ROMA – «Lo Stato ha il dovere di assumere misure per il pluralismo culturale e soprattutto dell’informazione». Lo ha sottolineato il giornalista Franco Siddi, presidente di Confindustria Radio Televisioni, storico ex segretario generale e presidente della Fnsi, nel corso dell’audizione in Commissione VIII del Senato (Lavori pubblici e comunicazioni) sul disegno di legge recante “Modifiche alla legge 31 luglio 1997 e, al testo unico di cui al decreto legislativo 31.7.2005, n. 177 e altre disposizioni in materia di composizione dell’Autorità di garanzia nelle comunicazioni, di organizzazione della società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo e di vigilanza sullo svolgimento del medesimo servizio”.
Ricordando che Confindustria Radio Tv rappresenta il sistema radio-televisivo nazionale e locale, con particolare cura del rapporto tra il pubblico ed il privato, Siddi ha evidenziato che «il sistema radiotelevisivo italiano è un esempio di pluralismo industriale e culturale. È un sistema integrato che svolge la sua attività essenziale nell’ambito del digitale terrestre che mantiene la sua centralità, in quanto assicura la possibilità di raggiungere tutti i cittadini facilmente, gratuitamente e – aspetto non secondario – nella modalità assolutamente green in termini di emissioni radioattive. Non solo: è presente in maniera significativa e lo sarà sempre di più anche nella piattaforma digitale, web in senso largo, nella quale noi crediamo in quanto è un servizio reso al pubblico in maniera free ed aperta».
Nello specifico, in merito alle proposte di riforma della Rai e della sua governance, a giudizio di Siddi «è evidente che il servizio pubblico incide ed orienta tutto il sistema. È importante la dimensione dell’impresa della Rai, che ha obblighi specifici di servizio pubblico. Non che il privato non li ottemperi, ma nel senso che la Rai non può lasciare scoperta dal suo segnale e dai suoi programmi nessuno, anche se questo è un obbligo ancora faticoso da raggiungere al cento per cento. L’Italia, tuttavia, è molto più presente di qualsiasi altro Paese più celebrato. Il servizio pubblico ha un ruolo da pivot centrale nel nostro Paese, ma la Rai è pensata come azienda, che trova la propria forza nella produzione, nella contatto con il pubblico e ha l’obbligo di assicurare il segnale e la coesione sociale a tutti gli italiani».
Il presidente di Confindustria Radio Tv ha spiegato che «la gestione del servizio pubblico presenta molte problematiche e necessita di certezze ed orientamento, che consentano di realizzare i progetti a lungo termine. (spesso le riforme rimangono a metà) e ciò comporta un limite per l’azienda. In questo senso, la durata del mandato fissata in tre anni sembrerebbe insufficiente».
C’è, infatti, «un tema di governance e uno di risorse che lo Stato deve chiarire definitivamente. Negli ultimi anni si è svuotato il Cda, che aveva assunto poteri molto invadenti, a vantaggio dell’amministratore delegato. Ma ancora non c’è una gestione efficace come una normale S.p.A. Alcune proposte di legge ridanno molti poteri al Cda, altri ad organismi di controllo (che si tratti della Commissione di Vigilanza piuttosto che dell’Agcom non cambia molto), altri ridimensionano la figura dell’amministratore. Appare utile trovare una quadratura che parta dall’individuazione chiara del soggetto chiamato a svolgere la funzione dell’editore e dell’organismo di indirizzo centrale che detta i programmi essenziali e sui quali misura i progetti, i risultati degli amministratori pro tempore. Non sta a noi indicare la formula».
In tema di risorse, per Siddi «sicuramente occorre fare tesoro del fatto che la Rai è un’azienda che, anche quando non pienamente soddisfatta, ha una base di budget garantita dal canone alla quale, oggi, finora può aggiungere una quota di risorse pubblicitarie su cui il nuovo Tusmar ha fissato perimetri precisi. È sufficiente? Non è sufficiente? Occorre fare bene l’esame della realtà e stabilire sempre chiaramente cosa viene chiesto al servizio pubblico. Il canone in bolletta ha dato certezze, ma è considerato, dall’azienda, insufficiente per quantità e modalità di ripartizione».
«Sicuramente – ha aggiunto Franco Siddi – lo Stato ha il dovere di assumere misure per il pluralismo culturale e soprattutto dell’informazione. Oggi in parte vi provvede anche con il canone Rai, riservandone una quota ad altri soggetti come l’emittenza locale, uno dei perni del pluralismo diffuso. Si vuol procedere diversamente, attribuendo più risorse direttamente alla Rai e magari liberandone dal mercato pubblicitario? Si può solo a condizione che non ci siano azioni depressive e che lo Stato assuma, contemporaneamente, una politica di sostegno finanziario chiaro al pluralismo dell’informazione, considerata bene pubblico per la democrazia. Un bene che è tale anche quando sviluppato dai soggetti privati, in un ambito di pluralismo industriale e culturale. Un bene essenziale, che oggi non produce business, ma che le democrazie debbono avere cura di supportare assicurando adeguate risorse per il lavoro professionale svolto sotto i principi della responsabilità editoriale delle imprese e dei professionisti dell’informazione. Un sostegno che ha nel modello del finanziamento all’emittenza locale un esempio da sviluppare in termini virtuosi, poiché fondato su parametri di riferimento trasparenti che mettono al primo posto il lavoro professionale, il riscontro del pubblico, gli investimenti in organizzazione e innovazione imprenditoriale».
A giudizio di Siddi il canone, quindi, per il servizio pubblico è una risorsa fondamentale e dal suo ammontare occorre far discendere le scelte su cui promuovere i progetti d’impresa, lo sviluppo innovativo e valutarne i risultati.
«Occorre – ha detto ancora – una valutazione equilibrata di sistema, affinché ci siano risorse adeguate per il pluralismo, che, come detto in premessa, sono sempre più indispensabili per l’informazione e la promozione dei beni della creatività culturale del nostro Paese».
Confindustria Radio Tv «ha interesse che il servizio pubblico abbia un ruolo nitido e lo eserciti in maniera puntuale. La Rai può essere il moderatore del sistema, ma non bastano solo le regole. È una questione di cultura. Le esperienze straniere, tra cui quella inglese ha dimostrato la difficile coniugazione tra autonomia gestione e indirizzo politico».
In sintesi, indipendentemente dal processo di nomina per il servizio pubblico, Siddi sottolinea «la necessità di stabilità della governance aziendale, di regole di funzionamento tali da consentire ai vertici nominati scelte strategiche necessarie coerenti con l’evoluzione tecnologica e industriale, di un mandato congruo, superiore ai tre anni, sul quale valutare oggettivamente i risultati rispetto ai compiti assegnati, di una certezza di risorse, se necessario anche incomprimibili su cui definire il perimetro di azione. Inoltre, vanno sottolineati i doveri di servizio pubblico, di rappresentanza plurale e inclusiva del Paese».
Al cospetto della Commissione VIII del Senato (Lavori pubblici e comunicazioni), Siddi ha scelto, invece, di non entrare nel dettaglio delle procedure di nomina (Parlamento, fondazione, consiglio di sorveglianza, Agcom, sorteggio) immaginando che «su questi temi il confronto sulle proposte di legge in discussione consentirà d’individuare ulteriori percorsi di analisi e valutazione.
Premessa essenziale sarà un dibattito serissimo sul pluralismo e sul valore dell’attività di chi assume responsabilità editoriale (pubblico o privato) che sia purché ciò avvenga al servizio del Paese e dei suoi cittadini».
«Sicuramente – ha concluso Siddi – riteniamo che non sia utopistico (le esperienze di aziende pubbliche non mancano) conciliare l’attività dei vertici del servizio pubblico con una stabilità ed economia di conduzione dell’impresa pubblica. Il duopolio va vissuto in maniera virtuosa in una visione di interesse pubblico e di sviluppo sociale, economico e culturale». (giornalistitalia.it)
Audizione Crtv in Senato. Progetti di legge per il pluralismo culturale e la riforma della Rai