ROMA – Lo dico da giornalista, ma adesso anche e soprattutto da nonno. Felice e fortunato. Che vede nei bambini, nella bellezza dei nostri bambini, la maniglia di sicurezza a cui appigliarsi per non finire completamente immersi nel sudiciume quotidiano di una stagione storica, politica, culturale che sta pugnalando alle spalle valori e speranze.
Ho passato in rassegna tutti i principali giornali nazionali, nella loro versione cartacea e on line e sono rimasto colpito da quello che, personalmente è ovvio, ritengo un enorme errore di valutazione. Professionale, oltrechè umano.
Quello che sta emergendo dall’«Ospedale della donna e del bambino» (che tragica beffa) di Verona è una autentica strage degli innocenti. Ma come si può accettare l’idea che la presenza del batterio, un batterio di cui la scienza sa tutto da decenni e decenni, non un virus mai incontrato prima, fosse nota da almeno un paio di anni? E, in questi due anni, si sono fatte le stesse cose che si fanno per dare un senso al sogno più grande della vita come se niente fosse? Si è fatto uso di quell’acqua per due anni? Si sono puliti i biberon con l’acqua infetta? E la politica, qui incarnata dal governatore Zaia, che ora si indigna, allerta, agita, punta ovviamente il dito su altri, anche se sono gli «altri» che lui, come tutti i suoi omologhi, ha scelto tra le proprie servizievoli clientele per occupare tutto l’occupabile nei posti del potere, a cominciare dalla sanità, come diavolo fa a guardare negli occhi quella mamma a cui dobbiamo l’emersione della verità?
Una mamma che, ieri mattina, ho visto fotografata, in un’immagine sul «Corriere», piccola ma devastante, mentre assiste la sua piccina. Avvolta di tubi, ma con gli occhi, due occhini neri che mi hanno sinceramente straziato, ancora aperti in quel momento. In quel momento. Perchè quella mamma ha visto morire la sua bambina. Come altre creature sono morte e altre ancora hanno subìto lesioni permanenti che renderanno la loro vita un calvario terribile.
E di fronte a questa storia, a una storia come questa che non riesco ad accettare e classificare come fatalità, perché è una strage, compiuta con una bomba fatta di batteri e cinismo innescata due anni prima e lasciata lentamente esplodere, i miei ex colleghi, direttori di giornali, cartacei, radio, tv, on line e l’esercito di moderni comunicatori del nulla che chiamano, si fanno prendere dal dubbio su quale sia la notizia, l’apertura, la prima pagina del giorno? Di oggi, di domani, dopodomani. E dei giorni a seguire. E, come si fa o almeno si faceva un tempo neanche così lontano, prendere a morsi la notizia, le notizie, fino a quando non sia restituito un briciolo di dignità alla parola giornalismo. Perchè è questo che ci è stato insegnato. Soprattutto di fronte agli occhi di quella madre. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mascambruno