Il 6 maggio in Corte costituzionale il caso Basilicata a porte chiuse: un grave rischio

Spada di Damocle sugli Uffici Stampa

La Corte costituzionale

ROMA – La Corte costituzionale discuterà mercoledì prossimo, a porte chiuse, la legittimità delle norme riguardanti l’Ufficio Stampa della Regione Basilicata. Il 6 maggio, infatti, in Camera di Consiglio, relatore il prof. Giulio Prosperetti, figura quale sesta causa del ruolo l’ordinanza n. 227 del 26 luglio 2019 con cui la Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Basilicata nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Basilicata per l’esercizio finanziario 2017 ha, di fatto, sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 6 e dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge della Regione Basilicata  del 9 febbraio 2001 n. 7 riguardante l’Ufficio Stampa regionale.

Pierluigi Roesler Franz

Nel giudizio a palazzo della Consulta non si é costituito nessuno, neppure l’Avvocatura generale dello Stato per conto della Presidenza del Consiglio. Pertanto, vi sono fondate possibilità che l’eccezione della Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Basilicata, nel più assoluto silenzio venga accolta dalla Corte Costituzionale con conseguente cancellazione degli articoli della legge regionale n. 7 del 2001.
Si tratta di una questione molto importante per la categoria dei giornalisti e per l’Inpgi perché gli effetti della sentenza della Consulta potrebbero riflettersi negativamente anche nei confronti dei giornalisti degli Uffici Stampa di altre Regioni italiane.
Per far valere le ragioni dei giornalisti si potrebbe valutare l’ipotesi di avvalersi – anche se tardivamente – del decreto “Amici Curiae” emesso a gennaio dal presidente Marta Cartabia e chiedere un differimento dell’udienza per presentare un’eventuale memoria illustrativa sulla delicata questione o, in alternativa, chiedere alla Corte la nomina di un esperto, previsto dall’art. 3. La questione sollevata dalla Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per la Regione Basilicata riguarda in particolare:
1) l’applicazione ai giornalisti addetti agli Uffici Stampa della Regione e degli enti sub-regionali del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti;

Marta Cartabia

2) l’individuazione e regolamentazione dei profili professionali all’interno degli Uffici stampa demandate ad una specifica area di contrattazione tra gli organi regionali e l’Associazione della Stampa di Basilicata;
3) l’introduzione di una deroga alle disposizioni statali che regolano il rapporto di lavoro contrattualizzato e il relativo trattamento economico e che affidano l’individuazione e la regolamentazione degli specifici profili professionali alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione;
4) la facoltà per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti, appartenenti agli organici degli Uffici stampa della Giunta e del Consiglio regionale, con contratto a tempo indeterminato, di optare per la trasformazione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato con l’applicazione del contratto giornalistico;
5) la garanzia assistenziale e previdenziale a decorrere dalla data dell’opzione;
6) l’introduzione di una deroga alle disposizioni statali che regolano il rapporto di lavoro contrattualizzato e il relativo trattamento economico e che affidano l’individuazione e la regolamentazione degli specifici profili professionali alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione.
Per la Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per la Regione Basilicata risulterebbe:
1) violata la competenza legislativa esclusiva statale in materia di “ordinamento civile”;
2) leso il principio dell’equilibrio di bilancio;
3) violati i principi di buon andamento e imparzialità;
4) violati i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica;
5) violata la competenza legislativa esclusiva statale in materia di “ordinamento civile” – Lesione del principio dell’equilibrio di bilancio – Violazione dei principi di buon andamento e imparzialità – Violazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.
Il tutto per possibile contrasto con gli articoli 81, 97, primo comma, 117, commi secondo, lettera l), e terzo della Costituzone in relazione sia al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, commi 2 e 3; 40, comma 2; e 45, commi 1 e 3; sia alla legge 7 giugno 2000, n. 150, art. 9, comma 5. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Franz

L’ORDINANZA DELLA CORTE DEI CONTI PER LA BASILICATA

Reg. ord. n. 227 del 2019 pubbl. su G.U. del 18/12/2019 n. 51
Ordinanza del Corte dei Conti – Sez. Regionale di controllo di Basilicata del 26/07/2019
Notifica del 31/07/2019
Regione Basilicata
Camera di Consiglio del 6 maggio 2020 rel. Prosperetti
Impiego pubblico – Norme della Regione Basilicata – Uffici stampa – Applicazione ai giornalisti addetti agli Uffici stampa della Regione e degli enti sub-regionali del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti – Individuazione e regolamentazione dei profili professionali all’interno degli Uffici stampa demandate ad una specifica area di contrattazione tra gli organi regionali e l’Associazione della stampa di Basilicata – Norma transitoria – Facoltà per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti, appartenenti agli organici degli Uffici stampa della Giunta e del Consiglio regionale, con contratto a tempo indeterminato di optare per la trasformazione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato con l’applicazione del contratto giornalistico – Garanzia assistenziale e previdenziale a decorrere dalla data dell’opzione. – Legge della Regione Basilicata 9 febbraio 2001, n. 7 (Disciplina delle attività di informazione e comunicazione della Regione Basilicata), articoli 2, commi 2 e 6; e 6, commi 1 e 2. (19C00352) (GU 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 51 del 18-12-2019).

Angelo Buscema, presidente della Corte dei Conti

CORTE DEI CONTI
Sezione regionale di controllo per la Basilicata

composta dai seguenti magistrati: Presidente dott. Angelo Buscema – Presidente; consigliere dott. Rocco Lotito; primo referendario dott.ssa Vanessa Pinto – relatore; ha  pronunciato la seguente   ordinanza nel giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Basilicata per l’esercizio finanziario 2017.
Visti  gli  articoli  100,  comma 2 e 103,  comma 2, della Costituzione;
Visti gli articoli 134 della Costituzione, l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Visti gli articoli 81, 97 comma 1, 117, comma  2,  lettere  I) e 119, comma 1, della Costituzione;
Visto il Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni ed integrazioni;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante «Disposizioni in materia di giurisdizione e  controllo  della  Corte  dei  conti»,  e successive modifiche ed integrazioni;
Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7  dicembre  2012,  n.  213  e successive modifiche ed integrazioni e, in particolare,  l’art. 1,  comma  1  e comma 5;
Vista la deliberazione n. 1138 del 9 novembre 2018, con la quale la Giunta regionale ha deliberato «Di proporre all’approvazione del Consiglio regionale il disegno di legge circa “Approvazione del Rendiconto generale della Regione Basilicata per l’esercizio finanziario 2017”»;
Vista la nota prot. n. 191219/13A1 del 14 novembre 2018, acquisita al prot. 1178 in data 15 novembre 2018 con la quale la Regione Basilicata ha trasmesso a questa Sezione regionale di controllo della Corte dei conti il progetto di rendiconto generale per l’esercizio finanziario 2017 approvato con la delibera di Giunta regionale n. 1138 del 9 novembre 2018, completo del conto economico e dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione sulla gestione;
Vista la nota prot. n. prot. 8506/12A2 del 17 gennaio 2019 (acquisita al prot. 42/2019) con la quale sono state trasmesse le copie conformi all’originale della DGR 1138/2018;
Visto l’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000 n. 150 in materia di «Disciplina delle attività  di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni»;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni (norme generali  sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche);
Vista la legge regionale del 9 febbraio 2001, n. 7 e successive modifiche ed integrazioni, in materia di «Disciplina delle attività di informazione e comunicazione della Regione Basilicata»  e,  in particolare, gli articoli 2 e 6;
Vista la nota istruttoria del 5 ottobre 2018 prot. n. 888 avente per  oggetto, tra  l’altro, richieste  di riscontro in merito all’aumento del costo del personale assunto presso gli Uffici stampa della Regione (Giunta e Consiglio);
Viste le note di risposte  del Consiglio  regionale in data  9 novembre 2018 prot. n. 1127;

Giulio Prosperetti

Vista la nota n. 532 del 19 aprile 2019 con la quale il Magistrato istruttore ha trasmesso – al presidente della Giunta, al presidente del Consiglio regionale, al presidente del Collegio dei revisori ed al Procuratore regionale della Regione Basilicata – la nota istruttoria conclusiva contenente gli esiti dei riscontri istruttori effettuati ai fini e per gli effetti del giudizio di parificazione del rendiconto generale per l’esercizio 2017;
Viste le note di risposta pervenute dal Consiglio, prot. 2943/C del 16 maggio 2019 (acquisita al prot. 629/2019) e dal presidente della Giunta in data 20 maggio 2019 (acquisita al prot. 668/ 2019);
Vista la bozza di Relazione finale sugli esiti istruttori trasmessa – in relazione allo specifico  aggregato  della  spesa  di personale – con la nota prot. n. 1109 del 19 giugno 2019;
Visto il decreto di fissazione dell’udienza n. 19/2019 (prot. interno n. 81159420), ritualmente trasmesso in data 12 giugno (con nota prot. 914) con il quale il Presidente f.f. di  questa Sezione regionale di controllo ha fissato l’odierna udienza, per la decisione sulla parificazione del rendiconto generale della Regione Basilicata per l’esercizio finanziario 2017;
Considerati gli esiti dell’audizione formale tenuta in data 21 giugno 2019, con i rappresentanti  della  Giunta  e  del  Consiglio regionale, i dirigenti responsabili dei vari settori  interessati e con i componenti del Collegio dei revisori (da una parte) ed alla presenza del Procuratore regionale della Corte dei conti (dall’altra parte), nell’ambito della quale sono state illustrate le conclusioni istruttorie propedeutiche al presente giudizio di parifica;

Vito Bardi, presidente della Giunta regionale della Basilicata

Viste le controdeduzioni trasmesse dalla Regione in data 26 giugno 2019 (acquisite al prot. 1253/2019) con specifico riferimento ai rilievi effettuati sulla spesa di personale, tra cui il personale assunto presso gli Uffici stampa regionali;
Vista la requisitoria del Procuratore regionale della  Corte  dei conti per la parifica del Rendiconto regionale 2017, trasmessa anche a mezzo PEC in data 2 luglio 2019.
Uditi all’odierna udienza il relatore Vanessa Pinto; il Procuratore regionale Luigi Cirillo e il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi.

Rilevato in fatto

1. Con nota prot. n. prot.  191219/13A1 del 14  novembre 2018, acquisita al prot. 1178 in data 15 novembre 2018 è stato trasmesso a questa Sezione di controllo, il progetto di rendiconto relativo all’esercizio 2017, composto dal conto del bilancio e dal conto economico e patrimoniale, così come approvato con la delibera di Giunta regionale n. 1138 del 9 novembre 2018, con i relativi allegati.
Nell’ambito del procedimento istruttorio funzionale al giudizio di parifica del rendiconto relativo  all’esercizio 2017 è stato riscontrato – tra le altre anomalie – il consistente e progressivo aumento, in termini di impegni e pagamenti, dell’aggregato della spesa di personale sostenuta dalla Regione. Tale criticità risulta caratterizzare «in via strutturale» il bilancio regionale.
La medesima anomalia è stata, infatti, riscontrata nell’ambito dei giudizi di parificazione dei  rendiconti  2015 e 2016 (cfr. Relazione allegata alla decisione n. 45/2016,  pag. 204 e segg. e Relazione allegata alla decisione n. 33/2018 pagg. 412 e ss).
Il dato è risultato particolarmente evidente con riferimento al personale giornalista «contrattista  a  t.  ind» (dicitura del prospetto) che è risultato in progressivo e costante aumento negli esercizi 2014 – 2017, nonostante l’invarianza (e nell’esercizio 2017, la diminuzione) del numero di unità utilizzate.
In particolare, per gli esercizi 2014 – 2016, per il personale giornalista imputaci alla Giunta, ad invarianza del numero di unità, si è passati dall’importo di euro 329.927,00 dell’esercizio 2014, all’importo di euro 355.047,00 dell’esercizio  2015, all’importo di euro 392.552,00 dell’esercizio 2016.
La stessa criticità è stata rilevata con riferimento alle spese di personale giornalistico imputate nel  bilancio del Consiglio regionale.
Le tabelle che seguono  mostrano l’evoluzione dei costi nel periodo 2014-2016 e 2016-2017. Ad invariata del numero di unità impiegate (pari a sei), la spesa di personale giornalistico intestato alla Giunta ha subito un incremento dal 2014 al 2016 pari ad euro 62.625,00.
Anche in relazione al personale giornalistico intestato al Consiglio regionale si assiste al medesimo  fenomeno: ad invarianza del numero di unità impiegate (quattro unità) la spesa sostenuta dall’esercizio 2014 all’esercizio 2016 è aumentata dell’importo di euro 35.113,00. Osservando l’evoluzione del fenomeno nell’ambito del progetto di rendiconto relativo all’esercizio 2017, la criticità  è risultata confermata.
Nell’esercizio 2017, con decorrenza 1° luglio,  a seguito dell’unificazione dei ruoli della Giunta e  del Consiglio regionale adottata con DGR n. 106/2015 in attuazione dell’art. 24 della legge regionale n. 7/2013, la gestione economica e giuridica del personale del Consiglio è passata alla  competenza esclusiva della  Giunta regionale.
Per l’effetto – a decorrere dal 1° luglio 2017 –  gli  oneri  di personale vengono imputati «in via consolidata» sui capitoli di spesa della Giunta.
Il dato della spesa di personale del Consiglio risulta – quindi – valorizzato come voce separata sino al 30 giugno 2017.
Nella tabella seguente si riporta il dato aggregato (Giunta  e Consiglio) della spesa di personale 2016 – 2017.
Come emerge per tabulas anche nell’esercizio 2017 si registra un aumento complessivo della spesa di personale  rispetto all’esercizio 2016, per l’importo di euro 57.254,19.

Carmine Cicala, presidente del Consiglio regionale della Basilicata

Alla luce di quanto sopra, pertanto, l’evoluzione della voce di spesa nel periodo 2014-2017 ha comportato un incremento complessivo di euro 129.140,23, passando dall’importo di euro 578.204,00 (Giunta e Consiglio) dell’esercizio 2014 all’importo euro 707.344,23 (Giunta e Consiglio) dell’esercizio 2017.
Il tutto ad invarianza di numero di unità assunte, anzi con una unità di personale in meno nell’esercizio 2017.
Nell’esercizio 2017, infatti, la diminuzione delle voci della spesa di personale giornalista intestata  al Consiglio è solo apparente in quanto, come già rilevato, a decorrere dal 1° luglio 2017 è confluita sui capitoli di spesa della Giunta.
In sede di riscontri istruttori (cfr. nota  di  risposta del 10 maggio 2018 prot. n. 81712/11A1), la  Giunta ha riferito che «L’aumento del costo del personale “contrattualizzato a tempo indeterminato” (trattasi di personale giornalista a cui si applica il CNGL) tra il 2015 e il 2016 è dovuto all’erogazione, nell’annualità 2016 degli aumenti contrattuali e dei nuovi istituti previsti  dallo stesso CNGL approvato il 24.6.2014». (enfasi aggiunta).
Le medesime giustificazioni sono state fornite dal Consiglio regionale (cfr. nota di risposta del 9  novembre 2018 prot. n. 8933/c).
I chiarimenti istruttori ricevuti, hanno fatto emergere una criticità di base. È risultato, infatti, che la  Regione applica – al personale assunto presso gli Uffici stampa dei propri organi  ed  enti strumentali – il contratto nazionale dei giornalisti (CNLG) e non, come avrebbe dovuto, il  Contratto  nazionale collettivo per il comparto delle funzioni locali (CCNL).
Tale «trattamento in deroga» risulta autorizzato dalla legge regionale n. 7 del 9 febbraio 2001 emanata in materia di «Disciplina delle attività di informazione e comunicazione della Regione Basilicata» e, in particolare, dall’art. 2 («Uffici Stampa») e dall’art. 6 («Disposizioni transitorie»).
Alla luce di quanto sopra, in sede istruttoria è stato rilevato che il diverso trattamento economico, previdenziale ed assistenziale contenuto nel Contratto giornalistico (CNLG) – oltre ad aver comportato e continuare a comportare, in misura ordinaria e continuativa, oneri e spese non riconosciuti dal vigente contratto collettivo nazionale di comparto – è stato la causa degli aumenti dei costi del personale giornalista registrati negli esercizi 2014-2017, per via degli adeguamenti operati a decorrere dal 2015 (cfr. nota di risposta del Consiglio del 9 novembre 2018 prot. n.  8933/c., cit.).
Il Magistrato istruttore ha riportato le conclusioni raggiunte in parte qua nell’ambito della (bozza) di Relazione finale, trasmessa – con la nota del 19 giugno 2019 (cfr. nota Prot. n. 1109) – all’Amministrazione regionale ed alla Procura regionale ai fini dell’audizione tenuta in  data 21 giugno 2019, e ciò in via prodromica all’odierna udienza di parificazione del 4 luglio 2019. In sede di controdeduzioni, l’Ente non ha fornito alcun riscontro in merito alla criticità rilevata.
Il Procuratore regionale nell’ambito delle conclusioni riportate nella requisitoria trasmessa a mezzo Pec in data 2 luglio 2019, concordando con i dubbi di legittimità costituzionale manifestati dal Magistrato istruttore, ha ritenuto la «non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale con riferimento agli articoli 1, 2 e 6, legge regionale n. 7/2001, nella parte in cui disciplinano un rapporto di lavoro “privatizzato” alle dipendenze della pubblica amministrazione come contratto di diritto privato, sottraendolo alle regole contrattuali previste per i pubblici dipendenti, in violazione delle competenze statali in materia di ordinamento civile e di coordinamento della finanza pubblica, ex art. 117 Cost.» (cfr. «Requisitoria» anticipata a mezzo  Pec in data 2 luglio 2019, pag. 68). All’odierna udienza, il Magistrato relatore ed il Procuratore  regionale hanno confermato le perplessità sopra riportate in merito alla legittimità costituzionale  dell’art. 2 e dell’art. 6 della legge regionale n. 7/ 2001.

Considerato in diritto

2. La legge regionale della Basilicata n. 7 del 9 febbraio 2001 («Disciplina delle attività di informazione e comunicazione della Regione Basilicata») – innestando nel sistema regionale uno  speciale trattamento «in deroga» – applica al personale assunto negli Uffici stampa regionali il contratto nazionale giornalistico (CNLG) in luogo del contratto collettivo nazionale per il  comparto  delle  funzioni locali (CCNL).
Tale «regime speciale» ha gravato i bilanci regionali di oneri non previsti dalla legislazione nazionale in materia di rapporto di lavoro alle dipendenze pubbliche.
Le specifiche disposizioni che si assumono illegittime sono le seguenti: art. 2, comma 2, ai sensi del quale «Ai giornalisti addetti agli Uffici Stampa della Regione e degli Enti sub-regionali (RATO, ALSIA, APT, ARBEA, ARDSU, ARPAB, ATER Matera, ATER Potenza, Ente di gestione del  Parco archeologico storico naturale delle Chiese rupestri del Materano, Ente Parco  naturale Gallipoli Cognato – Piccole Dolomiti Lucane, Ente Parco nazionale del Pollino) si applica il contratto nazionale di lavoro dei giornalisti»; art. 2, comma 6, ai sensi del quale «L’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali all’interno degli Uffici stampa sono demandate ad una specifica area di contrattazione tra gli organi regionali e l’Associazione della Stampa di Basilicata»; art. 6, comma 1, ai sensi del quale «Agli iscritti all’Ordine dei giornalisti, appartenenti agli organici degli Uffici stampa della Giunta e del Consiglio regionale, con contratto a tempo indeterminato è data facoltà di optare, entro trenta  giorni dall’entrata  in vigore della presente legge, per la trasformazione del rapporto di lavoro in contratto a tempo  indeterminato con l’applicazione del contratto giornalistico»; art. 6, comma 2, ai sensi del quale «In caso di opzione per l’applicazione del contratto giornalistico, ai soli fini dell’anzianità di servizio gli anni prestati presso gli Uffici stampa della Regione sono valutati al cinquanta per cento, la Regione garantisce, ove espressamente richiesta e a decorrere dalla data dell’opzione, la contribuzione previdenziale all’INPGI e quella assistenziale alla CASAGIT. Eventuali ricongiungimenti ai fini previdenziali ed assistenziali, relativi a posizioni pregresse, restano a totale carico degli interessati».
La  Sezione dubita della legittimità costituzionale delle suddette disposizioni di legge regionale  per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione in quanto emanate in violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile», nel cui perimetro rientra anche la disciplina del trattamento di lavoro «privatizzato» dei dipendenti pubblici, ivi inclusi i dipendenti regionali e, tra questi, il personale assunto negli Uffici stampa.
La Sezione ritiene, altresì, che la violazione della riserva di legge statale abbia comportato – per  ridondanza del vizio – la violazione dei parametri costituzionali di cui agli articoli 81, 97 comma 1 e 117 comma terzo della Costituzione italiana, nei termini di seguito meglio specificati.
Alla luce di quanto sopra, prima di motivare la non manifesta infondatezza di tali dubbi si ritiene  necessario soffermarsi sulla legittimazione di questa Corte ad adire il Giudice delle leggi, nonché sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso.
3. Legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale. Alla luce della ormai  pacifica giurisprudenza della Corte costituzionale i giudizi di parificazione dei rendiconti regionali si connotano, oltre che per tratti sempre più equiparabili all’esercizio di attività giurisdizionale, per essere uno strumento fondamentale al fine di evitare «zone d’ombra» nel sistema di  tutela dei principi garantiti dalla Costituzione (cfr. ex pluribus Corte costituzionale sentenze n. 89 del 2017, n. 196/2018, n. 138/2019,  n. 146/2019).
Come, anche di recente, ricordato dal Giudice  delle  leggi  «Per aversi un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è “sufficiente che ricorra il requisito oggettivo dell’esercizio di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge” da parte di organi “pur estranei all’organizzazione della giurisdizione ed istituzionalmente adibiti a compiti di diversa natura” che di quelle siano investite anche in via eccezionale, e siano all’uopo “posti in posizione super partes” (sentenza n. 226/1976)”» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 138/2019).
La «nuova» Costituzione finanziaria – codificata della legge costituzionale n. 1/2012 – ha  innestato nel sistema parametri di tutela della finanza pubblica e dei relativi equilibri a carico di tutte le amministrazioni del consolidato pubblico, ivi incluse le regioni, e ciò anche al fine del rispetto dei  vincoli  economici  e finanziari derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
A tale fine, l’art. 1 del decreto-legge n. 174/2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 213/2012, ha conferito alla Corte dei conti una specifica funzione, e cioè  quella di contribuire a «rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale  e  regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea,» (cfr. comma 1, art. 1  decreto-legge n. 174/2012).
Per effetto di tale nuova «vis» dei poteri intestati alla Corte dei conti, la verifica della legittimità e regolarità del sistema di bilancio regionale deve avere riguardo anche ai parametri costituzionali di cui agli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della Costituzione (cfr. comma 1, art. 1, decreto-legge n. 174/2012, cit.).
In questa prospettiva, l’attività di riscontro espletata  della Corte dei conti nell’ambito dei giudizi di  parifica dei rendiconti regionali costituisce – per espressa previsione normativa – uno strumento fondamentale per conseguire – a livello di sistema finanziario «allargato» – la tutela del bilancio pubblico nei termini codificati dalla Costituzione. Ed è, pertanto, alla luce di tale  «potere-dovere» che viene riconosciuta la legittimazione delle Sezioni regionali di controllo a sollevare la questione di legittimità, in sede di giudizio di parifica, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Il perimetro del riscontro è dato dai  parametri costituzionali codificati a tutela della sana gestione finanziaria del bilancio. Il rispetto di tali principi è inscindibilmente connesso all’osservanza del riparto delle competenze Stato-regioni di cui all’art. 117, comma 2 e comma 3, della Costituzione, quale parametro-presupposto «a monte».
La legittimazione della Corte dei conti a sollevare questione di legittimità costituzionale è stata estesa, infatti, anche ai casi di assunta violazione dei parametri attributivi di competenza «poiché  in  tali casi la Regione manca per definizione della prerogativa di allocare risorse. Pertanto, entro tali materie, non vi è intervento regionale produttivo di spesa che non si traduca immediatamente nell’alterazione dei criteri dettati dall’ordinamento ai fini della sana gestione della finanza pubblica allargata» (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 196/2018, nonché le successive sentenze n. 138/2019 e n. 146/2019).
Sussiste, infatti, un’intima ed inscindibile interconnessione tra l’art. 117, comma 2, e gli altri  beni-valori della contabilità pubblica (v. Corte costituzionale, sentenza n. 188/2014, nonché da ultimo sentenze numeri 196/2018, 138/ 2019 e 146/ 2019).
In particolare, ai fini che interessano in questa sede, viene in rilievo l’art. 117,  comma 2,  lettera  l)  della Costituzione che codifica una «riserva esclusiva» di competenza statale a disciplinare, in termini anche economici e finanziari, determinate materie considerate «strategiche» al fine di  garantire l’unità economica e sociale della Repubblica, tra cui quella dello «ordinamento civile».
Tra le materie dello «ordinamento civile» rientra la disciplina dei rapporti di lavori pubblici  cosiddetti contrattualizzati (o privatizzati), codificata ai sensi del decreto legislativo n. 165/2001 (Testo unico in materia di pubblico impiego).
Sul punto il Giudice delle leggi ha affermato che tale disciplina «costituisce norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica, alla stregua dell’art. 1, comma 3, del citato  decreto legislativo n. 165 del 2001, il quale rinvia in proposito ai principi desumibili dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di  finanza territoriale), che al comma 1, lettera a), stabilisce per l’appunto come principio la regolazione mediante  contratti individuali e collettivi dei rapporti di lavoro e di impiego nel settore pubblico» (cfr. ex pluribus Corte costituzionale sentenza n. 314/2003).
Nel caso oggetto della presente ordinanza viene in rilievo proprio la violazione della competenza   esclusiva  statale a disciplinare il rapporto di lavoro «contrattualizzato» dei dipendenti pubblici.
Le disposizioni della legge regionale n. 7/2001, infatti, nel prevedere l’applicazione del contratto  di lavoro giornalistico in luogo del contratto collettivo nazionale di comparto previsto ai sensi del combinato disposto del decreto legislativo n. 165/2001 e dall’art. 9, comma 5 della legge n. 150/2000, si pongono in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l) Cost.
La violazione del suddetto parametro competenziale «ridonda», inevitabilmente, nella violazione dei principi costituzionali in tema di tutela del bilancio e degli equilibri finanziari, e ciò in quanto il legislatore regionale – nel sostituirsi sine titulo al legislatore nazionale – ha innestato nel sistema oneri e sottratto risorse in assenza di «copertura normativa», rectius in violazione dei parametri costituzionali.
Questo ha comportato, come effetto riflesso, la violazione dell’art. 81 Cost. e dell’art. 97, comma 1, Cost., per lesione del principio dell’equilibrio di bilancio e del principio di copertura finanziaria. E ciò in quanto l’innesto nel sistema di oneri «privi di legittima autorizzazione» perché derivanti da leggi regionali emanate in «assenza di competenza a legiferare» ha determinato – nell’an – un effetto espansivo della spesa non consentito, con la conseguenza che anche le risorse utilizzate a  copertura risultano viziate per «illegittimità derivata».
In sintesi, la violazione competenziale a disporre in materie riservate allo Stato, sortisce il duplice effetto, ridondante sull’equilibrio del bilancio, di un illegittimo ampliamento della spesa con conseguente copertura finanziaria priva di presupposti normativi.
Nel caso di specie, infatti, la Regione Basilicata (così come nei casi stigmatizzati dal Giudice  delle leggi nelle sentenze n. 196/2018, n. 138/2019 e n. 146/2019) «legiferando in una materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ha determinato un aumento sensibile  della spesa del personale che costituisce, per la sua importanza strategica, non già una minuta voce di dettaglio nei bilanci delle amministrazioni pubbliche, ma un importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a  principio fondamentale della legislazione statale (in tal senso, tra le altre,
Corte costituzionale sentenza n. 108/2011)» (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 146/2019) [enfasi aggiunta]. Infatti, la violazione del principio di cui all’art. 117, comma 2, lettera l) Cost. ridonda, altresì, nella violazione del comma 3, dell’art. 117 Cost., per lesione della competenza  dello Stato a disciplinare – nelle materie di competenza concorrente – i «principi fondamentali», tra cui rientra il principio di coordinamento della finanza pubblica, nel cui ambito il  contenimento  della spesa di personale assume un ruolo portante ai fini del perseguimento degli equilibri del bilancio pubblico consolidato.
Lo Stato è, infatti, garante, oltre del rispetto da parte di tutte le amministrazioni del consolidato pubblico dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’appartenenza all’Unione europea (art. 97, comma 1 e 119, comma 1 Cost.), della sostenibilità finanziaria dei diritti garantiti dalla Costituzione; tale obiettivo è conseguibile solo con un bilancio pubblico allargato «sano ed in equilibrio».
È in quest’ottica che occorre dare rilievo allo stretto collegamento tra potere di coordinamento in materia di tutela della finanza pubblica di cui all’art. 117, comma 3 Cost. e riserva di competenza esclusiva nelle materie considerate «strategiche» di cui all’art. 117, comma secondo, Cost.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, il Collegio ritiene di essere legittimato a sollevare la   questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117,  comma  2, lettera  l) nonché – per ridondanza del vizio – degli articoli 81, 97 comma 1 e 117, comma 3, della Costituzione, e ciò in quanto le norme di cui si sospetta l’illegittimità costituzionale incidono sull’articolazione della  spesa in termini di «an» e, quindi, sul «quantum» dell’aggregato complessivo della spesa di personale, determinando un effetto espansivo della stessa non consentito dall’ordinamento costituzionale e giuscontabile vigenti.
4. Rilevanza della questione di legittimità costituzionale ai fini del presente giudizio di parificazione del rendiconto regionale.
Riguardo alla rilevanza nel presente giudizio delle questioni di costituzionalità oggetto della presente ordinanza, si osserva quanto segue.
Il giudizio di parificazione dei rendiconti regionali, nel cui ambito viene sollevata la questione di  legittimità all’esame, è stato innestato – nel sistema – per opera del comma 5 dell’art. 1 del decreto-legge n. 174/2012. Ai sensi del suddetto articolato «Il rendiconto generale della Regione è parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parificata è allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimità e alla regolarità della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l’equilibrio del bilancio e di migliorare l’efficacia e l’efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della Giunta regionale e al Consiglio regionale».
Tale giudizio «sintetizza in sé, assumendo un ruolo portante, l’insieme delle funzioni di controllo intestate alla Corte dei conti al fine di contribuire a dare attuazione al nuovo volto finanziario del nostro ordinamento, così come oggi “comunitariamente orientato” alla tutela della finanza pubblica allargata» (cfr. Corte dei conti Sez. reg. controllo per la Basilicata, decisione n. 45/2016/PARI).
In quest’ottica, il giudizio di parificazione dei  rendiconti regionali ha assunto connotati più ampi e dinamici rispetto all’originario statuto disegnato dal legislatore del 1934 per il rendiconto generale dello Stato, e ciò proprio alla luce della necessità di garantire la compartecipazione di tutte le amministrazioni del consolidato pubblico al perseguimento di un equilibrio economico-finanziario «effettivo» e «sostenibile» anche in via prospettica, a tutela della collettività attuale e futura (cfr. ex pluribus Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019).
È il concetto stesso di rendiconto oggetto di parificazione ad essersi evoluto in coerenza con  i  nuovi principi ed obiettivi costituzionali ed eurounitari.
In questo rinnovato panorama normativo, il rendiconto regionale rappresenta il momento conclusivo del complessivo ciclo di bilancio dell’Ente. Le voci che lo compongono, conto del bilancio e conto  del patrimonio, sono finalizzate a dare evidenza dell’effettiva sussistenza degli  equilibri economico-finanziari dell’Ente, in termini di effettiva capacità di spesa e, quindi,  conseguimento e mantenimento in concreto degli equilibri di bilancio, in chiave statica e dinamica.
Per l’effetto, il riscontro di voci  di  entrata  e/o di spesa, ovvero di modalità di contabilizzazione delle suddette voci che si appalesano in violazione dei suddetti principi costituzionali, e dei relativi parametri interposti (tra cui, in primis, il decreto legislativo n. 118/2011), non può che portare ad un esito negativo del giudizio di parifica delle voci riscontrate come illegittime, anche in termini di quomodo della relativa contabilizzazione.
Come efficacemente rilevato dal Giudice delle leggi «Sono questi i valori alla cui tutela è preordinata  la  Corte  dei  conti,  cui spetta accertare tutte le “irregolarità” poste in essere dagli  enti territoriali suscettibili di pregiudicarli, secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 3, del decreto-legge  10  ottobre  2012,  n.  174» (cfr. sentenze n. 18 del 2019, n. 196 del  2018,  nonché da  ultimo sentenza n. 146/2019).

Il Palazzo della Consulta, sede della Corte costituzionale progettato dall’architetto fiorentino Ferdinando Fuga (1732), in Piazza del Quirinale a Roma

Alla luce di quanto sopra, nel caso in cui dovessero essere riscontrate voci o modalità di  contabilizzazione di voci che si «sospettano» illegittime, per vizio derivato dalla «legge – fonte», si renderà necessario sollevare la questione di legittimità della/delle disposizione/disposizioni assunta/e come illegittima/e.
In caso contrario, la Sezione regionale di controllo, nella vigenza delle menzionate norme e in  assenza di scrutinio di legittimità costituzionale, pur dubitando di detta legittimità, dovrebbe  parificare le predette componenti del rendiconto, vanificando le finalità per cui è stata attribuita alla Corte dei conti la funzione di parifica dei rendiconti regionali.
Peraltro, è lo stesso Giudice delle Leggi ad osservare che nel caso in cui venissero parificati  capitoli «in applicazione delle norme censurate, il collegio a quo, si sarebbe trovato nella condizione di validare un risultato di amministrazione non corretto, relativo a una spesa (…)  ritenuta illegittima. Esso sarebbe, pertanto, venuto meno al suo compito di accertare eventuali “irregolarità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti”» (art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 174 del 2012) (cfr. ex pluribus Corte costituzionale sentenze n. 89/2017, n. 196/2018 e n. 146/2019).
Nel caso all’esame, il sospetto di illegittimità costituzionale della legge n. 7/2001 assume rilevanza ai fini del presente giudizio di parifica, in quanto la legge de qua ha  gravato  il  sistema di bilancio regionale con oneri «non consentiti», sottraendo al contempo risorse in assenza di presupposti normativi.
Ciò che viene in rilievo è l’an della spesa, in quanto la normativa regionale in esame ha costituito  il  presupposto (che si sospetta illegittimo) dell’aggravio del bilancio regionale con oneri relativi a trattamenti retributivi, previdenziali ed assicurativi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva per il comparto delle funzioni locali.
Per l’effetto gli oneri in questione si appalesano privi sia di «copertura normativa» – per incompetenza del legislatore regionale – sia di «copertura finanziaria», per mancanza di presupposti legittimanti detta allocazione di risorse.
Come già evidenziato nelle  premesse, nell’ambito dell’odierno giudizio di parificazione, è stato  riscontrato che nel periodo 2014-2017 il macroaggregato della spesa di personale assunto presso gli «Uffici stampa» della Giunta e del Consiglio ha subito un incremento pari ad euro 129.140,23, passando dall’importo di euro 578.204,00 (Giunta e Consiglio) dell’esercizio 2014 all’importo euro 707.344,23 (Giunta e Consiglio) dell’esercizio 2017.
L’applicazione di tale diverso regime contrattuale, oltre ad aver comportato gli aumenti dei costi del personale giornalista registrati negli esercizi 2014 – 2017, ha determinato e continua a  determinare, in misura ordinaria e continuativa, un effetto espansivo della spesa in assenza di copertura normativa e finanziaria, perché effettuata in violazione della competenza esclusiva dello Stato a  disporre  in materia.
I capitoli del bilancio regionale sui quali risultano imputati oneri sospettati di «illegittimità derivata» sono i seguenti: bilancio della Giunta capitolo 8050 «Stipendi, retribuzioni ed oneri previdenziali ed assistenziali per i giornalisti legge regionale n. 7/2001»; bilancio della Giunta capitolo 8260 «Accantonamento trattamento di fine rapporto per personale con contratto giornalistico ex legge 29 maggio 1982, n. 297»; bilancio del Consiglio capitolo 00363 «Spese  per  Stipendi, assegni e indennità fisse ai giornalisti legge regionale n. 7/2001»; bilancio del Consiglio capitolo 00377 «Spese per compensi accessori ai giornalisti»; rendiconto di ciascuno degli enti strumentali indicati nel comma 2, dell’art. 2 della legge regionale n. 7/2001 (Titolo 1 spesa corrente – Macroaggregato 101) nella misura in cui registrano  spese per personale giornalista in  attuazione della  legge  regionale  n. 7/2001.
In mancanza di sospensione del giudizio per proponimento della presente questione di  legittimità costituzionale, la Sezione, quindi, dovrebbe parificare, certificandone la legittimità, spese che  assume  illegittime,  violando – essa  stessa – il compito essenziale che le è stato conferito dalla  Costituzione ai sensi dell’art. 100, comma 2 e art. 103, comma 2, nonché dal parametro interposto di cui all’art. 1, comma 1  e  ss, del decreto-legge n. 174/2012, convertito con modificazione dalla legge n. 213/2012.
Sul punto, è lo stesso Giudice delle leggi ad aver rimarcato che – stante l’incompetenza della Corte  dei conti a condizionare il contenuto degli atti legislativi regionali o privarli dei loro effetti perché tale prerogativa è demandata al sindacato di costituzionalità delle leggi regionali spettanti alla Corte costituzionale (cfr. n. 39/2014) – «ove sia la legge stessa a pregiudicare principi di rango costituzionale, l’unica via da percorrere per il giudice della parificazione rimane proprio il ricorso all’incidente di costituzionalità» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 138/2019).
5. In merito alla «Non manifesta infondatezza». Quanto alla non manifesta infondatezza della questione si osserva quanto segue.
Le disposizioni di cui all’art. 2, commi 2 e  6  ed  all’art.  6, commi 1 e 2, della legge regionale n. 7/2001, prevedendo uno speciale regime in deroga in materia di trattamento del rapporto di  lavoro «privatizzato» alle dipendenze pubbliche, si pongono in contrasto con la competenza esclusiva del legislatore nazionale a legiferare  in materia, violando – per l’effetto – il  parametro  costituzionale di cui all’art. 117, comma secondo, lettera l) della Costituzione ed i relativi parametri interposti  di  cui  al  decreto  legislativo  n. 165/2001 e di cui all’art. 9, comma 5, della legge n. 150/2000.
Le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (Testo unico in materia di pubblico impiego) codificano lo statuto giuridico ed economico del rapporto di lavoro alle dipendenze   delle amministrazioni pubbliche.
Tale disciplina costituisce «principio fondamentale» ai sensi dell’art. 117 Cost. (cfr. art. 1, comma  3, decreto legislativo n. 165/2001) al quale tutte le pubbliche amministrazioni – individuate nell’articolato normativo – devono conformarsi, ivi incluse le regioni (cfr. comma 2, art. 1, decreto legislativo n. 165/2001).
Con la normativa regionale all’esame, la Regione Basilicata risulta essersi posta in contrasto – in  particolare – con le disposizioni che disciplinano il rapporto di lavoro «contrattualizzato», tra cui – in particolare – vengono in rilievo gli articoli 2, comma 2 e comma 3, 40 comma 2, 45, comma 1 e comma 3.
La legge regionale n. 7/2001 in esame risulta, inoltre, in contrasto con le previsioni contenute nell’art. 9, comma 5, della legge n. 150/2000 che disciplina, nello specifico, «le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni», affidando l’individuazione e la regolamentazione degli specifici profili professionali alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione».
La disposizione in esame è stata, peraltro, di recente modificata ad opera 9 dell’art. 25-bis,  comma 1, decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019,  n.  26, con l’inserimento dell’ultimo  capoverso «Ai giornalisti in servizio presso gli  uffici stampa delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in via transitoria, sino alla definizione di una specifica disciplina da parte di tali enti in sede di contrattazione collettiva e comunque non oltre il 31 ottobre 2019, continua ad applicarsi la  disciplina riconosciuta dai singoli ordinamenti».
Tale addendum ha confermato che le regioni a statuto ordinario, come la Regione Basilicata, non  godono neppure del «regime transitorio» da ultimo previsto dal sopra citato art. 25-bis in relazione alle regioni a statuto speciale ed alle  Province  autonome di Trento e di Bolzano.
L’art. 18-bis del contratto collettivo nazionale per le funzioni locali per gli anni 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio  2018, ha – peraltro – ribadito che la disciplina del trattamento dei giornalisti assunti dalle pubbliche amministrazioni, ivi incluse le regioni, è assoggettato alla  specifica  disciplina di comparto, prevedendo distinti profili professionali e collocandoli «nelle 24 categorie del vigente sistema di classificazione del personale, secondo le declaratorie ed i relativi requisiti culturali e professionali di cui all’allegato A del CCNL del 31 marzo 1999, in relazione alla complessità dei compiti, nonché al livello di autonomia, responsabilità e competenza professionale, agli  stessi (connessi) richiesti».
L’attuale assetto normativo, pertanto, è univoco nell’assoggettare la disciplina del rapporto di lavoro del personale assunto dalle regioni alle disposizioni della normativa nazionale,  e ciò –senza eccezioni di sorta – anche riguardo al personale assunto presso gli Uffici stampa.
La  giurisprudenza  costituzionale,  peraltro, ha da sempre sostenuto che «essendo il rapporto  di  impiego di tali lavoratori ormai contrattualizzato, la sua disciplina […] rientra nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva statale (sentenze n. 339 e n. 77 del  2011)» (sentenza n. 290 del 2012; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 215 e n. 213 del 2012, nonché n. 324 del 2010)» (cfr. ex pluribus sentenza n. 286/2013, nonché in senso conforme  sentenze  n. 189/2007, n. 308/2006, n. 153/1995).
A tale riguardo, peraltro, il Giudice delle leggi è intervenuto anche nel corrente anno con ulteriori due pronunce che dichiarano (rectius confermano) l’illegittimità costituzionale di leggi regionali che applicano, anche sub specie di concessione della facoltà di scelta, il contratto collettivo dei giornalisti in luogo di quello previsto dalla normativa vigente per il personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Con la sentenza n. 10 del 25 gennaio 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – tra gli  altri – del comma 97 dell’art. 17 della legge regionale Lazio n. 9/2017 con  il  quale si stabilisce che, nelle more dell’attuazione dell’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150  (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), al personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti che presta servizio presso gli uffici stampa istituzionali della Giunta e del Consiglio regionale, si applica il contratto nazionale di  lavoro giornalistico.
In questo caso, la Corte costituzionale ha accertato e dichiarato la fondatezza della doglianza, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolato in questione, perché «viola la sfera di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego», e ciò in quanto «La previsione, da parte della legge regionale impugnata, di applicazione ai giornalisti inquadrati, a seguito di concorso pubblico, nel personale di ruolo della Regione di un contratto collettivo non negoziato dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), ma dalle organizzazioni datoriali degli editori e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, viola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra, infatti, nella materia «ordinamento civile» e spetta in via esclusiva al legislatore nazionale; invero, a seguito della privatizzazione, tale rapporto è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla specifica contrattazione collettiva, espressamente regolata dall’art. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). L’art. 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, prevede, al comma 2, ultimo periodo, che «nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità» ed alla luce di tale previsione il contratto collettivo relativo al personale del Comparto funzioni locali ha disciplinato la posizione dei giornalisti addetti agli uffici stampa in questione (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 10/2019).
Con la sentenza n. 81/2019, il Giudice delle leggi – intervenendo nuovamente sull’argomento – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 febbraio 2018, n. 5  (Norme per  il sostegno e la valorizzazione del sistema informativo regionale), per i medesimi vizi riscontrati con riguardo alla norma regionale del Lazio (oggetto della sentenza n. 10/2019), e cioè per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.
Nel merito, la Corte costituzionale ha – infatti – osservato (rectius ribadito) che «Il decreto legislativo n. 165 del 2001 ha stabilito che i rapporti di lavoro pubblici cosiddetti contrattualizzati sono disciplinati  dalle  disposizioni  del  codice civile e sono oggetto di contrattazione collettiva.
Questa Corte ha affermato che tale disciplina «costituisce norma fondamentale di riforma  economico-sociale della Repubblica, alla stregua dell’art. 1, comma 3, del citato decreto legislativo  n.  165 del 2001,  il  quale  rinvia  in  proposito ai  principi desumibili dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline  in  materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), che, al comma 1, lettera a), stabilisce per l’appunto come principio la regolazione mediante contratti individuali e collettivi dei rapporti di lavoro e di impiego nel settore pubblico» (sentenza n. 314 del 2003) (..)
La costante giurisprudenza di questa Corte ha, poi, precisato che la disciplina del rapporto di  impiego alle dipendenze della regione e i profili relativi al  trattamento economico del personale pubblico privatizzato vengono ricondotti alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza  esclusiva del legislatore nazionale, che in tale materia fissa principi che «costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti  tra  privati e, come tali si impongono anche alle regioni a statuto  speciale» (sentenza  n.  189  del  2007).
Con particolare riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici aventi  la qualifica di giornalisti, questa Corte, con la sentenza n. 10 del 2019, a proposito di una norma regionale avente contenuti assimilabili a quella di odierna impugnativa adottata dalla Regione Lazio, ha stabilito che «[l]a previsione, da parte della legge regionale impugnata, di applicazione ai giornalisti inquadrati, a seguito di concorso pubblico, nel personale di ruolo della Regione di un contratto collettivo non negoziato dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), ma dalle organizzazioni datoriali degli editori e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, viola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (…). Le predette disposizioni statali sono espressione della competenza esclusiva dello Stato della disciplina del rapporto di lavoro pubblico, anche in riferimento al personale di aree professionali specifiche, e della riserva di contrattazione collettiva, con conseguente illegittimità dell’intervento normativa regionale» (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 81/2019).
Alla luce delle suddette coordinate normative e della giurisprudenza costituzionale, emerge chiaramente che, al di fuori della sede e degli strumenti codificati dalla normativa nazionale, non risulta legittima né legittimata alcuna altra modalità o sede per provvedere alla disciplina del rapporto di lavoro  del  personale «giornalistico» assunto dalle pubbliche amministrazioni.
Per l’effetto si ritiene la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale  con  riferimento alle disposizioni di cui all’art. 2,  comma 2 e comma 6 della legge regionale n. 7/2001, così come delle disposizioni di cui all’art. 6, comma 1 e, comma 2 del medesimo articolato, per violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera l) e dei relativi parametri interposti di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) e di cui all’art. 9, comma 5, legge n. 150/2000.
E in particolare:
a) il comma 2 dell’art. 2, nella misura in cui viene codificata l’applicazione del contratto collettivo giornalistico per il personale assunto presso gli Uffici stampa regionali (ivi inclusi gli enti strumentali), in violazione dell’art. 2, comma 2 e comma 3 e dell’art. 45, comma 1 e comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001;
b) il comma 6 dell’art. 2, nella parte in cui viene demandata ad una specifica area di contrattazione tra gli organi regionali e l’Associazione della Stampa Basilicata l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali all’interno degli Uffici stampa, e ciò in violazione  dell’art. 40,  comma  2,  del  decreto legislativo n. 165/2001 e  dell’art.  9,  comma  5,  della  legge n. 150/2000.
Per gli stessi motivi e con riferimento ai medesimi  parametri interposti, si ritengono illegittime le disposizioni «transitorie» di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 6 della legge regionale n. 7/2001 nella misura in cui hanno consentito agli  iscritti all’Ordine dei giornalisti, appartenenti agli organi  degli Uffici stampa della Giunta e del Consiglio regionale, con contratto a tempo indeterminato, la facoltà di optare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge medesima, la  trasformazione  del rapporto di lavoro in essere con l’applicazione del contratto giornalistico (comma 1), garantendo per  l’effetto il relativo trattamento previdenziale ed assistenziale.
La Sezione tiene – inoltre – a precisare che nessuna delle disposizioni all’esame è risultata suscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto ognuna di esse esprime in maniera chiara e univoca la volontà del legislatore regionale di voler applicare al personale assunto presso gli Uffici stampa della Regione e degli enti strumentali il contratto collettivo giornalistico, con tutti gli oneri a  questo connessi e riservando agli organi regionali le trattative a questo connesse, il tutto in espressa deroga delle disposizioni della normativa nazionale vigente in materia.
Tutto ciò premesso e considerato, riservata ogni decisione in merito all’esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, la Sezione di controllo per la Regione Basilicata ritiene di sollevare l’incidente di costituzionalità dell’art. 2, commi 2 e 6 e dell’art. 6, commi 1 e 2 della legge Regione Basilicata 9 febbraio 2001, n.  7, con riferimento agli articoli 117, comma 2, lettera l), 81, 97, comma 1 e 117, comma 3 Cost. per le ragioni che precedono, stante la intrinseca ed  inscindibile correlazione teleologico-funzionale di tutti i menzionati principi costituzionali ai fini della tutela degli equilibri della finanza pubblica allargata, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.

P. Q. M.

La Corte  dei  conti,  Sezione  regionale  di  controllo  per  la Basilicata,
Visti l’art. 134 Cost., l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Visto l’art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre  2012,  n. 213;
Solleva, in via incidentale, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 6 e dell’art. 6, commi 1 e 2 della legge Regione Basilicata 9 febbraio 2001, n. 7, in riferimento agli articoli 117, comma 2, lettera l), 81, 97, comma 1 e 117, comma 3, della Costituzione per le ragioni indicate in parte motiva.
Dispone la sospensione del giudizio per i seguenti capitoli di spesa: bilancio della Giunta capitolo 8050 «Stipendi, retribuzioni ed oneri previdenziali ed assistenziali per i giornalisti L.R. n. 7/2001»; bilancio della Giunta capitolo 8260 «Accantonamento trattamento di fine rapporto per   personale con contratto giornalistico ex legge 29 maggio 1982, n. 297»; bilancio del Consiglio capitolo 00363 «Spese per stipendi, assegni e indennità fisse ai giornalisti L.R. n. 7/2001»; bilancio del Consiglio capitolo 00377 «Spese per compensi accessori ai giornalisti»; rendiconto di ciascuno degli enti strumentali indicati  nel comma 2, dell’art. 2 della legge regionale n. 7/2001 (Titolo 1 spesa corrente – Macroaggregato 101) nella misura in cui  registrano spese per personale giornalista in  attuazione della legge regionale n. 7/2001.

Ordina:

la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l’esame della questione; che, a cura della  segreteria della Sezione, ai sensi dell’art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia notificata al presidente della Regione Basilicata e al Procuratore regionale,  nonché al  presidente del Consiglio regionale della Basilicata.
Così disposto in Potenza, nella Camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019.

Il Presidente: Buscema

Il Magistrato estensore: Pinto

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