ROMA – Questa è una lettera che vuole essere fraterna e solidale, che cerca di esprimere la vicinanza e l’amicizia che ci lega in un momento così particolare della nostra vita, nel quale l’imprevisto che ci è caduto addosso ci isola e ci costringe a limitare i nostri rapporti umani solo a qualche timida telefonata, sperando che non ci porti brutte notizie.
A molti di noi è capitato nel nostro percorso professionale di essere testimoni di tragedie piccole, ma a volte grandi, collettive. Abbiamo cominciato, forse, con l’incidente stradale, con un fatto di “nera” da cercar di capire e da raccontare, magari alla ricerca di una nota di colore; perché una rapina in banca è sempre una rapina in banca e per renderla appetibile bisogna scovare quel particolare che la fa diversa dalle altre.
Qualcuno di noi (è capitato anche a me) si è poi trovato a tu per tu con situazioni ben più drammatiche: guerre, calamità naturali, naufragi, terremoti, esodi di massa, migrazioni, carestie. Era il nostro mestiere: della nostra professionalità faceva parte il saper raccontare quei fatti con empatia spontanea, ma anche con quel “distacco” che ci consentiva di descriverli accuratamente spiegandone se possibile le cause e le conseguenze, cosa non sempre facile, inseguiti com’eravamo dagli eventi. Osservatori non disinteressati, certamente, perché anche il cronista ha un cuore, ma in qualche modo anche freddi. Cronisti, appunto, non protagonisti.
Ora è diverso: siamo tutte e tutti, con i nostri familiari, con i nostri figli e nipoti, insieme pubblico e attori di una tragedia che si dispiega accanto a noi, della quale conosciamo poco le cause e assolutamente non l’epilogo. Sappiamo solo che il regista occulto che la manovra colpisce alla cieca, implacabilmente, a volte proprio qui, dove io, voi, noi ci troviamo.
Immagino che per molti di noi che vivono nelle zone più a rischio la consapevolezza di quel che accade o potrebbe accadere sia psicologicamente lancinante, e vorrei far giungere a tutti la mia solidarietà. Sappiamo anche che l’unico modo che abbiamo per difenderci come singoli e come gruppo è rinunciare alla socialità, perché mai come in questi giorni il massimo della condivisione deve coincidere con il minimo della comunicazione, con la solitudine.
È il paradosso che ci tocca di vivere, e che in poche settimane ci ha cambiato. Penso che questa esperienza ci segnerà profondamente (io la vivo così); e mi auguro, auguro a tutti noi, di ritrovarci, alla fine del percorso con la consapevolezza di aver riscoperto qualcosa di essenziale, che era ed è dentro di noi e che la frenesia del tempo che implacabilmente ci scorre accanto ci ha per anni impedito di scoprire. Con l’augurio di rivederci presto, tutte e tutti, in un momento migliore, e con tanto affetto. (giornalistitalia.it)
Guido Bossa
Presidente Unione Nazionale Giornalisti Pensionati