REGGIO CALABRIA – «È letteralmente sconcertante il documento sottoscritto dai presidenti delle Camere penali calabresi contro la trasmissione di Raitre “PresaDiretta” ed il collega Riccardo Iacona in seguito alla messa in onda della puntata titolata Processo alla ’ndrangheta. È un attacco che colpisce l’intera libera informazione del nostro Paese». È quanto denuncia il Gruppo Cronisti Calabria “Franco Cipriani” dell’Unci, presieduto da Michele Albanese, collega peraltro da anni sotto scorta proprio per la sua attività d’informazione sulle cosche.
«PresaDiretta, attraverso il lavoro realizzato da Riccardo Iacona e dai colleghi Marco Dellamonica e Massimiliano Torchia, contrariamente a quanto scritto dai penalisti calabresi – scrive l’Unci Calabria – ha, invece, avuto il merito di spezzare l’assordante silenzio dell’informazione nazionale su una delle vicende giudiziarie più importanti della storia italiana, ovvero il maxiprocesso “Rinascita Scott” la cui narrazione, anche a causa delle contestabili e contestate limitazioni imposte dal Tribunale di Vibo Valentia alle riprese audivisive del dibattimento, è stata sin qui rassegnata al lavoro solitario ed encomiabile di pochissimi cronisti e testate calabresi».
I cronisti calabresi sottolineano che «la redazione di PresaDiretta ha reso, invece, un servizio al Paese, offrendo una eccezionale pagina di buon giornalismo, raccontando i fatti alla base dell’inchiesta la cui tenuta è adesso al vaglio di collegio di giudici che valuterà nel nome del Popolo italiano la colpevolezza e l’innocenza degli imputati. Nessun processo mediatico, dunque, nessuna sentenza anticipata, ma un’informazione corretta, completa, essenziale e puntuale. Restiamo esterrefatti, peraltro, di fronte a certe affermazioni».
«Frasi sottoscritte dai penalisti come “assistiamo, oramai assuefatti, all’abuso costante del diritto-dovere di informare da parte dei media, i quali, pur di perseguire l’audience e il successo editoriale, prestano il fianco alle logiche di un potere illimitato nelle mani di un tiranno che tratta i propri cittadini come sudditi” – incalza l’Unci Calabria – sono gravissime. I giornalisti italiani e calabresi, sottoposti essi stessi ad estenuanti procedimenti penali e cause temerarie milionarie, abusano davvero del diritto-dovere d’informare?
Oppure chi abusa sono, invece, coloro che ricorrono strumentalmente proprio dal diritto con lo scopo di intimidire e fermare i giornalisti stessi? E chi sarebbe il tiranno? Il procuratore Nicola Gratteri, forse? O la tirannide, invece, è quella dei mafiosi che, essi sì, trattano i cittadini come sudditi o, peggio, come schiavi e che costringono molti nostri colleghi a vivere sotto scorta o sottoposti a servizi di vigilanza dinamica dalle Prefetture?».
Dal Gruppo Cronisti Calabria, dunque, «solidarietà piena e convinta non solo a PresaDiretta, a Riccardo Iacona e ad i suoi inviati, ma anche a tutti coloro che, resistendo ad ogni forma di pressione, continuano a produrre un’informazione seria, coraggiosa e competente, rispettosa dei diritti costituzionali tutti». (giornalistitalia.it)
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CATANZARO – «Non servirà un dibattimento, inutile ascoltare oltre mille testimoni, indicati in buona parte dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, e attendere la perizia sulle intercettazioni; superflue le domande e le discussioni dei difensori, così come tutta l’impalcatura processuale sancita nel codice di rito. Non occorreva l’indovino Tiresia (secondo la mitologia greca reso cieco dagli Dei affinché non profetizzasse argomenti “segreti”) per immaginare quello che sarebbe avvenuto da lì a poco nella trasmissione televisiva del servizio pubblico “Presadiretta”: il processo Rinascita Scott è stato celebrato dalla Tv di Stato (Rai Tre) con la condanna anticipata di tutti gli imputati». È quanto scrive, a proposito della puntata che “Presadiretta” ha dedicata al processo “Rinascita-Scott”, l’avvocato Valerio Murgano, a nome del coordinamento delle Camere penali calabresi, in una lettera indirizzata al Presidente e alla Giunta dell’Unione delle Camere Penali e all’Osservatorio nazionale Ucpi sull’Informazione Giudiziaria.
«L’attacco scriteriato e indiscriminato alla presunzione d’innocenza e ai principi costituzionali del giusto processo – si legge nella lettera – non ci sorprende più e, ancor di meno, ci meraviglia che il tribunale del popolo, imbastito abilmente dall’inchiesta giornalistica, si sia espresso per mezzo della televisione pubblica.
Attraverso la capziosa e partigiana rappresentazione di un processo, che solo sulla carta deve ancora celebrarsi, è stata rivendicata la necessità che gli “orpelli” del diritto processuale penale siano smantellati attraverso una scenografica rappresentazione delle istanze punitive della pubblica accusa».
Le «camere penali calabresi – si legge ancora – avevano avvertito e denunciato il rischio che la diffusa delegittimazione della funzione difensiva, frutto dell’abusata assimilazione tra l’avvocato e le ragioni del proprio assistito, risultasse plasticamente raffigurata dalla colossale macchina giudiziaria messa in piedi dalla Procura di Catanzaro, senza alcuna tutela per le istanze a presidio delle libertà individuali. Si è già detto: emerge lampante come un processo elefantiaco a carico di 480 imputati si risolva fisiologicamente (sia consentito l’ossimoro) in unrito sommario nei confronti di “categorie criminologiche” assistite dalla presunzione di colpevolezza. Il resto è teatralità».
Poi la lettera evidenzia: «Da avvocati penalisti abbiamo il dovere di resistere alle barbarie del processo virtuale, mediatico, anticipato, capace di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto i giudici che compongono il Tribunale del processo Rinascita-Scott. Avevamo paventato, a ragione, che la spettacolarizzazione dell’inchiesta potesse nuocere alla dignità e alle sorti processuali dei soggetti coinvolti. Oggi si ha la certezza che la sovraesposizionedegli atti d’indagine, interpretati come nelle migliori fiction dai loro stessi protagonisti, verranno valutate come prove della responsabilità penale dei singoli. Violando la riservatezza e la salvaguardia della “verginità” cognitiva dei giudici, sono stati escussi testimoni, riprodotte intercettazioni (senza il filtro del perito), divulgate immagini, esibiti atti ripetibili d’indagini, il tutto nell’assenza assoluta di un valido contraddittorio».
Subito dopo la lettera aggiunge: «A chi interessa (non si è fatto minimo accenno nella trasmissione) se buona parte (circa 200) delle misure cautelari applicate siano state successivamente censurate nelle sedi giudiziarie del gravame. Sotto lo scudo del diritto di cronaca si è materializzato un attacco cruento ai principi cardinali del sistema penale, le informazioni somministrate senza il filtro di un interlocutore capace di offrirne un’analisi corretta all’opinione pubblica. La libertà personale, la tutela dell’immagine, la difesa della dignità dei soggetti inquisiti, il diritto a un equo e giusto processo, tutti sacrificati sull’altare di un giustizialismo propagandistico e inquisitorio, degno di una Tv di regime. Assistiamo, oramai assuefatti, all’abuso costante del diritto-dovere di informare da parte dei media, i quali, pur di perseguire l’audience e il successo editoriale, prestano il fianco alle logiche di un potere illimitato nelle mani di un tiranno che tratta i propri cittadini come sudditi. Una sorta di realtà parallela frutto sapiente di una sceneggiatura montata ad arte dalla testata giornalistica pubblica».
Nella stessa missiva, inoltre, si legge che «il grido di dolore delle camere penali calabresi è ben condensato nelle sapienti parole che il Guardasigilli ha pronunciando solo due giorni fa in commissione giustizia alla Camera dei Deputati e con le quali il Ministro Marta Cartabia ha riaffermato, a questo punto anche lei inutilmente, il “no” al processo mediatico, denunciando “la sponda” che gli inquirenti cercano sui media per amplificare la forza delle accuse. Ed allora, i giudici saranno chiamati a valutare fatti già accertati, a giudicare soggetti già condannati, a valutare prove già assunte».
Infine, la lettera conclude: «L’uso distorto del diritto d’informazione, l’annientamento delle garanzie processuali, la violazione sistematica del diritto di difesa, non indeboliscono, ma all’opposto rafforzano la criminalità organizzata, amplificando logiche e spinte antistatali che trovano nuova linfa nell’animo di coloro che non credono più che l’imputato abbia il diritto di difendersi nel processo e nel rispetto delle regole. Le Camere Penali Calabresi, nel ribadire il momento drammatico che l’esercizio del diritto di difesa vive sul proprio territorio, propongono alla Giunta di voler proclamare lo stato di agitazione dell’avvocatura penalista, accompagnata da iniziative di carattere politico sull’intero territorio nazionale». (adnkronos)