ROMA – Importante decisione della Cassazione in tema di perquisizione e sequestro di materiale informatico nei confronti di un giornalista. La 6ª sezione penale della Suprema Corte, nonostante il contrario parere della Procura Generale, con sentenza n. 3764 del 1° febbraio 2021, ha annullato l’ordinanza emessa il 4 giugno scorso dal tribunale di Napoli che, in sede di esame, aveva legittimato il provvedimento adottato un mese prima dal pubblico ministero nei confronti del giornalista Mario De Michele che aveva sottoposto a sequestro un computer e hard disk in maniera indistinta.
I supremi giudici hanno ritenuto che, anche in presenza di un’idonea giustificazione dell’attività di indagine, le esigenze di tutela devono essere sempre correlate sul piano della proporzionalità a specifici profili di ordine quantitativo, qualitativo e temporale, in quanto in questo caso non solo non si era immediatamente proceduto all’estrazione di dati rilevanti, ma neanche a quella di una copia del contenuto dei dispositivi, che risulta essere stata eseguita solo a distanza di quasi due mesi. Questa tempistica ha leso i diritti del giornalista salvaguardati anche dall’art. 10 della Carta Europea per i Diritti dell’Uomo e convalidati in numerose decisioni della Corte di Strasburgo. (giornalistitalia.it)
Pierluigi Franz
Cassazione Sesta Sezione Penale
Sentenza n. 3764 del 1° febbraio 2021 – udienza del 9 dicembre 2020
(Presidente Giorgio Fidelbo, relatore Massimo Ricciarelli)
SENTENZA
sul ricorso proposto da
De Michele Mario, nato il 24 aprile 1972 ad Aversa avverso l’ordinanza del 4 giugno 2020 del Tribunale di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vincenzo Senatore, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le note di replica del difensore del ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 4 giugno 2020 il Tribunale di Napoli ha confermato in sede di riesame il decreto di perquisizione e conseguente sequestro emesso in data 7 maggio 2020 dal P.M. presso il Tribunale di Napoli nei confronti di De Michele Mario in relazione ai reati di calunnia e detenzione e porto di armi, decreto avente ad oggetto armi, agende, appunti, documenti anche informatici, pertinenti a detti reati.
2. Ha presentato ricorso il De Michele tramite il suo difensore. Con articolato motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 256, 200, 201, 247 cod. proc. pen. segnalando il travisamento delle note difensive in ordine alla non operatività del segreto professionale nei confronti del giornalista indagato, l’erroneamente ravvisata operatività delle previsioni in materia di perquisizione e sequestro alle ablazioni eseguite nei confronti di giornalisti indagati, il distinguo operato in ordine all’apprensione di sistemi informatici, tra attività di perquisizione e sequestro, essendosi secondo il Tribunale ancora in costanza di perquisizione, il travisamento delle deduzioni relative alla denunciata sproporzione del vincolo reale su tutte le res riferibili all’indagato, riguardanti la sua attività di giornalista.
Segnala che nei confronti del giornalista l’acquisizione di dati deve essere tale da non compromettere la sua libertà e reputazione. Rileva, inoltre, che deve essere assicurata la proporzionalità tra contenuto del provvedimento ablativo ed esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini.
Invoca il segreto professionale riconosciuto dall’art. 200 cod. proc. pen. e sottolinea la necessità che il provvedimento di sequestro sia specificamente motivato quanto alla puntuale individuazione della res da sottoporre a vincolo e alla necessità di apprendere la cosa a fini di accertamento della notizia di reato, ferma restando la necessità di formulare un ordine di esecuzione al quale possa specificamente opporsi il segreto, ciò che nel caso di specie non era stato possibile.
Rileva che vi era stata un’indiscriminata estensione del mezzo di ricerca della prova, senza chiara indicazione della cosa da acquisire e del collegamento tra la res e i reati oggetto di indagine.
Rileva ancora che avrebbe dovuto reputarsi irrituale la sottoposizione a sequestro di computer e hard disk in maniera indistinta e per esperire accertamenti che prescindano da limiti temporali. Quindi segnala che era mancata l’indicazione della rilevanza probatoria e che non era stato rispettato il canone della proporzionalità, ferma restando la necessità dell’apprezzamento del dato temporale ai fini dell’espletamento delle attività tecniche. Né avrebbe potuto prospettarsi una sorta di protratta perquisizione, non ancora seguita da un vero sequestro.
La tutela del giornalista avrebbe dovuto assicurarsi anticipatamente, posto che l’interessato viene privato del valore in sé del dato costituito dalla sua informazione portante, essendo rilevante anche il trattenimento di una copia. Richiama analoghe vicende processuali che avevano riguardato giornalisti e rileva che il soggetto titolare di diritto al segreto, in particolare il giornalista, deve essere destinatario dell’invito a consegnare atti specifici, al fine di scongiurare sequestri indiscriminati e incondizionati.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.
4. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica con motivi aggiunti, ribadendo le doglianze formulate, segnalando che in data 15 luglio 2020 vi era stata solo un’estrapolazione dei dati contenuti nei supporti informatici e che persisteva il vincolo, che non si era proceduto con la richiesta al ricorrente di consegnare il materiale ricercato, che era ravvisabile un vulnus a diritti fondamentali del ricorrente, in relazione alla tutela del domicilio informatico e della riservatezza informatica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato con riguardo all’assorbente profilo della violazione del canone di proporzionalità ed adeguatezza dell’eseguito sequestro di dispositivi informatici.
2. Il Tribunale sul punto ha rilevato solo che l’acquisizione di tali dispositivi era funzionale all’attività di perquisizione dalla quale sarebbe dovuta discendere l’estrapolazione e il sequestro dei dati rilevanti, solo essi assoggettati al limite della proporzionalità.
3. Si tratta però di un approccio erroneo. In particolare va rimarcato che il P.M., pur consapevole del profilo della proporzionalità, tanto più rilevante ove vengano in rilievo soggetti che svolgono attività di giornalista, aveva dato conto dell’esigenza probatoria in rapporto a quanto strettamente necessario e della perquisizione da eseguirsi ai sensi dell’art. 247, co. 1 -bis cod. proc. pen., rinviando ad un momento successivo le operazioni di verifica in contraddittorio. Ma in tal modo non aveva indicato alcun preciso canone di verifica, aprendo la strada ad una totalizzante, indifferenziata analisi del contenuto dei dispositivi, di significato sostanzialmente esplorativo.
4. Orbene, il cruciale tema dei limiti di attività intrusive e di sequestro, aventi ad oggetto dispositivi informatici, è stato più volte esaminato dalla giurisprudenza di legittimità, che ha individuato la necessità di contemperare le finalità investigative e le esigenze di proporzionalità, tanto più quando venga in rilievo la necessità di salvaguardare da interventi invasivi soggetti portatori di interessi qualificati alla riservatezza, quali i giornalisti (si rinvia al riguardo a Sez. 6, n. 13165 del 4 marzo 2020, Scagliarini, Rv. 279143).
È sufficiente sul punto richiamare quanto osservato in altra occasione, nell’ambito di un’ampia e nitida analisi (Sez. 6, n. 9989 del 19 gennaio 2018, Lillo, Rv. 272538), allorché si è rilevato che occorre valutare con rigore la proporzione tra il contenuto del provvedimento emesso dall’Autorità Giudiziaria e le esigenze di accertamento dei fatti in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della corrispondenza e delle fonti, con il rischio di interventi indebitamente invasivi, destinati a limitare anche la garanzia convenzionale desumibile dall’art. 10 C.E.D.U., secondo quanto rilevato anche in plurime pronunce della Corte di Strasburgo (per le quali si rinvia alla richiamata pronuncia di legittimità). Ma al tempo stesso nella medesima circostanza è stato anche sottolineato come debba stabilirsi una distinzione tra perquisizione e sequestro, da un lato dovendosi formulare un ordine di esibizione tale da consentire la diretta collaborazione del soggetto tutelato e dall’altro potendosi tuttavia procedere alla verifica di sistemi informatici, secondo il meccanismo contemplato dall’art. 247, comma 1-bis cod. proc. pen. in presenza di connotati di indispensabilità dell’informazione da ricercare e in vista della concreta acquisizione dei dati contenuti nel sistema esaminato.
Deve aggiungersi che, per quanto non sia di per sé legittima l’indiscriminata acquisizione di tutte le informazioni contenute in un sistema informatico, ad esempio costituito da un computer (Sez. 6, n. 24617 del 24/2/2015, Rizzo, Rv. 264092), tuttavia non possono dirsi vietati né l’estrazione dei dati rilevanti né un sequestro dai contenuti estesi, ravvisabile se del caso nell’acquisizione di copia forense del contenuto, ma connotato da ragionevolezza temporale (Sez. 6, n.53168 del 11 novembre 2016, Amores, Rv. 268489), in funzione dell’estrazione selettiva di quei dati, la quale, stante il breve lasso di tempo, non potrebbe reputarsi incompatibile, in relazione al novero delle operazioni necessarie, con il rispetto al canone della proporzione e adeguatezza (sul punto, Sez. 6, n. 4857 del 14711/2018, dep. 2019, Sindoca, non mass.).
A ben guardare dunque, in presenza di un’idonea giustificazione dell’attività di indagine, le esigenze di tutela devono essere correlate sul piano della proporzionalità a specifici profili di ordine quantitativo, qualitativo e temporale.
5. Senonché, nel caso di specie, deve ribadirsi che non solo non si è immediatamente proceduto all’estrazione di dati rilevanti, ma neanche a quella di copia del contenuto dei dispositivi, che risulta essere stata eseguita a distanza di quasi due mesi, dovendosi ritenere che al di fuori di una preordinata e limitata ragionevolezza temporale il sequestro non si sarebbe potuto prospettare il perdurare di una indistinta fase di perquisizione, ma avrebbe dovuto aversi riguardo ad un vero e proprio sequestro, autonomamente valutabile e riferito alla massa indistinta dei dati contenuti nei dispositivi sottoposti a vincolo.
D’altro canto non è stata indicata alcuna specifica chiave di ricerca, tale da costituire strumento idoneo a limitare il rischio di una ingiustificata e totalizzante intrusione nella conoscenza di dati personali e riservati, con la conseguenza che anche sotto tale profilo il sequestro ha finito per assumere connotazione sproporzionata ed avulsa da una qualsivoglia prospettiva di mirato accertamento, non potendosi dire consentito un controllo esteso ad ogni tipo di contenuto del dispositivo.
Deve dunque ribadirsi che è stato superato il limite della proporzionalità e adeguatezza del vincolo, tale da esporre il ricorrente ad una ingiustificatamente ampia privazione, anche sotto il profilo temporale, di dati personali e riservati (deve del resto richiamarsi anche il principio secondo cui «in tema di sequestro probatorio di dati informatici o telematici l’estrazione di copia integrale dei dati in essi contenuti realizza solo una copia-mezzo, che consente la restituzione del dispositivo, ma non legittima il trattenimento della totalità delle informazioni apprese oltre il tempo necessario a selezionare quelle pertinenti al reato per cui si procede»: Sez. 6, n. 34265 del 22 settembre 2020, Aleotti, Rv. 279949).
6. Ne discende l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e del provvedimento genetico limitatamente al materiale informatico, che deve essere restituito all’avente diritto.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto del P.M. in data 7 maggio 2020 limitatamente al materiale informatico, di cui dispone la restituzione all’avente diritto.