperimento da parte dei creditori di azioni esecutive o monitorie ciò non revocando in dubbio che di debiti scaduti si tratti, sì come indicato in bilancio;
c. Anche a tacere del fatto che il bilancio di esercizio al 31 dicembre 2019 si è chiuso con un patrimonio netto negativo per oltre quattro milioni e mezzo di euro, all’attualità non può che prendersi atto che la cessazione dell’attività d’impresa della società fusa l’ha privata dei mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni rimaste inadempiute al momento della fusione;
d. Non osta all’affermazione della sussistenza dello stato di insolvenza quanto dedotto da parte interveniente in ordine alle prospettive di risanamento asseritamente attuande – nella ricostruzione dell’incorporante proprio grazie e a seguito dell’operazione straordinaria di fusione –, non essendovi evidenza in atti di alcun piano di ristrutturazione complessiva che abbia fatto venir meno l’intero debito dell’incorporata;
e. Le considerazioni espresse dal consulente di parte (dott. Garozzo) attengono alla situazione economica finanziaria dell’incorporante e non a quella della società fusa;
visti gli artt, 1, 5, 6, 9, 15 e 16 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267».
Per questi motivi, il Tribunale di Catania dichiara il fallimento della Domenico Sanfilippo Editore spa (C.F. 00431560879), con sede in Catania, via Odorico da Pordenone, n. 50, n. R.E.A. CT-108989, amministratore unico Mario Ciancio Sanfilippo; elega alla procedura il giudice Lucia De Bernardin; nomina curatori l’avv. Carmine Catania, con studio in Catania, e il dott. Danilo Cannella, Odcec Milano; ordina al legale rappresentante della società fallita di depositare in Cancelleria, entro 3 giorni, i bilanci, le scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l’elenco dei creditori; ordina ai curatori di procedere immediatamente all’apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede dell’impresa e sugli altri beni della società fallita; autorizza i curatori ad accedere per il tramite dell’ufficiale giudiziario, ovvero direttamente se l’ufficiale giudiziario non disponga delle strutture tecnologiche necessarie, ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da acquisire all’attivo fallimentare, ivi compresi i rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti ai fini della ricostruzione dell’attivo e del passivo;
stabilisce il giorno 1 marzo 2022, ore 11.30, per l’adunanza dei creditori, che avrà luogo nell’Ufficio del Giudice Delegato, per la verificazione dello stato passivo; assegna ai creditori ed ai terzi che vantino diritti reali su cose in possesso della fallita il termine perentorio di giorni trenta prima dell’adunanza suddetta, per trasmettere via Pec ai curatori le relative domande di insinuazione.
Non esistendo nel fallimento fondi liquidi e disponibili, si autorizza la prenotazione a debito». (giornalistitalia.it)