Il report Usa che inchioda il principe saudita scatena l’ira di Magistratura democratica

“Renzi ha svenduto l’Italia per un piatto di lenticchie”

Matteo Renzi e Muhammad bin Salman

ROMA – «Se l’Italia vuole conservare un accettabile grado di credibilità nel contesto internazionale, deve stringere un cordone sanitario intorno a sortite come quella “araba” di Matteo Renzi, ricordandogli che essere stato presidente del Consiglio comporta oneri anche quando si è cessati dalla carica e che essere parlamentari di una Repubblica democratica non è compatibile – eticamente e politicamente – con l’adulazione dei despoti». Lo afferma Nello Rossi, direttore della rivista “Questione giustizia” che è stato autorevole esponente dell’Associazione nazionale magistrati e consigliere del Csm.

Nello Rossi

Nell’articolo “Legittimare un despota? E per un piatto di lenticchie?”, pubblicato dalla rivista edita dall’Associazione Magistratura Democratica, Rossi non usa mezzi termini nei confronti di Renzi alla luce del rapporto dell’intelligence Usa che attribuisce al principe saudita Muhammad bin Salman la responsabilità dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, editorialista del Washington Post, ucciso, fatto a pezzi e sciolto nell’acido nel Consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul.
«Ne va – sottolinea Nello Rossi – della capacità del nostro Paese – ed è per questo che una Rivista di magistrati ritiene di dover intervenire – di svolgere il ruolo cui ambisce, e nel quale ha profuso tante energie e risorse, di protagonista nella tutela dei diritti umani fondamentali. Non vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie è il minimo che si deve a quanti per la Repubblica democratica hanno lavorato, lottato, sofferto e persino dato la vita ed a coloro che sono impegnati, in ogni parte del mondo, nella salvaguardia del diritto e dei diritti, di contro alla violenza e alla sopraffazione».

Jamal Khashoggi

Rossi evidenzia, infatti, che «nell’executive summary del rapporto elaborato dall’Office of the Director of National Intelligence americano sull’uccisione di Jamal Khashoggi, desecretato il 25 febbraio 2021 per iniziativa dell’amministrazione Biden, si legge testualmente: “Riteniamo che il principe ereditario Muhammad bin Salman abbia approvato una operazione ad Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi. Basiamo questa valutazione sul controllo del principe saudita sui processi decisionali nel Regno, sul diretto coinvolgimento di un consigliere chiave e di membri della cerchia di Muhammad bin Salman nell’operazione, sul sostegno del principe ereditario all’uso di misure violente per silenziare il dissenso all’estero, incluso Khashoggi. Fin dal 2017 il principe ereditario ha avuto il controllo assoluto della sicurezza del Regno e delle organizzazioni di intelligence, il che rende altamente improbabile che funzionari sauditi abbiano portato avanti un’operazione di questa natura senza l’autorizzazione del principe ereditario».

Matteo Renzi r Mohammed bin Salman

“Questione giustizia” spiega che nel report vengono sinteticamente rappresentati i termini dell’operazione criminale: «Iniziata con l’arrivo ad Istanbul, il 2 ottobre 2018, di una squadra di quindici sauditi – comprendente funzionari legati al Saudi Center for Studies and Media Affairs (CSMARC) della Corte reale e sette membri della scorta di élite di Muhammad bin Salman, nota come Forza rapida d’intervento (RIF) – l’azione programmata, che ha coinvolto 21 persone, è culminata nell’assassinio di Jamal Khashoggi all’interno del Consolato saudita della metropoli turca.

Jamal Khashoggi immortalato dalla telecamera di sorveglianza mentre entra nel Consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul

L’intelligence americana ricorda in particolare che, all’epoca dell’operazione, il CSMARC era diretto da Saud al–Qatahani, stretto consigliere di Muhammad bin Salman e sottolinea che questi, alla metà del 2018, aveva dichiarato pubblicamente di non prendere decisioni senza l’approvazione del principe ereditario».
«Anche i membri della Forza rapida d’intervento – sostiene il rapporto – non avrebbero partecipato all’operazione senza l’approvazione del principe Muhammad bin Salman. Il principe – prosegue il report – vedeva in Khashoggi una minaccia per il Regno ed era il sostenitore del ricorso, se necessario, a mezzi violenti per ridurlo al silenzio. Unico aspetto di relativa incertezza per gli estensori del report è “con quanto anticipo” i funzionari sauditi avessero deciso di colpire a morte il giornalista nell’ambito di una operazione punitiva da tempo pianificata».

Le immagini delle telecamere di videosorveglianza diffuse dalla tv turca A Haber mostrano alcuni uomini con valige e grandi buste con il corpo smembrato di Jamal Khashoggi

Quindi, l’affondo a Matteo Renzi: «Risale solo a qualche settimana fa lo spettacolo di un ex Presidente del Consiglio, senatore in carica e leader di una forza politica presente in Parlamento e nel Governo, che si reca alla corte del principe ereditario Muhammad bin Salman per rendergli omaggio ed intrattenersi amabilmente con lui sul Rinascimento arabo ed altre amenità, tra cui l’invidiato costo del lavoro in Arabia Saudita (dovuto, per inciso, all’enorme numero di immigrati che vi lavorano).
La visita di Matteo Renzi – al di là degli aspetti e dei toni che hanno suscitato tra molti spettatori un riso assai amaro – aveva uno scopo preciso: legittimare un governante screditato sulla scena internazionale, rinsaldando il suo potere all’interno del Paese e mostrandolo ai suoi sudditi come interlocutore privilegiato di chi ha ricoperto altissimi incarichi istituzionali in un grande Paese democratico». (giornalistitalia.it)

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