MANAGUA (Nicaragua) – Una cattedrale letteralmente invasa da persone violente, che per tutta la durata della celebrazione hanno urlato slogan, mancato di rispetto e insultato l’illustre defunto, il sacerdote e poeta Ernesto Cardenal, rapinato i fedeli presenti in chiesa e, alla fine, picchiato brutalmente cinque giornalisti.
È ancora turbata ed emozionata – nel raccontare al Sir quanto accaduto il giorno prima – la giornalista dello storico quotidiano di Managua, “La Prensa”, Leonor Álvarez, una delle croniste malmenate dalle “turbas” del presidente Daniel Ortega, che prima ha ipocritamente proclamato tre giorni di lutto per la morte di colui che era stato uno dei “padri” della rivoluzione sandinista e suo ministro circa quarant’anni fa e poi ha lasciato che le bande filo regime profanassero la sua messa funebre.
“Quando sono arrivata in chiesa, che è molto grande – racconta la giornalista – mi sono accorta che c’era tanta gente, più del previsto e mi sono presto resa conto che si trattava di persone vicine al regime, con le bandiere rossonere dei fedeli a Ortega. Si sono trovati a tu per tu, a pochi metri, con molti intellettuali, amici di Ernesto Cardenal e oppositori del regime. Tutta questa gente era scesa da sei pullman bianchi e hanno iniziato a gridare slogan come ‘Via Sandino’, ‘Viva Ortega’.
Il nunzio apostolico, mons. Stanislaw Waldemar Sommertag, ha provato a farli desistere, ha parlato con due gruppi. Ma non c’è stato niente da fare, le ‘turbas’ hanno continuato a mancare di rispetto al defunto, ai presenti e al luogo. Nonostante ci trovassimo dentro una chiesa, hanno seminato il terrore e, durante la celebrazione, hanno rapinato vari fedeli, hanno rubato borse e cellulari. Finita la messa, hanno iniziato a lanciare insulti verso Ernesto Cardenal, lo hanno chiamato ‘traditore’, il feretro faticava ad avanzare”.
Come è noto, da molto tempo Cardenal, che circa un anno fa era stato riammesso dal Papa alla piena comunione ecclesiale, si era staccato da Daniel Ortega. “Proprio alla fine della messa – spiega la giornalista – alcuni di questi violenti sono venuti verso noi giornalisti e hanno iniziato a insultarci e a picchiarci”.
È stato terribile. Non mi era mai capitato di essere picchiata in questo modo per il mio lavoro, anche se avevo già subito intimidazioni e per tre volte mi è stato tolto il cellulare”. Leonor Álvarez, giornalista di “La Prensa”, racconta all’agenzia di stampa Sir l’aggressione subita dalle “turbas” vicine al regime di Daniel Ortega, nella cattedrale di Managua, al termine della messa funebre per il sacerdote e poeta Ernesto Cardenal.
“Sono venuti contro di noi – dice la giornalista -. Usciti dalla chiesa abbiamo cercato di entrare in canonica, ma hanno forzato la serratura e sono entrati. Mi hanno tolto il cellulare, mi hanno rubato tutto… Mi hanno colpito due volte, mi hanno picchiato. Sono rimasta a terra in posizione fetale, perché in questi casi è l’unica cosa da fare, altrimenti prendi ancora più botte. Mi hanno irriso, invitato a ‘non fare la vittima’. Ad altri miei colleghi è andata peggio, sono stati picchiati con più forza, uno di loro ha avuto bisogno di cure mediche, ha avuto le convulsioni, una sorta di crisi epilettica”.
Dopo un po’, prosegue il racconto, “hanno cercato di colpirmi un’altra volta, ma sono stata difesa da un sacerdote. Hans Lawrence di “Nicaragua Investiga” è il giornalista che ha riportato le maggiori conseguenze, mentre anche David Quintana di “Boletín Ecológico” ha dovuto ricorrere al ricovero ospedaliero.
Già altre volte Leonor Álvarez aveva subito intimidazioni, come accaduto a tanti colleghi del quotidiano “La Prensa”, che solo da poche settimane ha ripreso a uscire normalmente con l’edizione cartacea, dopo che il regime, grazie alla mediazione del nunzio apostolico, ha sbloccato il sequestro della carta e delle rotative.
“Il sequestro – dice la giornalista – era stato messo in atto senza dare alcuna spiegazione. ‘La Prensa’ è un giornale storico, molto autorevole, e ha una linea critica verso Ortega”.
Conclude la cronista: “Non ho finora pensato di andarmene dal Paese o di non fare più questo lavoro. Voglio continuare a fare la giornalista, so che è un rischio ma informare è un dovere. Io non sto facendo niente di male, rinunciare a scrivere sarebbe un segno di debolezza. Voglio rimanere qui e continuare a scrivere”. (agensir)