ROMA – Ancora una volta la sezione lavoro della Cassazione ha respinto un ricorso dell’Inpgi confermando, così, il precedente verdetto della Corte d’appello di Roma in tema di riconoscimento dell’attività giornalistica subordinata.
La Suprema Corte, presieduta da Antonio Manna, con ordinanza n. 25395 dell’11 novembre, ha bocciato la richiesta dell’Inpgi nei confronti del Gruppo editoriale Repubblica-Espresso tendente a far rientrare nell’art. 2 del contratto di lavoro giornalistico tre collaboratori del quotidiano e del settimanale, fra i quali il noto giornalista sportivo e scrittore Gianni Clerici, considerato uno dei maggiori esperti di tennis del mondo. E ancora una volta, a dimostrazione della cronica lentezza della magistratura italiana, sono stati necessari quasi sette anni tra la decisione di 2° grado e quella della Cassazione. (giornalistitalia.it)
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Cassazione Sezione Lavoro Ordinanza n. 25395 dell’11 novembre 2020
(Presidente Antonio Manna, relatore Enrica D’Antonio)
ORDINANZA
sul ricorso 4558-2015 proposto da: Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” C.F. 01057021006, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Gabriele Camozzi 9, presso lo studio dell’avvocato Gavina Maria Sulas, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
Gruppo Editoriale L’Espresso spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Giuseppe Mazzini 27, presso lo Studio Trifirò & Partners, rappresentata e difesa dagli avvocati Giacinto Favalli, Paolo Zucchinali e Maria Cristina Pujatti Cervenca;
– controricorrente
– avverso la sentenza n. 8855/2013 della Corte d’appello di Roma, depositata il 7 febbraio 2014 r.g.n. 2164/2010.
CONSIDERATO IN FATTO:
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla soc. Gruppo Editoriale l’Espresso avverso il decreto ingiuntivo emesso su istanza dell’Inpgi per il pagamento di contributi omessi e sanzioni, aveva rideterminato la somma dovuta in euro 136.681,48 con riferimento alla sola posizione del giornalista Pietro D’Ottavio, dichiarando altresì cessata la materia del contendere quanto alla posizione del giornalista Filetto.
La Corte d’appello, premesso che era onere dell’Inpgi provare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e che l’Istituto aveva fatto essenzialmente riferimento al verbale ispettivo, ha ritenuto che con riferimento ai giornalisti Giovanni Clerici, Giulio Di Palma e Vania Colasanti aventi con la società un contratto di collaborazione autonoma, non vi fosse prova dei requisiti richiesti dall’art 2 del CCNLG per i collaboratori fissi in quanto, pur avendo reso la loro opera con carattere di continuità, non vi era prova che avessero messo a disposizione di questa la loro opera anche tra una prestazione e l’altra o che avessero la responsabilità di un servizio a loro affidato con obbligo di assicurare la copertura di una determinata area informativa nei confronti della stessa .
2. Avverso la sentenza ricorre Inpgi con cinque motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cpc. resiste la soc. Gruppo Editoriale L’Espresso.
RITENUTO IN DIRITTO:
3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia motivazione generica ed inesistente, violazione degli artt. 112, 115, 132 n. 4, 277 cpc (art. 360 n 4 cpc) per aver adottato una motivazione unica con riferimento ai giornalisti Giovanni Clerici, Giulio Di Palma e Vania Colasanti senza tenere conto delle diversità tra i vari rapporti e senza neppure disporre la prosecuzione della prova testimoniale qualora avesse avuto dubbi e ciò in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dell’obbligo di motivazione .
4. Con il secondo motivo denuncia mancanza di motivazione circa l’insussistenza dei requisiti della figura del collaboratore fisso e della natura subordinata dei rapporti di lavoro con conseguente ulteriore violazione degli artt. 112, 115, 132 (360 n 4 cpc), dell’art 2 CCNLG e degli artt. 1362, 1363 e 2094 (360 n. 3, 5 cpc).
Censura l’esclusione del rapporto di lavoro subordinato sebbene dalla prova fosse risultata la subordinazione. Richiama la motivazione del primo giudice e le censure ad essa sulle quali la Corte aveva omesso di motivare. Denuncia la violazione dell’art 2094 cc avendo la Corte disatteso i principi affermati dalla Corte di Cassazione per il riconoscimento della subordinazione e le norme del CCNLG; l’erronea rilevanza attribuita dalla Corte al nomen iuris dei contratti intercorsi tra le parti e l’erronea interpretazione dell’art 2 del CCNL G relativo alla qualifica di collaboratore fisso; l’erronea affermazione secondo cui non vi era subordinazione in quanto non vi era alcun obbligo per i giornalisti di tenersi a disposizione nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, mentre la disponibilità era da intendersi quella che consentiva di consegnare la rubrica nei tempi occorrenti per la sua elaborazione redazionale e pubblicazione «Censura l’affermata negazione che i tre giornalisti avessero rubriche fisse e compensi fissi.
5. Con il terzo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo per non aver svolto indagini in ordine alla misura fissa dei compensi erogati ai tre giornalisti e alla periodicità dei loro versamenti, alla qualità e quantità degli articoli.
6. Con il quarto motivo denuncia violazione dell’art 2700 cc per non aver valutato gli elementi di fatto in ordine alla qualità e quantità degli articoli pubblicati, come emersi dal verbale ispettivo, e per aver del tutto ignorato l’efficacia probatoria dei verbali ispettivi.
7. Con il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 421 cpc per aver omesso di completare l’istruttoria più volte richiesta (art 360 n 3 e 4 cpc) .
8. Il ricorso è infondato. Preliminarmente va rilevato che ciascun motivo contiene plurime e confuse censure in relazione all’art. 360 n 3, 4 o 5 cpc in assenza di una specifica indicazione delle parti della sentenza censurata in relazione a ciascun vizio denunciato e l’individuazione precisa per ciascuna censura della norma violata. Il ricorso difetta anche di autosufficienza per non aver riportato il verbale ispettivo, in base al quale essenzialmente si appuntano le critiche alla sentenza, nonché le complete dichiarazioni dei testi, di cui sono riportati solo alcuni stralci pur a fronte della richiesta di una loro nuova valutazione.
9. Nel merito va rilevato che l’art 2 del CCNLG individua la figura del collaboratore fisso e stabilisce che «… Le norme del presente contratto si applicano anche ai collaboratori fissi, cioè ai giornalisti addetti ai quotidiani, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti radiotelevisive private e agli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali, che non diano opera giornalistica quotidiana purché sussistano continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio. Agli effetti di cui al comma precedente sussiste:
– continuità di prestazione allorquando il collaboratore fisso, pur non dando opera quotidiana, assicuri, in conformità del mandato, una prestazione non occasionale, rivolta a soddisfare le esigenze formative o informative riguardanti uno specifico settore di sua competenza;
– vincolo di dipendenza allorquando l’impegno del collaboratore fisso di porre a disposizione la propria opera non venga meno tra una prestazione e l’altra in relazione agli obblighi degli orari, legati alla specifica prestazione e alle esigenze di produzione, e di circostanza derivanti dal mandato conferitogli;
– responsabilità di un servizio allorquando al predetto collaboratore fisso sia affidato l’impegno di redigere normalmente e con carattere di continuità articoli su specifici argomenti o compilare rubriche».
10. Questa Corte ha affermato che «In materia di attività giornalistica, per la configurabilità della qualifica di “collaboratore fisso”, di cui all’art. 2 del c.c.n.l. lavoro giornalistico (reso efficace “erga omnes” con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153), la “responsabilità di un servizio” va intesa come l’impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d’informazione, onde deve ritenersi tale colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative, per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la “copertura” di detta area informativa, rientrante nei propri piani editoriali e nella propria autonoma gestione delle notizie da far conoscere, contando, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla piena disponibilità del lavoratore, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra» (Cass. n. 11065/2014 29182/2018).
11. Nella specie la Corte è pervenuta ad escludere detti requisiti ed ora l’Inpgi, pur denunciando la violazione di numerose norme, in realtà pretende una nuova valutazione delle prove, omettendo tuttavia di riportare il verbale ispettivo su cui basa essenzialmente la sua valutazione dei rapporti di lavoro e senza specificare la quantità della prestazione, la frequenza del lavoro e le sue modalità.
12. Il ricorrente finisce, in definitiva, con il censurare la valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice del gravame sollecitando questa Corte ad una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Ed infatti, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. ex plurimis, Cass. n. 16056 del 2 agosto 2016 Cass. n. 17097 del 21 luglio 2010; Cass. n. 12362 del 24 maggio 2006; Cass. n. 11933 del 7 agosto 2003).
Ancora, sulla doglianza circa la limitazione della prova testimoniale, riconducibile al vizio di cui all’art. 360 n 5 cpc, va rilevato che costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, esercitabile anche nel corso dell’espletamento della prova, qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova e tale ultima valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal complesso della motivazione della sentenza. (cfr. Cass 11810/2016, n. 9551/2009).
13. Il ricorso, ove denuncia in relazione all’art. 360 n 5 cpc l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, è del resto inammissibile non presentando alcuno dei requisiti richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nella nuova formulazione (così come interpretato da SU n. n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo:
a) con il lamentare non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) bensì l’omessa o carente valutazione di risultanze istruttorie;
b) con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).
14. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese processuali. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n 115/2002.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali che liquida in euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13. (giornalistitalia.it)