COSENZA – Ancora una volta sono costretto a intervenire sulle dichiarazioni distorcenti la realtà del senatore Tonino Gentile. Non entro nel merito delle sue posizioni – e manovre – politiche. Quel che mi preme sottolineare, invece, è la pervicace ostinazione del senatore a definirsi vittima di una montatura mediatica per la vicenda dell’Oragate, come se egli ne fosse stato del tutto estraneo e, dimettandosi da sottosegretario, si sarebbe sacrificato per il bene patrio.
Gentile lascia sempre intendere di conoscere l’identità di colui che avrebbe ordito questa trama. Ma il fatto è che non c’è stata nessuna trama e nessun cospiratore.
A definirlo “cinghiale ferito”, che poi, se io non avessi censurato la notizia relativa all’indagine aperta sul figlio, “avrebbe ammazzato tutti”, nella telefonata da me registrata la notte tra il 18 e il 19 febbraio scorso, non fu alcuno dei mass media, ma Umberto De Rose, persona legata a lui da vecchia e consolidata intesa.
Nella conversazione, piena di minacce e allusioni da brivido, esercitate dal presidente di Fincalabra e nostro ex stampatore per convincere l’allora editore Alfredo Citrigno a farmi censurare l’articolo su Gentile jr, De Rose ribadisce più volte di parlare in nome e per conto della famiglia del senatore, lo esorta a mandare “nu signale pacificatore” che avrebbe giovato a tutti, ponendosi come “garante” dell’“accorduni” proposto: “cacciare la notizia” in cambio di un atteggiamento più benevolo del senatore e della sua famiglia verso quella dei Citrigno (un tempo amiche e partner in affari, poi diventate irriducibilmente nemiche).
Come ho più volte ripetuto, rischiando lo sfinimento, non soltanto esiste l’sms con cui Andrea Gentile, il figlio del senatore scrive ad Alfredo che “ha parlato con Umberto (De Rose, ndr) e lo ringrazia “per quello che farà”, ossia farmi togliere l’articolo che lo riguardava, oppure conservo ancora foto dell’sms dello stampatore allo stesso “Alfré” per esortarlo a rispondere alle chiamate dei Gentile alle quali non sta rispondendo (quindi De Rose era informato in tempo reale da Gentile jr), ma ci sono pure, quale inequivocabile documento, i tabulati telefonici pubblicati dal Corriere della Calabria. Questi ultimi provano le numerose chiamate del senatore a “Umbé” il giorno dell’Oragate, una appena un minuto dopo la famosa conversazione del “cinghiale ferito”.
Forse Tonino voleva rilassarsi soffrendo l’insonnia (era circa l’una del mattino) chiacchierando al telefono con un vecchio amico? Ma se è così allora perché Gentile, povera “vittima mediatica” non ha mai preso le distanze da De Rose, dalle cose agghiaccianti che lui diceva, usandone il nome e il prestigio socio-politico, in quella telefonata?
Io ho invitato più volte – e pubblicamente – il senatore a stigmatizzarne l’atteggiamento dello stampatore, ma egli non l’ha mai fatto: si ostina a dipingersi come vittima, ma senza proferire verbo su colui che ha tentato di esercitare un’intollerabile pressione, ponendosi come suo gregario. Ma non solo: Gentile (come il suo ex alleato, ora di nuovo nemico, Scopelliti) ha voluto che De Rose restasse al vertice della finanziaria regionale fino alla scadenza del mandato ed è stato tra quelli che ne consideravano ammissibile la ricandidatura.
Insomma, se De Rose ha mentito dicendo al telefono di parlare a suo nome, perché Gentile anziché querelarlo continuava a sostenerlo e comunque non ha mai preso le distanze da lui?
De Rose, è bene ricordalo, attualmente è indagato per violenza privata per l’Oragate e il falso blocco della rotativa che impedì l’uscita del giornale con la notizia scomoda per il senatore, così com’è indagato per le consulenze richieste, in Fincalabra, ad Andrea Gentile e per l’assunzione sempre nella finanziaria di Lory, l’altra figlia del senatore. Segnali di un’intesa a doppio filo ben difficile da scalfire.
È assurdo, considerando tali premesse, che Tonino Gentile si dica “orgoglioso” perché i fatti, riguardo all’Oragate gli avrebbero dato ragione ed annunci trionfante che sarebbe già “in possesso del decreto di archiviazione” per il figlio nell’ambito dell’inchiesta sulla brutta censura che subì l’Ora della Calabria.
Io, però, non ho ricevuto dalla Procura di Cosenza alcuna notifica e dovrebbe essermi recapitata visto che sono tra le parti lese della violenza privata su cui si sta indagando. Spero, quando ciò accadrà, di poter esercitare il diritto di valutare l’opportunità di un’opposizione. Ma indipendentemente da questo trovo sia incredibile da parte del senatore fare la vittima, porsi come un candido agnello sacrificale.
Io, volentieri, non avrei mai tirato in mezzo né lui, né alcuno della sua famiglia, non l’ho mai incontrato, neppure visto di persona in vita mia. Ma l’unica cosa certa è che quel soggetto che parlava in suo nome e suo conto ha provocato un trauma a tutta una redazione e una vicenda di cui i miei colleghi e io stiamo ancora pagando le conseguenze.
Lui può continuare a esternare un po’ quello che gli pare, noi invece abbiamo subito non solo il blocco delle pubblicazioni, ma anche l’oscuramento del sito, mentre stavamo rivelando la manovra per far passare la proprietà della testata, dopo una poco chiara messa in liquidazione, proprio a Umberto De Rose. Solo con volontà e forza estremo, con il sostegno della Federazione Nazionale della Stampa e di tutte le cellule attive di una società civile calabrese che non vuole bavagli né verità artate, non siamo rimasti silenti.
Legga il senatore cosa continuano a scriverci da quella orrenda notte in poi oltre 19 mila followers sulla nostra pagina Facebook, oppure i commenti agli articoli del nostro blog “lorasiamonoi”, che abbiamo aperto quando fu bloccato il sito.
Il Senatore, comunque, dovrebbe smetterla di confondere le acque e prendersela soltanto con De Rose, denunciare l’abuso che commise quella notte, prima incutendo paure varie all’editore, a scopo censorio, poi, essendomi io rifiutato di togliere la notizia, simulando un guasto alla rotativa e non facendo uscire il giornale. Questa sarebbe stata fin dall’inizio la strada eticamente obbligata per un senatore della Repubblica, che dovrebbe essere un garante delle libertà costituzionali, promuoverle e difenderle, a maggior ragione nella terra che lo ha eletto.
Invece niente: Tonino Gentile preferisce prendersela con fantomatici cospiratori, spingere la gente a cercare l’untore, così magari si dimentica quello che ha fatto chi si poneva come suo “bravo” di manzoniana memoria. Ma sappia il senatore che sarà vano da parte sua sperare in questo tipo di oblio. Non è più il tempo dei don Rodrigo, neppure nella nostra Calabria trasformata in palude stagnante da politici come lui.
Luciano Regolo: “Preferisce la caccia all’untore invece che prendersela con il bravo”