ROMA – Rossana Rossanda, giornalista, scrittrice, dirigente del Partito Comunista Italiano negli anni Cinquanta e Sessanta, cofondatrice del quotidiano “il manifesto”, è morta nella sua casa di Roma all’età di 96 anni.
Nata a Pola il 23 aprile 1924, era giornalista pubblicista iscritta all’Ordine del Lazio dal 29 settembre 1960.
È stata sempre dalla parte dei lavoratori e degli ultimi, rimanendo fedele agli ideali per i quali non ha mai smesso di battersi, dote assai rara in un mondo di trasformisti sempre pronti a rinnegare tutto e tutti pur di salire sul carro del vincitore o rimanere aggrappati a qualche poltrona.
Fra il 1937 e il 1940 Rossana Rossanda frequentò il liceo classico Alessandro Manzoni di Milano e anticipò di un anno l’esame di maturità. All’Università Statale di Milano fu allieva del filosofo Antonio Banfi; giovanissima partecipò alla Resistenza e nel 1946 si iscrisse al Pci nel 1946.
Nel 1958 entrò nel comitato centrale del Pci e, grazie anche alla sua vasta cultura, venne nominata dal segretario Palmiro Togliatti responsabile della sezione di politica culturale del Pci, che diresse dal 1963 al 1966.
Deputato alla Camera (1963-68), partecipò nel 1969 alla fondazione del mensile “il manifesto” con Luigi Pintor, Valentino Parlato, Lucio Magri, Aldo Natoli, Luciana Castellina, Massimo Caprara.
In un articolo dal titolo “Donne e politica”, apparso sulla rivista “Inchiesta”, nel numero 160 dell’aprile-giugno 2008, Rossana Rossanda raccontò che «nel Partito Comunista – che forse era ancora il luogo migliore in cui stare per una donna – quando ci si trovava a dover nominare una commissione su una certa direttiva, si faceva una lista di nomi e venivano fuori sempre Pajetta, Ingrao, Rossanda e poi, dicevano, “ci vuole una donna”. E io timidamente facevo notare che ero una donna. “No, no, ci vuole una donna vera” era la risposta».
Accusata di frazionismo, fu radiata dal Pci. Contribuì, quindi, alla costituzione del movimento politico del Manifesto militando poi nel Partito di unità proletaria per il comunismo (Pdup, 1976-79), di cui fu cofondatrice.
Tra i fondatori del quotidiano “il manifesto” nel 1971, che ha lasciato nel 2012 per discrepanze con l’allora nuova direzione, ne è stata più volte direttore e, comunque, una delle figure più autorevoli e rappresentative.
Per Einaudi di recente ha pubblicato l’autobiografico “La ragazza del secolo scorso” (2005), “Un viaggio inutile” (2008) e “Quando si pensava in grande” (2013). Il suo ultimo libro è “Questo corpo che mi abita” (Bollati Boringhieri, 2018).
Tra i suoi libri “L’anno degli studenti” (De Donato, 1968); “Le altre. Conversazioni sulle parole della politica” (Feltrinelli, 1979); con Pietro Ingrao e altri, “Appuntamenti di fine secolo” (manifestolibri, Roma 1995); con Filippo Gentiloni, “La vita breve” (Pratiche, 1996); con Carla Mosca, il libro-intervista all’ex terrorista Mario Moretti, “Brigate Rosse. Una storia italiana” (Anabasi, 1994).
Tra le tante definizioni possibili di Rossana Rossanda, l’interessata ha scelto per se stessa quella di “ragazza del secolo scorso” quando si è trattato di raccontare la sua vita, “la politica come educazione sentimentale”. E proprio “La ragazza del secolo scorso” volle intitolare la sua autobiografia pubblicata per Einaudi nel 2005.
«Questo non è un libro di storia. È quel che mi rimanda la memoria quando colgo lo sguardo dubbioso di chi mi è attorno: perché sei stata comunista? perché dici di esserlo? che intendi? senza un partito, senza cariche, accanto a un giornale che non è più tuo? è una illusione cui ti aggrappi, per ostinazione, per ossificazione? Ogni tanto qualcuno mi ferma con gentilezza: “Lei è stata un mito!” Ma chi vuol essere un mito? Non io. I miti sono una proiezione altrui, io non c’entro – scriveva Rossanda – Mi imbarazza. Non sono onorevolmente inchiodata in una lapide, fuori del mondo e del tempo. Resto alle prese con tutti e due. Ma la domanda mi interpella».
La vicenda del comunismo e dei comunisti del Novecento, ammetteva Rossanda, è «finita così malamente che è impossibile non porsela». Che è stato essere un comunista in Italia dal 1943? Comunista come membro di un partito, non solo come un momento di coscienza interiore con il quale si può sempre cavarsela: «In questo o in quello non c’entro».
«Comincio dall’interrogare me. Senza consultare né libri né documenti ma non senza dubbi», argomentava Rossanda.
«Dopo oltre mezzo secolo attraversato correndo, inciampando, ricominciando a correre con qualche livido in più, la memoria è reumatica – confessava la giornalista –. Non l’ho coltivata, ne conosco l’indulgenza e le trappole. Anche quelle di darle una forma. Ma memoria e forma sono anch’esse un fatto tra i fatti. Né meno né più».
“il manifesto” nasce come rivista politica mensile nel 1969, per trasformarsi nel “quotidiano comunista” nel 1971. Il primo numero del periodico esce il 23 giugno 1969 pubblicato dalle Edizioni Dedalo con una tiratura di 75 000 copie. La veste grafica è curata da Giuseppe Trevisani, il prezzo della copia era di 50 lire e vendette 30.000 copie tra edicole e librerie. Alla fondazione del periodico contribuirono, tra gli altri, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Aldo Natoli, Valentino Parlato, Lidia Menapace, Ninetta Zandegiacomi e Michele Rago.
La rivista scaturisce dalla componente più “a sinistra” del Partito Comunista Italiano che con il leader Pietro Ingrao aveva sostenuto nel corso dell’XI congresso alcune battaglie per la democrazia interna al partito e sollevato la questione del “modello di sviluppo” in contrapposizione alla componente più “moderata” del partito, capeggiata da Giorgio Amendola. L’idea di dare vita a una pubblicazione autonoma risale all’estate del 1968, ma venne congelata in vista del XII congresso del Pci, dove, peraltro, Pintor, Natoli e Rossanda non avevano votato in Comitato centrale le tesi.
La rivista assume subito posizioni in contrasto con la linea maggioritaria del partito (in particolar modo rispetto all’invasione sovietica della Cecoslovacchia, con l’editoriale uscito nel secondo numero intitolato “Praga è sola”) che ne chiede la sospensione delle pubblicazioni. La Commissione Centrale di Controllo e il Comitato centrale del Pci il 24 novembre 1969, relatore Alessandro Natta, deliberarono la radiazione per Rossanda, Pintor e Natoli con l’accusa di “frazionismo”. Successivamente venne adottato un provvedimento amministrativo per Lucio Magri e non vennero rinnovate le iscrizioni per Massimo Caprara (dal 1944, per 20 anni, segretario personale di Togliatti), Valentino Parlato e Luciana Castellina.
“il manifesto” si costituisce poco dopo come formazione politica con una piccola rappresentanza parlamentare (Natoli, Pintor, Rossanda ai quali si aggiungono Caprara e Liberato Bronzuto). Nel settembre del 1970 (la tiratura sarà di 60 000 copie) vengono proposte “le tesi per il comunismo” nelle quali viene avanzata una piattaforma politica per l’unità della sinistra rivoluzionaria e si caldeggia la costituzione di una forza politica. Si intensificano, inoltre, le relazioni con Potere operaio con il quale la formazione del “manifesto” tiene un congresso nel febbraio 1971: si dovrebbe sancire l’unificazione tra le due forze, ma si chiude invece con una rottura.
La rivista in forma di periodico esce 18 volte (tra cui sei numeri doppi) con discontinuità fino alla nascita del quotidiano “il manifesto” il 28 aprile 1971. Con questa trasformazione il gruppo si costituisce anche come struttura politica, divenendo una delle principali organizzazioni dell’area della nuova sinistra, e presentandosi alle elezioni del 1972 con una propria lista alla Camera dei deputati (che ottenne lo 0,67%) e invitando a votare il Pci al Senato. Nel 1973 il gruppo del “manifesto” avviò il processo di unificazione con il Partito di Unità Proletaria (Pdup), che si concluse con la fondazione del Pdup per il comunismo (1974). Nel 1983 il Pdup per il comunismo si presenta alle elezioni con il Pci, nel quale confluisce nel 1984.
Norma Rangeri: “La grande madre di una storia irripetibile”
Con Rossana che se n’è andata, se ne va anche una parte importante della nostra, della mia vita politica e personale.
Avremo tempo per ragionare in modo più profondo sul lascito politico e culturale di una grande personalità della sinistra italiana come lei. Ma adesso, dopo la sua perdita, per chi ha condiviso con Rossana una lunga storia, sono i ricordi la materia viva, dolce, dolorosa, perfino traumatica che ci sommerge.
E i miei sono i ricordi di una testa già bianca, di un volto bello, nobile e autorevole, di una gonna e di una camicia blu, in fondo al lungo corridoio di via Tomacelli, di una stanza coinvolgente, foderata di libri, di una grande scrivania e di fronte una poltrona dove chi andava a parlarle si sedeva per ascoltare.
Ore, giorni, mesi, anni per noi ragazze e ragazzi ventenni che ci affacciavamo al quinto piano di quella fantastica, incasinata, turbolenta, affollatissima redazione si affastellano, senza soluzione di continuità, oggi che la grande madre del Manifesto ci ha lasciati.
Mettere ordine è impossibile, per l’intreccio stretto di vita e di politica, di passioni e di affetti, di crescita politica e di grandi progetti, che la sinistra degli anni Sessanta/Settanta aveva nella testa e nel cuore.
Quando hai vent’anni e la fortuna di avere quotidianamente di fronte Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Valentino Parlato, Luciana Castellina non capisci bene quale peso avranno nella tua vita, ma senti che ogni giorno vai a scuola, di conoscenza, di cultura, di emozioni, e alimenti un pensiero critico che ti accompagnerà per sempre.
Rossana era una madre severa, e ogni azione, ogni comportamento di noi giovani della redazione, era accompagnato dalla domanda sul suo pensiero. Ma era normale che la sua grande cultura mettesse soggezione (e non solo a noi della generazione sessantottina), mettendo in secondo piano tutto il resto. E prima che il femminismo diventasse per lei un tema di confronto politico serrato con il movimento delle donne, e dunque importante il vissuto personale, parlare di fatti privati non era nell’ordine delle cose.
Così quando da Parigi arrivava Karol, compagno ebreo polacco di Rossana, illustre giornalista, simpatico con infinite storie da raccontare, alle riunioni di redazione, Rossana era sorridente e si concedeva qualche battuta scherzosa (“dai Karol, stai un po’ zitto”). Credo di non sbagliare se dico che il lungo periodo vissuto con Karol, sia stato il più bello della sua vita.
Molti anni hanno attraversato le stanze di quel Manifesto. Sicuramente irripetibili perché niente ci sembrava impossibile e perché eravamo sempre dentro i movimenti, dentro le assemblee, in ogni conflitto sociale, e ovunque nel mondo con il nostro gruppo dirigente espulso e radiato dal partito comunista e immensamente stimato nella rete internazionale della sinistra.
Grazie a Rossana, Luigi, Lucio, Valentino e Luciana (l’unica meravigliosa testimone di una storia straordinaria), siamo riusciti ad affrontare vicende durissime ed esaltanti, momenti di scoramento e di entusiasmo. E sono certa che la tempra, la determinazione, la volontà, il sapere di un fantastico manipolo di persone, sono stati determinanti, dando la linfa necessaria al Manifesto per arrivare a 50 anni di esistenza.
Molte cose sono avvenute, con un radicale cambiamento al nostro interno, che hanno influito sui rapporti con Rossana. Vicende politiche coinvolgenti sul piano personale, fino al punto di arrivare ad una rottura profonda, lacerante. Per me, come per altre persone, per Rossana stessa e immagino per migliaia e migliaia di militanti e di lettori che hanno affrontato con noi un viaggio ultra decennale.
Ci sarà modo e tempo per approfondire e raccontare. Ora prevale il rimpianto per non essere riuscite a ritrovarci in pieno (lei era tornata a collaborare saltuariamente), ma soprattutto il giusto, sentito, emozionato addio a Rossana.
Che continuerà ad essere con noi, finché il manifesto vivrà.
Ciao Rossana.
Norma Rangeri
il manifesto, 20 settembre 2020