ROMA – I giornalisti inquilini dell’Inpgi hanno il diritto di conoscere gli atti relativi alla dismissione del patrimonio immobiliare operata dall’Ente. Lo ha ribadito con forza, oggi, il Consiglio di Stato (Marco Lipari presidente, Massimiliano Noccelli estensore, Paola Alba Aurora Puliatti, Solveig Cogliani, Giovanni Tulumello consiglieri), con la sentenza n. 4771 del 27 luglio 2020. L’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, difeso dall’avv. Federico Freni, ha infatti ricevuto l’ordine «all’esibizione dei documenti» richiesti dai giornalisti inquilini ed è stato condannato a rimborsare ai giornalisti il contributo unificato richiesto nei giudizi di primo grado e di appello.
Tutto trae origine dalla richiesta con la quale i giornalisti Pierangelo Maurizio, Pietro De Angelis, Laura Garofalo, Maria Rita Pasqualucci e Maria Rosaria Gianni, difesi dall’avvocato Vincenzo Perticaro, hanno chiesto all’Inpgi l’accesso agli atti relativi alle operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare. Accesso negato dall’Inpgi. Sono seguiti quattro gradi di giudizio, due dinanzi al Tar del Lazio e due dinanzi al Consiglio di Stato, che sono giunti ad accertare quanto da sempre ribadito dall’avv. Perticaro in merito al regime di pubblicità degli atti nel caso dismissione del patrimonio immobiliare dell’Ente pubblico privatizzato.
Segnatamente, il Giudice Amministrativo ha specificato che «l’associato quindi, in quanto titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, deve essere considerato soggetto “interessato”, ai sensi dell’art. 2 comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, come modificata dall’art. 15 della l. n. 15 del 2005, fonte del diritto all’accesso ai documenti delle pubbliche amministrazioni».
Ciò anche alla luce del fatto che sugli Enti pubblici privatizzati «permane del resto, come questo Consiglio di Stato ha pure affermato, oltre che un potere di vigilanza da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, di concerto con il Ministero del Tesoro, sull’approvazione di determinati atti, anche il controllo della Corte dei Conti sulla gestione degli enti previdenziali, per quanto ormai privatizzati, al fine di assicurarne la legalità e l’efficacia, ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 509 del 1994 (Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014).
Il Consiglio di Stato sottolinea che «la trasformazione operata dal d. lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, “immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo” (così la citata sentenza di Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014), sicché anche il conferimento del patrimonio immobiliare appartenente alle Casse deve avvenire secondo le modalità stabilite dall’art. 8, comma 15, della l. n. 122 del 2020, dell’art. 2, comma 3, del DM del 10 novembre 2010 e dell’art. 3 della Direttiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 10 febbraio 2011. Prova ne è, nel caso di specie, proprio la relazione della stessa Corte dei Conti che si è concentrata sui risultati della gestione del patrimonio immobiliare da parte dell’Istituto, relazione sul cui significato lo stesso appellante disquisisce ampiamente nella memoria difensiva depositata il 16 giugno 2020».
Il Collegio della III Sezione ha, inoltre, sottolineato che «l’attività di gestione del patrimonio immobiliare, soggetta a controllo da parte della Corte dei Conti, rientra sicuramente nel novero di quelle attività che, per quanto funzionali all’esercizio dell’autonomia privata dell’ente mediante la successiva dismissione del patrimonio immobiliare, assumono tuttavia un sicuro rilievo pubblicistico, per la corretta gestione dello stesso, sicché appare un sottile sofisma la distinzione dell’appellante tra “attività di interesse pubblico” e “attività regolata”, non venendo qui in rilievo un’attività meramente privatistica …».
Il Consiglio di Stato, nell’articolata motivazione, ha ritenuto opportuno ribadire inoltre che «in ogni caso, quando pure di attività interamente e meramente privatistica si trattasse, come sostiene l’appellante, non si deve trascurare che anche l’attività meramente privatistica dell’ente, se finalizzata – come nel caso di specie è – al perseguimento di un pubblico interesse, è soggetta al regime dell’accesso degli atti previsto dall’art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241 del 1990, siccome riformato dalla l. n. 15 del 2005, come di recente ha anche ribadito l’Adunanza plenaria di questo Consiglio nella sentenza n. 10 del 2 aprile 2020, laddove la disposizione precisa che il regime dell’accesso concerne attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».
In ultimo, il Giudice amministrativo ha ribadito che «in ogni caso, lo si deve ribadire anche sotto questa differente angolatura, l’interesse dell’iscritto a conoscere gli atti dell’operazione di conferimento del patrimonio immobiliare sussiste, in quanto l’oculata gestione del patrimonio immobiliare, quando pure questa attività si voglia considerare, in tutto e per tutto, meramente privatistica, rifluisce sicuramente sulla stabilità finanziaria complessiva dell’ente e, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito, sussiste un sicuro interesse a conoscere degli atti che, potendo incidere fortemente sul patrimonio immobiliare dell’ente, rischiavano di pregiudicare quantomeno la sua tutela previdenziale, con indubbi riflessi anche sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico, anche se l’esistenza della perdita era in quel caso ancor tutta da dimostrare, se del caso, in sede giudiziale (Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 696)».
«La stessa relazione della Corte dei Conti, che si sofferma sulle plusvalenze realizzate all’esito della gestione del patrimonio immobiliare, conferma del resto – evidenza il Consiglio di Stato – la sussistenza di un interesse conoscitivo da parte dell’iscritto in ordine a vicende che potrebbero incidere sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico».
«L’importanza della commentata pronuncia – commenta l’avv. Vincenzo Perticaro – risiede nella circostanza per cui tutti gli iscritti potranno richiedere ed ottenere i documenti relativi alla dismissione del patrimonio immobiliare, essendo titolari di un diritto all’accesso agli atti, stante soprattutto la finalità pubblica che gli Enti previdenziali dovrebbero perseguire. Illegittimo è il diniego dell’Ente all’ostensione della documentazione richiesta. Nel caso di specie, l’Inpgi dovrà, pertanto, consegnare la documentazione richiesta all’iscritto entro e non oltre 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza». (giornalistitalia.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi dell’art. 74 e dell’art. 116, comma 4, c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 9730 del 2019, proposto dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – INPGI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Federico Freni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 281;
contro
Pier Angelo Maurizio, rappresentato e difeso dall’Avvocato Vincenzo Perticaro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 146;
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro pro tempore, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Investire S.G.R. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Federico Freni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 281;
Pietro De Angelis, Laura Garofalo, Maria Rita Pasqualucci, Maria Rosaria Gianni, rappresentati e difesi dall’Avvocato Vincenzo Perticaro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 146;
per la riforma
della sentenza n. 11793 dell’11 ottobre 2019 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. III, resa tra le parti, che ha annullato il provvedimento dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – INPGI prot. n. 03-08-2017/0028315/U del 3 agosto 2017, inviato via pec, con cui è stata comunicata la reiezione dell’istanza di accesso agli atti avanzata dal ricorrente in data 25 luglio 2017.
visto l’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. n. 18 del 2020, conv. con mod. in l. n. 27 del 2020, nonché l’art. 4 del d.l. n. 28 del 2020, conv. con mod. in l. n. 57 del 2020;
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Pier Angelo Maurizio e di Investire S.G.R. s.p.a. e di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Ministero dell’Economia e delle Finanze, di Pietro De Angelis, di Laura Garofalo, di Maria Rita Pasqualucci e di Maria Rosaria Gianni;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi da remoto, per l’odierno appellante Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – INPGI, l’Avvocato Federico Freni e per l’odierno appellato, Pier Angelo Maurizio nonché per gli interventori ad opponendum, Pietro De Angelis, Laura Garofalo, Maria Rita Pasqualucci e Maria Rosaria Gianni, l’Avvocato Vincenzo Perticaro;
1. Con l’istanza del 25 luglio 2017, Pier Angelo Maurizio, in qualità di giornalista italiano iscritto, ai fini previdenziali, all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (di qui in avanti, per brevità, l’Istituto), odierno appellante, ha chiesto a questo Istituto l’ostensione di tutti gli atti e i documenti inerenti all’operazione di conferimento del patrimonio immobiliare della Cassa al “Fondo INPGI Giovanni Amendola”.
1.1. Questa operazione si è svolta mediante la selezione di una SGR immobiliare, poi successivamente individuata in Investire S.G.R. s.p.a. (di qui in avanti, per brevità, Investire), alla quale conferire l’incarico di costituire il fondo e di gestire e valorizzare gli assets ad esso trasferiti.
1.2. Con la domanda di accesso è stata richiesta, in particolare, la produzione:
a) del decreto interministeriale di cui all’art. 8, comma 15, della l. n. 122 del 2010, autorizzativo del conferimento del patrimonio immobiliare e di tutta la documentazione allegata;
b) del decreto interministeriale relativo ai piani triennali di investimento afferenti alle operazioni di conferimento del patrimonio immobiliare e di tutta la documentazione allegata;
c) di tutte le missive intercorse ed i Ministeri vigilanti e connesse al conferimento del patrimonio immobiliare;
d) del contratto stipulato tra INPGI ed il fondo immobiliare chiuso ed ulteriori atti stipulati, ivi compreso l’atto di conferimento e/o apporto del patrimonio immobiliare;
e) della stima complessiva dell’esperto indipendente di rivalutazione del patrimonio immobiliare INPGI “del valore storico di 690 milioni a valore di mercato di 1.2. miliardi”, stima asseritamente effettuata nel 2013 e a base della costituzione del “Fondo G. Amendola”;
f) dello statuto dell’Istituto, comprensivo delle modifiche apportare allo stesso in merito alle clausole di cessione del riscatto per gli inquilini con la qualifica di giornalisti con il decreto approvato dal Presidente della Repubblica n. 731 del 1° agosto 1959;
g) del regolamento del fondo immobiliare a seguito della fusione intervenuta tra i due comparti per il piano di dismissione;
h) di ogni altro presupposto, connesso e/o conseguente ai documenti sopra indicati, ivi compresa la corrispondenza e le side letters intervenuta tra la l’Istituto, Investire e i Ministeri competenti.
1.3. Ricevuta l’istanza, l’odierna appellante ne ha trasmesso copia il successivo 28 luglio 2017 al r.t.i. aggiudicatario della gara per la costituzione e la gestione del Fondo al fine di consentirne eventuali osservazioni, ravvedendo in capo ad esso una posizione di controinteresse.
1.4. Con la lettera del 1° agosto 2017, Investire ha diffidato l’Istituto «dal fornire a terzi qualsiasi documentazione contrattuale che abbia ad oggetto l’attività di Investire SGR e, più in generale, qualsiasi atto che – anche indirettamente – possa compromettere la riservatezza delle pratiche commerciali o, comunque, dell’attività svolta da questo Fondo».
1.5. L’Istituto, con la successiva nota del 3 agosto 2017, ha negato l’accesso ai documenti con la motivazione secondo cui alla «carente […] illustrazione delle motivazioni addotte dall’istante i merito alla sussistenza di un interesse diretto, attuale e concreto» ad accedere alla documentazione richiesta, non ritenendo sufficiente, a tale fine, la mera qualità di iscritto alla Cassa nonché in ragione del fatto che «la documentazione indicata nella richiesta è in gran parte documentazione rimessa alla gestione privatistica e contabile dell’ente e quindi esterna all’attività di pubblico interesse» da questo svolta.
2. Pier Angelo Maurizio ha quindi proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, che, con la sentenza n. 1682 del 13 febbraio 2018, lo ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a., per la mancata notifica al controinteressato facilmente individuabile, ma detta sentenza è stata annullata da questo Consiglio di Stato con la sentenza n. 216 del 9 gennaio 2019, che ha disposto la riassunzione del giudizio, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., avanti al primo giudice, per non avere dato l’amministrazione evidenza della partecipazione dell’istanza al r.t.i. controinteressato, che non risultava nemmeno menzionato nel corpo del provvedimento di diniego, sicché questi avrebbe dovuto imporre l’integrazione del contraddittorio e, dunque, la notifica del ricorso al suddetto controinteressato e non già rilevare l’inammissibilità del ricorso.
2.1. Il ricorrente ha così riassunto il giudizio avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, insistendo, ai sensi dell’art. 116 c.p.a., per l’accertamento del suo diritto di accedere agli atti inerenti al conferimento del patrimonio immobiliare dell’ente al “Fondo INPGI Giovanni Amendola”.
2.2. Nel primo grado del giudizio così riassunto oltre all’Istituto si è costituito anche Investire, controinteressata, la quale ha svolto le proprie difese nelle quali ha evidenziato, soprattutto con riguardo ai documenti di cui alle lett. d), e) ed h), oggetto dell’istanza, di cui si è detto, il proprio interesse «a non far trapelare notizie in merito alle operazioni finanziarie poste in essere, come anche circa la propria organizzazione interna ed i riflessi della stessa sulla gestione d’affari».
2.3. Con la sentenza n. 11793 dell’11 ottobre 2019 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, dopo aver dichiarato inammissibili le memorie di Investire, costituitasi tardivamente, ha accolto il ricorso di Pier Angelo Maurizio, ravvisando in capo a questi l’interesse all’ostensione per la sua qualità di soggetto iscritto alla Cassa, costituendo, ad avviso del primo giudice, «il patrimonio dell’istituto […] lo strumento mediante il quale è esercitata l’attività di pubblico interesse» affidata all’ente.
3. Avverso tale sentenza l’Istituto ha proposto appello a questo Consiglio di Stato e ne ha chiesto la riforma, articolando tre distinti motivi di censura che di seguito saranno esaminati, sicché dovrebbe escludersi, a suo avviso, la sussistenza di un diritto all’accesso in capo all’odierno appellato e dovrebbe al contrario acclararsi la piena legittimità del diniego opposto e in questo giudizio contestato.
3.1. Si è costituito Pier Angelo Maurizio, che ha chiesto la reiezione dell’appello, e sono altresì intervenuti ad opponendum, rispetto all’appello qui in esame, Pietro De Angelis, Laura Garofalo, Maria Rita Pasqualucci, Maria Rosaria Gianni, già interventori ad adiuvandum per la loro qualità di giornalisti italiani iscritti e associati all’Istituto, nel primo grado del giudizio, rispetto al ricorso proposto da Pier Angelo Maurizio.
3.2. Si è costituito altresì anche Investire, che ha chiesto, invece, l’accoglimento dell’appello.
3.3. Nella camera di consiglio del 9 luglio 2020 il Collegio, uditi da remoto i difensori delle parti ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. 28 del 2020, conv. con mod. in l. n. 57 del 2020, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello è parzialmente fondato con riferimento al solo terzo motivo, limitatamente, peraltro, agli specifici profili di cui si dirà.
5. Preliminarmente deve essere dichiarato inammissibile l’intervento, nel presente giudizio, di Pietro De Angelis, Laura Garofalo, Maria Rita Pasqualucci e Maria Rosaria Gianni, i quali non possono vantare un interesse rispetto al presente giudizio, che concerne l’istanza di accesso documentale proposta dal solo Pier Angelo Maurizio e non già dai medesimi.
5.1. La circostanza, rappresentata nell’atto dell’intervento, che essi, in qualità di giornalisti italiani associati e iscritti all’Istituto odierno appellante, vantino un interesse concreto e attuale alla prudente amministrazione al patrimonio dell’ente, ivi compreso quello immobiliare, dal quale dipende il soddisfacimento delle posizioni attive che li collegano allo status di iscritti all’Istituto, non può certo fondare il loro interesse all’intervento, che è e resta di mero fatto rispetto alle sorti dell’accesso documentale richiesto da altro soggetto.
5.2. Il giudizio sull’accesso documentale, di cui all’art. 116 c.p.a., diversamente si trasformerebbe in un giudizio di stampo popolare, a tutela di un generale e astratto interesse alla trasparenza degli atti, ove ciascun soggetto, anche senza aver proposto in proprio istanza di accesso, potrebbe intervenire nel giudizio da altri incardinato per far valere le ragioni dell’accedente, senza ritrarne alcuna concreta utilità, in quanto la conoscenza degli atti riconosciuta all’accedente non potrebbe in alcun modo giovare agli interventori ad adiuvandum.
5.3. Non è questa evidentemente la ratio del giudizio dell’accesso documentale, quale da ultimo ribadita da questo Consiglio di Stato anche nella sentenza n. 10 del 2 aprile 2020 dell’Adunanza plenaria, né è evidentemente questa la ratio dello stesso istituto dell’accesso documentale, finalizzato a soddisfare il bisogno conoscitivo del singolo e non di una pluralità di soggetti, ancorché aventi un bisogno analogo o parallelo a quello dell’accedente, ma mai manifestatosi prima del giudizio nella proposizione di una rituale istanza di accesso.
5.4. Ancora in via preliminare deve essere respinta l’eccezione, sollevata dall’appellato Pier Angelo Maurizio, inerente alla tardiva costituzione, nel presente grado del giudizio, di Investire che, anche ove costituita oltre i termini previsti dall’art. 46, comma 1, c.p.a., avrebbe potuto comunque proporre difese orali, mentre la sua tardiva costituzione, in questo grado del giudizio come nel primo grado, non preclude comunque al Collegio di esaminare il terzo motivo proposto dall’Istituto appellante, relativo ad eventuali limiti all’istanza di accesso.
6. Tutto ciò premesso in limine litis, e venendo ora all’esame dell’appello proposto, se ne devono esaminare i tre motivi.
7. Con il primo motivo (pp. 7-13 del ricorso), anzitutto, l’odierno appellante lamenta come i documenti richiesti da Pier Angelo Maurizio non ineriscano, nemmeno in via mediata, all’attività di pubblico interesse svolta dal gestore e non siano pertanto qualificabili come documenti amministrativi, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241 del 1990, né il soggetto economico privato, in relazione agli stessi, sarebbe qualificabile come pubblica amministrazione ai sensi della successiva lett. e).
7.1. La tesi dell’Istituto, in sintesi, è che a seguito del procedimento di privatizzazione dell’ente il patrimonio immobiliare assolve oggi unicamente la funzione di garantire la sostenibilità economico-finanziaria della gestione contabile nel medio-lungo periodo, avendo perso – ove mai ne avesse assunto le caratteristiche – ogni eventuale finalità c.d. previdenziale e assistenziale rivolta ipoteticamente in favore degli iscritti.
7.2. La conferma normativa della completa estraneità della gestione immobiliare rispetto alle finalità pubblicistiche di cui le casse professionali sono investite si avrebbe ove si consideri che soltanto le attività istituzionali – ossia previdenziali e assistenziali – di queste ultime sono sottoposte ad una vigilanza analoga a quella che si avrebbe ove l’ente non fosse stato privatizzato (potere di ingerenza e controllo dei Ministeri vigilanti, sottoposizione alla Corte dei Conti), mentre per attività residue le casse vanno incontro allo stesso tipo di controlli ai quali sono sottoposti i fondi pensione da parte della COVIP, al fine di garantire la sana e prudente gestione finanziaria.
7.3. L’asset immobiliare in definitiva, sostiene l’appellante (p. 11 del ricorso), al pari di altre componenti patrimoniali deve garantire la migliore redditività finalizzata a contribuire all’equilibrio economico finanziario dei conti dell’ente nel medio lungo periodo, non anche alla gestione delle risorse finalizzate alle attività di assistenza e previdenza presso i propri iscritti.
7.4. L’operazione immobiliare di cui si discute, infatti, in nessun modo potrebbe sortire effetti, diretti o indiretti, sulla gestione previdenziale e il contenuto delle obbligazioni previdenziali intercorrenti tra la Cassa e i suoi iscritti non muterebbe in base al modo di gestire, da parte della Cassa, il proprio patrimonio immobiliare in base alla sua autonomia finanziaria.
7.5. In conclusione, il complesso degli atti per i quali è stato chiesto l’accesso non inerisce e non è comunque collegato all’attività di pubblico interesse perseguita dall’Istituto e in ogni caso, quand’anche si volessero ravvisare profili di tale interesse, la prova doveva essere fornita dall’odierno appellato, il quale si sarebbe limitato invece a formulare il vago e generico riferimento ad un «portfolio di una cassa con cui vengono assolti i propri obblighi previdenziali».
7.6. Il Tribunale, anche sotto questo profilo, avrebbe omesso di censurare la genericità della prospettazione e sarebbe incorso in un error in iudicando, che avrebbe dovuto senz’altro contenere una statuizione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva dell’Istituto in relazione agli atti richiesti.
7.7. Il motivo è destituito di fondamento.
7.8. L’appellante trascura anzitutto che Pier Angelo Maurizio, in qualità di giornalista e iscritto all’Istituto, ha rappresentato il suo interesse ad accedere agli atti, documenti e notizie riguardanti l’amministrazione immobiliare, atteso che – come si legge al § 6 dell’istanza – «le unità immobiliari residue» risultanti dalla prima tranche di vendita, inserite in un apposito bando, «saranno offerte in vendita in via riservata a giornalisti e dipendenti per un periodo di 30 giorni e alle stesse condizioni (prezzo pieno per gli immobili liberi, sconto del 25% per quelli occupati», come precisato dallo stesso Istituto.
7.9. L’accedente ha dunque manifestato uno specifico interesse a conoscere l’operazione rappresentando di voler sapere se, all’esito di una prima tranche di vendita degli immobili costituenti il patrimonio immobiliare dell’Istituto, sarebbero stati offerti in vendita ai giornalisti immobili alle stesse condizioni previste dal futuro bando.
7.10. Si tratta di un interesse diretto, concreto e attuale che – si badi – lo stesso appellante riconosce quando ricorda, a p. 10 del proprio ricorso, che lo Statuto dell’Istituto, nell’art. 3, comma 2, lett. e), prevede tra le sue attività accessorie, rientranti tra le sue finalità istituzionali, «gli interventi volti a favorire l’accesso alla casa di abitazione, ivi compresa la concessione di mutui ipotecari» e ammette espressamente – sempre a p. 10 del citato ricorso – che «solo con riferimento a questi ultimi interventi, che chiaramente non ineriscono l’attività di pubblico interesse svolta dall’Ente, può assumere qualche pregnanza la vicenda del conferimento al Fondo G. Amendola».
7.11. Pertanto l’attività di conferimento al fondo immobiliare chiuso, per espressa ammissione dell’appellante, sicuramente assume un particolare rilievo, in termini di concretezza e attualità dell’interesse ad accedere, con riferimento all’aspetto degli interventi volti a favorire l’accesso alla casa di abitazione dei giornalisti iscritti all’Istituto e ciò, non a caso, era stato rappresentato, come si è visto, nell’istanza di accesso.
7.12. Ma, se anche si volesse prescindere da questo specifico profilo di interesse espressamente rappresentato nell’istanza di accesso, ben si comprenderebbe come l’interesse dell’odierno appellato sussista anche nella qualità di semplice iscritto all’istituto previdenziale poiché, diversamente da quanto assume l’appellante, l’attività di gestione del patrimonio immobiliare, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito in analoghe vicende, non si può ritenere meramente privatistica, ma ha un sicuro rilievo di interesse generale ed è sottoposta al controllo della Corte dei Conti.
7.13. Questo Consiglio di Stato ha già chiarito, infatti, che la disciplina dell’accesso agli atti amministrativi non condiziona l’esercizio del relativo diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata.
7.14. La legittimazione all’accesso va quindi riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita, distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto.
7.15. L’Adunanza plenaria di questo Consiglio, nella sentenza n. 7 del 24 aprile 2012, ha affermato che il generico interesse dell’associato alla prudente e corretta amministrazione del patrimonio dell’ente, dalla quale dipende il soddisfacimento delle posizioni attive che si collegano al suo status, assume nella un connotato di palpabile concretezza, in relazione alle criticità collegabili ad una perdita finanziaria, specialmente se ingente.
7.16. L’associato quindi, in quanto titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, deve essere considerato soggetto “interessato”, ai sensi dell’art. 2 comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, come modificata dall’art. 15 della l. n. 15 del 2005, fonte del diritto all’accesso ai documenti delle pubbliche amministrazioni.
7.17. Tale principio, affermato dall’Adunanza plenaria in un caso nel quale il danno si era già verificato (l’acquisto delle obbligazioni Lehman Brothers da parte della SIAE), è stato confermato da questa Sezione anche nel caso in cui l’iscritto all’istituto previdenziale aveva un sicuro interesse a conoscere degli atti che, potendo incidere fortemente sul patrimonio immobiliare dell’ente, rischiavano di pregiudicare quantomeno la sua tutela previdenziale, con indubbi riflessi anche sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico, anche se l’esistenza della perdita era in quel caso ancor tutta da dimostrare, se del caso, in sede giudiziale (Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 696).
7.18. Ciò, giova ribadirlo, perché l’actio ad exhibendum prescinde comunque dalla lesione in atto di una posizione giuridica, che non compete al giudice dell’accesso accertare verificando la meritevolezza del relativo interesse, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto, sicché, nel caso di specie, non può negarsi il diritto alla conoscenza di atti sicuramente utili alla tutela di una posizione giuridica meritevole di tutela.
7.19. Diversamente da quanto sostiene l’appellante, dunque, l’aspirazione conoscitiva dell’odierno appellato non si atteggia nei termini di un mero interesse storico-documentaristico, perché l’operazione di conferimento immobiliare ha implicazione sia sulla stabilità complessiva dell’ente che sulla vendita degli immobili stessi che, come noto, deve avvenire nel rispetto delle previsioni in ordine alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici privatizzati, soprattutto nell’individuazione del prezzo di vendita di questi.
7.20. Permane del resto, come questo Consiglio di Stato ha pure affermato, oltre che un potere di vigilanza da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, di concerto con il Ministero del Tesoro, sull’approvazione di determinati atti, anche il controllo della Corte dei Conti sulla gestione degli enti previdenziali, per quanto ormai privatizzati, al fine di assicurarne la legalità e l’efficacia, ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 509 del 1994 (Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014).
7.21. La trasformazione operata dal d. lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, «immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo» (così la citata sentenza di Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014), sicché anche il conferimento del patrimonio immobiliare appartenente alle Casse deve avvenire secondo le modalità stabilite dall’art. 8, comma 15, della l. n. 122 del 2020, dell’art. 2, comma 3, del DM del 10 novembre 2010 e dell’art. 3 della Direttiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 10 febbraio 2011.
7.22. Prova ne è, nel caso di specie, proprio la relazione della stessa Corte dei Conti che si è concentrata sui risultati della gestione del patrimonio immobiliare da parte dell’Istituto, relazione sul cui significato lo stesso appellante disquisisce ampiamente nella memoria difensiva depositata il 16 giugno 2020.
7.23. Né in senso contrario giova all’appellante richiamare il precedente di questo Cons. St., sez. VI, 1° ottobre 2014, n. 4882, che – nel richiamare anzi espressamente il già citato precedente di Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014 e nel riaffermare che è l’attività degli enti previdenziali privatizzati ad avere rilievo pubblicistico – la vendita del patrimonio immobiliare da parte della Cassa, ente di diritto privato quanto alla soggettività giuridica, rientra nella sua sfera di capacità negoziale privata, declinando la giurisdizione del giudice amministrativo sull’attività di dismissione del patrimonio immobiliare già appartenente alla Cassa e sul prezzo di vendita fissato per la dismissione, in particolare, di un immobile.
7.24. Ben diversa è, invece, la vicenda in esame, nella quale l’attività di gestione del patrimonio immobiliare, soggetta a controllo da parte della Corte dei Conti, rientra sicuramente nel novero di quelle attività che, per quanto funzionali all’esercizio dell’autonomia privata dell’ente mediante la successiva dismissione del patrimonio immobiliare, assumono tuttavia un sicuro rilievo pubblicistico, per la corretta gestione dello stesso, sicché appare un sottile sofisma la distinzione dell’appellante tra “attività di interesse pubblico” e “attività regolata”, non venendo qui in rilievo un’attività meramente privatistica, come nel caso esaminato dalla già richiamata sentenza n. 4882 del 1° ottobre 2012.
7.25. In ogni caso, quando pure di attività interamente e meramente privatistica si trattasse, come sostiene l’appellante, non si deve trascurare che anche l’attività meramente privatistica dell’ente, se finalizzata – come nel caso di specie è – al perseguimento di un pubblico interesse, è soggetta al regime dell’accesso degli atti previsto dall’art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241 del 1990, siccome riformato dalla l. n. 15 del 2005, come di recente ha anche ribadito l’Adunanza plenaria di questo Consiglio nella sentenza n. 10 del 2 aprile 2020, laddove la disposizione precisa che il regime dell’accesso concerne attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
7.26. Discende da queste ragioni, conclusivamente, il rigetto del motivo in esame.
8. Con il secondo motivo (pp. 13-18 del ricorso), ancora, l’odierno appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto sussistente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, l’interesse diretto, concreto e attuale all’ostensione dei documenti richiesti, quando, pur ammesso che essi ricadano nell’ambito oggettivo di applicazione della normativa sull’accesso, il giudice avrebbe dovuto rilevare il difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente in prime cure, non avendo egli dimostrato l’esistenza di un nesso tra la propria posizione di iscritto alla Cassa e gli effetti spiegati dall’operazione finanziaria per cui è stata avanzata l’istanza di accesso.
8.1. Difetterebbe insomma, ad avviso dell’Istituto, quell’interesse che deve essere necessariamente correlato al documento del quale si chiede l’ostensione, mentre dall’esame dell’istanza di accesso, formulata da questo, non sarebbe dato rilevare alcuna motivazione specifica circa la sussistenza di detto interesse, se non un generico richiamo alla condizione soggettiva di iscritto alla Cassa che si riterrebbe, evidentemente, insufficiente a qualificare nel merito le ragioni dell’accesso.
8.2. Tra l’altro, deduce ancora l’Istituto (pp. 15-16 del ricorso), risulterebbe che l’odierno appellato abbia locato un immobile in Roma, via della Mendola, n 212, e se sotto le mentite spoglie di una azione legittimata dalla mera qualità di iscritto non vi fosse la volontà di tutelare la propria posizione di conduttore, l’interesse ravvisabile in capo all’odierno appellante non potrebbe che essere definito di ordine “storico-documentativo”, in quanto orientato ad ottenere informazioni niente affatto utili alla cura dei propri interessi di iscritto alla Cassa, interesse che non varrebbe a differenziare la sua posizione rispetto a quella di altri soggetti anche essi potenzialmente desiderosi di conoscere.
8.3. Anche questo motivo è destituito di fondamento.
8.4. Anche volendo prescindere dal rilievo che l’odierno appellato non risulta (più) essere conduttore di alcun immobile e che mai tale interesse è stato rappresentato nell’istanza di accesso, infatti, si deve qui ribadire, come sopra si è ricordato, che nell’istanza Pier Angelo Maurizio ha espressamente rappresentato di avere interesse a conoscere quali immobili sarebbero potuti residuare all’esito di eventuali operazioni di vendita connesse al conferimento del patrimonio immobiliare, interesse, come detto, sicuramente sussistente e contemplato dallo stesso Statuto.
8.5. In ogni caso, lo si deve ribadire anche sotto questa differente angolatura, l’interesse dell’iscritto a conoscere gli atti dell’operazione di conferimento del patrimonio immobiliare sussiste, in quanto l’oculata gestione del patrimonio immobiliare, quando pure questa attività si voglia considerare, in tutto e per tutto, meramente privatistica, rifluisce sicuramente sulla stabilità finanziaria complessiva dell’ente e, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito, sussiste un sicuro interesse a conoscere degli atti che, potendo incidere fortemente sul patrimonio immobiliare dell’ente, rischiavano di pregiudicare quantomeno la sua tutela previdenziale, con indubbi riflessi anche sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico, anche se l’esistenza della perdita era in quel caso ancor tutta da dimostrare, se del caso, in sede giudiziale (Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 696).
8.6. La stessa relazione della Corte dei Conti, che si sofferma sulle plusvalenze realizzate all’esito della gestione del patrimonio immobiliare, conferma del resto la sussistenza di un interesse conoscitivo da parte dell’iscritto in ordine a vicende che potrebbero incidere sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico.
8.7. Di qui l’infondatezza anche di questo secondo motivo di appello.
9. Infine, con un terzo motivo (pp. 18-23 del ricorso), l’odierno appellante lamenta come il giudice di prime cure non si sia pronunciato in ordine alla consistenza dei controinteressi facenti capo rispettivamente a Investire e ai Ministeri vigilanti poiché, rispetto al primo soggetto, appare leso senz’altro l’interesse alla riservatezza delle informazioni di natura commerciale racchiuse nei documenti di cui ai punti d), e) e g), di cui alla domanda di accesso, e, rispetto ai soggetti pubblici, l’interesse alla riservatezza della corrispondenza.
9.1. La censura è in parte fondata.
9.2. Il primo giudice non ha in nessun modo valutato la sussistenza di un eventuale controinteresse alla riservatezza e/o alla segretezza dei documenti, di cui veniva chiesta l’ostensione, e non ha operato quel doveroso bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza, sotteso all’intera disciplina sull’accesso documentale.
9.3. Occorre perciò scrutinare, scendendo nel merito delle censure proposte dall’appellante con il terzo motivo in esame, se e in che limiti la richiesta di ostensione potesse trovare accoglimento in relazione ai seguenti documenti:
1) con riferimento al contratto stipulato tra l’Istituto e il fondo immobiliare chiuso e ulteriori atti stipulati, ivi compreso l’atto di conferimento del patrimonio immobiliare e del regolamento del fondo immobiliare a seguito della fusione intervenuta tra i due comparti per il piano di dismissione, il Collegio non ravvisa, rispetto ad essi, alcun interesse del gestore del Fondo alla riservatezza sulle operazioni finanziarie dallo stesso poste in essere, poiché il contratto e il regolamento costituiscono l’essenza del conferimento immobiliare da parte dell’ente previdenziale, rispetto al quale le ragioni privatistiche del fondo sono del tutto recessive, non afferendo peraltro le stesse a decisioni di carattere commerciale dallo stesso adottate, così come è recessivo l’interesse alla riservatezza della stessa Cassa, nemmeno in forza della disciplina interna che essa si è data, che non può rivestire di una coltre opaca importanti operazioni di gestione del patrimonio immobiliare, soggette peraltro, come detto, al controllo della Corte dei Conti proprio per il loro rilevante impatto sulla vita finanziaria dell’ente;
2) con riferimento alla stima complessiva dell’esperto indipendente di rivalutazione del patrimonio immobiliare, ancora, non è lecito invocare il segreto professionale in favore dell’esperto, onerato dell’incarico di stima, perché, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito nella più volte citata sentenza n. 696 del 16 febbraio 2016 per tutte le ragioni ivi espresse e qui da intendersi per richiamate, il rapporto tra la società di gestione del fondo immobiliare e l’esperto indipendente, che deve redigere la perizia di stima, non può ridursi ad un rapporto meramente privatistico, le cui ragioni prevalgano sull’interesse conoscitivo, e ha una indubbia connotazione pubblicistica, perché la redazione della perizia influisce, e decisamente, sull’operazione e il contenuto e le modalità stesse di redazione della perizia rilevano per l’interesse pubblico alla trasparenza e alla correttezza dell’intera operazione, che ha nella perizia uno snodo decisivo e un elemento imprescindibile a tutela di un più generale, e innegabile, interesse pubblico;
3) con riferimento alle missive e alla corrispondenza interna tra l’Istituto e Investire o i Ministeri vigilanti, al di là della genericità dell’istanza, prevale l’interesse alla riservatezza della corrispondenza, di cui all’art. 24, comma 6, lett. d), della l. n. 241 del 1990, sicché la domanda di ostensione non può trovare accoglimento;
4) infine, con riferimento allo Statuto dell’Istituto, comprensivo di eventuali modifiche apportate, la richiesta è superflua perché lo Statuto è integralmente pubblicato sul sito dell’Istituto stesso.
9.4. Nei limiti sin qui descritti, e motivati, l’istanza di accesso deve quindi essere accolta, con la conseguenza che l’Istituto, ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a., dovrà consentire l’esibizione dei documenti oggetto dell’istanza, ad eccezione di quelli espressamente esclusi, al § 9.3., di cui si è appena detto, nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza.
10. Le spese del doppio grado del giudizio, considerata la complessità della lite e il non totale accoglimento della domanda di ostensione, possono essere interamente compensate tra le parti.
10.1. Per la prevalente, sostanziale, soccombenza, tuttavia, rimane a carico dell’Istituto appellante il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame, mentre quello richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado dovrà da questo essere rimborsato all’odierno appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – INPGI, lo accoglie in parte, nei soli limiti di cui in motivazione, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ordina al medesimo Istituto l’esibizione dei documenti, oggetto dell’istanza proposta da Pier Angelo Maurizio, nei limiti di cui pure in motivazione, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Condanna l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – INPGI a rimborsare in favore di Pier Angelo Maurizio il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado.
Pone definitivamente a carico l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – INPGI il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in modalità da remoto, nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Solveig Cogliani, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
L’ESTENSORE
Massimiliano Noccelli
IL PRESIDENTE
Marco Lipari