Inchiesta del Sindacato Cronisti Romani: i dieci “casi clinici” della giustizia italiana

Ordinanze lumaca: 11 anni da Rossano a Roma

Pierluigi Roesler Franz, presidente del Sindacato Cronisti Romani, e la Corte Costituzionale

ROMA – Inchiesta del presidente del Sindacato Cronisti Romani, Pierluigi Roesler Franz, sulle ordinanze “lumaca” giunte nell’ultimo anno da tutta Italia con ingiustificabile ritardo alla Corte Costituzionale causando un grave danno ai cittadini e alla certezza del diritto.
La “palma” per il maggiore ritardo spetta ad un provvedimento emesso in Calabria dal Giudice unico del Tribunale di Rossano (poi inglobato nel Tribunale di Castrovillari), che ha impiegato addirittura ben 11 anni e 4 mesi per arrivare a palazzo della Consulta. Ma altre 9 ordinanze hanno tardato da un minimo di 2 anni ad un massimo di 10 anni e 2 mesi!
Come riferito il 2 agosto scorso da Giornalisti Italia, il Sindacato Cronisti Romani ha segnalato che, dopo 4 mesi, non era ancora giunta alla Corte Costituzionale l’ordinanza del 9 aprile scorso con cui il Tribunale di Salerno, accogliendo un’eccezione sollevata dall’avvocato Giancarlo Visone, legale del Sugc, nel processo a carico di un ex collaboratore e del direttore del quotidiano “Roma” e di cui si era data ampia notizia su giornali, radio, tv, internet e agenzie di stampa, aveva sospettato di illegittimità la possibilità di condanna al carcere ancora prevista dalla legge per i giornalisti querelati e ritenuti responsabili in sede penale di diffamazione.
Nel frattempo l’ordinanza é, finalmente, arrivata a palazzo della Consulta e il Presidente dell’Alta Corte, Giorgio Lattanzi, dopo le ferie estive potrà, quindi, decidere se fissare l’udienza pubblica prima del 9 dicembre prossimo, quando dovrà definitivamente appendere al chiodo il robone senese e lasciare il prestigioso incarico in concomitanza con la scadenza del suo mandato novennale di giudice costituzionale.
Sarebbe di certo il degno coronamento del grande lavoro di un giurista da tutti molto apprezzato sia per l’equità e l’equilibrio dimostrati nella sua lunga attività di magistrato di carriera (per anni é stato presidente di sezione della Corte Suprema di Cassazione), sia per l’autorevolezza delle sue pubblicazioni (al momento se ne contano ben 234 soprattutto riguardanti il Codice penale e quello di procedura penale, annotati con la giurisprudenza e norme complementari). ​
La delicata e dibattuta questione sollevata dal Tribunale di Salerno coinvolge, infatti, direttamente la libertà di stampa e il diritto di cronaca con riflessi anche sull’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Se fosse discussa entro il 9 dicembre consentirebbe anche ai 15 giudici della Consulta di battere sul tempo il Parlamento che non é ancora riuscito a varare in tema di diffamazione una riforma equa, equilibrata e di buon senso dopo decenni di inutili discussioni con le più svariate proposte finite nel cestino o rimaste nei cassetti di Montecitorio e di palazzo Madama. ​

Il duello tra Augusto Pierantoni e Fedele Albanese

Basti pensare che il sindacato dei giornalisti Aspi (Associazione Stampa Periodica Italiana), poi confluito nell’Associazione Stampa Romana dopo la Prima Guerra Mondiale) nacque ben 142 anni fa proprio a seguito del duello per un articolo ritenuto diffamatorio. La sfida, avvenuta a Roma la sera del 18 maggio 1877, fu vinta dall’onorevole Augusto Pierantoni (avvocato, deputato radicale per molte legislature e genero del ministro della Giustizia, Pasquale Stanislao Mancini) che, soprattutto grazie alla sua prestanza fisica (era alto circa 1 metro e 90, quasi come un corazziere), ferì in allungo all’avambraccio dopo tre attacchi il giornalista del “Fanfulla” Fedele Albanese.​
I quattro mesi che sono trascorsi a vuoto solo per notificare l’ordinanza del Tribunale di Salerno alle parti in causa, al pubblico ministero, alla Presidenza del Consiglio e ai Presidenti di Camera e Senato prima che venisse finalmente depositata a Roma nella cancelleria della Consulta hanno indotto il Sindacato Cronisti Romani a verificare se vi sia stato – oppure no – un miglioramento nella tempistica che intercorre tra la data di pubblicazione di un provvedimento giudiziario con cui viene contestata la legittimità costituzionale di una disposizione di legge e la data della sua pubblicazione sull’apposita Gazzetta Ufficiale.​
È un vecchio problema, purtroppo sottovalutato da politici e giuristi. Infatti, già trentaquattro anni fa, in prima pagina su “La Stampa” del 4 maggio 1985, si dette notizia che un’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli del 17 ottobre 1975 era giunta a Roma alla Corte Costituzionale il 7 dicembre 1984. Aveva, cioé, impiegato ben 9 anni e 2 mesi per coprire la distanza che separa il capoluogo campano dalla capitale, battendo così il precedente record negativo appartenente ad un’ordinanza del Tar della Toscana del 28 gennaio 1976 giunta all’Alta Corte 8 anni e 5 mesi dopo​.
Il Sindacato Cronisti Romani ha, quindi, riesaminato una ad una tutte le Gazzette Ufficiali – Parte 1ª Corte Costituzionale, pubblicate da un anno a questa parte ogni mercoledì dall’agosto 2018 ed é giunto alla conclusione che, paradossalmente, la situazione é, purtroppo peggiorata, nonostante il progresso tecnologico intervenuto nel frattempo (internet, Pec, processo telematico, ecc.) che consentirebbe di rispettare le prescrizioni di legge, se non in un solo giorno al massimo in una settimana.​ Pertanto, purtroppo, é rimasto irrisolto il problema della velocizzazione nell’inoltro a palazzo della Consulta delle ordinanze di presunta incostituzionalità di norme di legge da parte della magistratura civile, penale, militare, contabile, amministrativa, tributaria di ogni parte d’Italia con conseguente danno per i cittadini e per la certezza del diritto.
Ciò si riflette negativamente anche su un altro delicato tema, quello della ragionevole durata del processo, oggetto di due importanti precetti sovraordinati: l’art. 111, comma 2, della Costituzione, secondo cui la «La legge […] assicura la ragionevole durata [del processo]» e l’art. 6, par. 1, della Cedu (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali) in base al quale «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge».
Nel rendere noti i risultati dell’inchiesta, il Sindacato Cronisti Romani si augura di aprire un dibattito sull’argomento anche tra i giuristi e i politici e confida nel potere persuasivo di una corretta campagna di stampa al fine di risolvere una volta per tutte con saggezza e buon senso una questione che non può più essere procrastinata, in quanto impedisce assurdamente ai giudici della Consulta di prendere in carico incartamenti processuali importanti dove é in ballo la legittimità di norme di legge.
Poiché ci sembra giusto dare a Cesare quel che é di Cesare, va dato merito alla Consulta di essere oggi, senza possibilità di smentita, la Corte più efficiente del Paese, cioé quella con il minor arretrato di carte processuali in carico. Quaranta anni fa, subito dopo la celebre sentenza del 1° marzo – 2 agosto 1979 sullo scandalo Lockheed, la Corte si trovò, invece, a fronteggiare un arretrato enorme dovuto alla paralisi per alcuni anni della sua attività primaria e istituzionale, arretrato che fu smaltito via via nel tempo e azzerato nel 1990 durante la presidenza di Francesco Saja, anch’egli magistrato di carriera ed ex Avvocato generale della Cassazione.​

Giorgio Lattanzi

Il presidente Lattanzi, nella sua ultima relazione del 21 marzo 2019, ha voluto sottolineare che «i tempi di decisione relativi al contenzioso costituzionale risultano ragionevolmente brevi. Il dato fondamentale su cui conviene soffermarsi é quello del tempo che intercorre tra la pubblicazione dell’“atto di proponimento” e la trattazione della causa. Nel giudizio in via incidentale la media dei giorni trascorsi tra la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’ordinanza di rimessione e la data di trattazione in udienza pubblica o in camera di consiglio é stata di 389 giorni. Si tratta di un valore contenuto benché superiore a quelli registrati negli anni precedenti (362 del 2017 e 344 del 2016)».​ In pratica, alla Consulta viene in media discussa un’ordinanza di presunta incostituzionalità di norme di legge entro 13 mesi dal suo arrivo in cancelleria. Ed é un ottimo risultato.​
C’é, però, una grave falla nel sistema, falla che si trascina ormai da troppo tempo e che non figura mai nelle varie statistiche anche se di fatto incide negativamente sulla tempistica finale di un’eccezione di incostituzionalità. Si tratta dei cosiddetti “tempi morti” che intercorrono tra la data dell’ordinanza di presunta illegittimità e la sua pubblicazione sull’apposita Gazzetta Ufficiale. Per sgombrare il campo da possibili equivoci e/o fraintendimenti va precisato che di questi “tempi morti” la Consulta non é assolutamente responsabile perché essi sono addebitabili esclusivamente alle cancellerie giudiziarie e/o alle segreterie delle Commissioni tributarie, che, nonostante continui corsi di formazione e aggiornamenti professionali, hanno continuato ad ignorare precise prescrizioni di legge.

Il Palazzo della Consulta, sede della Corte costituzionale progettato dall’architetto Ferdinando Fuga (1732), in Piazza del Quirinale a Roma

In proposito l’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, contenente “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale” prevede testualmente che “l’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso”.
La stessa norma prevede che “la questione di legittimità costituzionale può essere sollevata, di ufficio, dall’autorità giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza contenente le indicazioni previste alle lettere a) e b) del primo comma e le disposizioni di cui al comma precedente. L’autorità giurisdizionale ordina che a cura della cancelleria l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, quando non se ne sia data lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in causa ed al pubblico ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri od al Presidente della Giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione. L’ordinanza viene comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento o al Presidente del Consiglio regionale interessato”.

Sergio Mattarella

Di fronte ad un termine così preciso, drastico e ultimativo “l’autorità giurisdizionale dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale” nessuno poteva, però, immaginare che dovessero passare in media tra l’agosto 2018 e il luglio 2019 quasi 6 mesi prima che un’ordinanza arrivasse alla Consulta, ledendo così i diritti dei cittadini perché l’Alta Corte ha la potestà di cancellare le leggi e/o di interpretarle in modo conforme alla Costituzione con le cosiddette sentenze interpretative di rigetto. Quando, poi, questo ritardo supera addirittura un anno, come si é verificato in più casi, la situazione diventa quasi surreale, per non dire grottesca, se si pensa, ad esempio, che 50 anni fa la missione Usa Apollo 11 ha impiegato 8 giorni – tra il 16 e il 24 luglio 1969 – per portare l’uomo sulla luna e ritornare sulla terra.
Il Sindacato Cronisti Romani intende segnalare i risultati dell’inchiesta e le gravi anomalie riscontrate al presidente della Corte, Giorgio Lattanzi, e allo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che per circa 3 anni e mezzo (dall’11 novembre 2011 al 2 febbraio 2015 quando fu eletto Presidente della Repubblica) ha ricoperto la carica di giudice costituzionale, al fine di risolvere al più presto un fenomeno negativo spesso sottovalutato che non consente ai 15 giudici costituzionali di esaminare un’ordinanza della magistratura finché non si completano tutti gli adempimenti previsti dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953. Ciò, infatti, impedisce ad un’ordinanza di essere registrata nella cancelleria della Consulta e anche di essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Insomma, per un’incuria sostanzialmente burocratica, queste ordinanze finiscono per lungo tempo come se non fossero mai esistite in una sorta di “limbo” o “terra di nessuno” senza che se ne sappia più nulla e soprattutto senza che la Corte Costituzionale possa decidere nulla.
Di fronte ad una palese violazione di legge, come questa, il presidente della Corte Costituzionale – anche a seguito di notizie riportate da giornali, radio, tv, internet e agenzie di stampa o su segnalazione di articoli che descrivessero l’inefficienza o comunque l’incuria di alcuni uffici giudiziari almeno su questioni come queste – dovrebbe, quindi, sollecitare il Ministro della Giustizia, il Consiglio Superiore della Magistratura, il Primo Presidente della Cassazione e il Procuratore Generale della Cassazione ad emanare al più presto una circolare a tutti gli uffici giudiziari affinché le cancellerie e le segreterie interessate sotto il controllo degli stessi giudici che abbiano sollevato eccezioni di incostituzionalità provvedano con precedenza assoluta al rigoroso rispetto dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, utilizzando per le notifiche anche la Pec per accelerare al massimo i tempi, come avviene da tempo nel processo telematico – sentenza Corte Costituzionale n. 75 del 2019 – avvertendo, però, espressamente che i trasgressori potranno essere passibili di procedimenti disciplinari. Ciò in quanto con le attuali tecnologie tutti questi adempimenti previsti dalla legge si potrebbero definire anche in un solo giorno.

Il “Palazzaccio” di Roma

Nell’inchiesta é, tra l’altro, emerso che vi siano cancellerie di tribunali e segreterie di commissioni tributarie che non sappiano neppure a chi vanno inviati gli atti oppure confondano addirittura la Corte Costituzionale che ha sede a Roma, in piazza del Quirinale 41, con la Corte Suprema di Cassazione che ha sede sempre a Roma, ma al “Palazzaccio” di piazza Cavour. E non sono neppure mancati rilievi e “tirate d’orecchie” da parte della Consulta, come emerge dalla recente ordinanza n. 140 del 6 giugno 2019, redatta dal giudice costituzionale Luca Antonini, in cui si sottolinea che “le questioni sollevate in conseguenza di un anomalo ritardo nella trasmissione dell’ordinanza di rimessione da parte della segreteria della Commissione rimettente giungono (dopo oltre quattro anni) allo scrutinio di questa Corte”. E vi é stato anche il caso emblematico di un’ordinanza (la n. 156 del 2018) inviata l’8 novembre 2017 dal Consiglio di Stato in sede consultiva che é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 44 del 7 novembre 2018. Ha impiegato, cioè, un anno per coprire la distanza di appena 1 Km e 800 metri che separa palazzo Spada in piazza Capo di Ferro 13 da palazzo della Consulta.

L’ex Tribunale di Rossano Calabro

La palma per l’ordinanza giunta alla Consulta con il maggiore ritardo spetta ad un provvedimento emesso in Calabria il 6 febbraio 2008 dal Giudice unico del tribunale di Rossano (poi inglobato nel tribunale di Castrovillari). Forse anche per effetto della fusione dei due tribunali sono stati addirittura necessari ben 11 anni e 4 mesi prima che l’ordinanza n. 93 del 2019, riguardante una causa tra le Poste e la Curia Achiropita e vertente sulla variazione del saggio di interesse sui Buoni postali fruttiferi, venisse pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 2019.
Al 2° posto figura con 10 anni e 2 mesi l’ordinanza del 1° aprile 2009 della Commissione tributaria provinciale di Genova in cui si discuteva della legittimità della costituzione in giudizio della società ricorrente.
Al 3° posto vi é l’ordinanza del 16 gennaio 2013 del Giudice unico del Tribunale di Napoli in una causa di lavoro che ha impiegato ben 5 anni e 10 mesi per arrivare a Roma. In discussione era proprio la mancata previsione dell’invito al resistente a costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza e dell’avvertimento che la costituzione oltre il predetto termine implica le decadenze dell’art. 416 del codice di procedura civile.

Il Tribunale di Napoli

La questione era stata ritenuta rilevante “posto che, non essendo stata resa edotta di quale fosse il termine ultimo entro il quale dover svolgere la propria attività difensiva, la parte resistente coinvolta nella risoluzione di gravi problemi personali di cui v’é prova agli atti di causa,  non si è tempestivamente rivolta ad un legale, decadendo dal diritto di articolare una compiuta ed adeguata difesa in fatto ed in diritto”. Ciò costituiva una mutilazione del diritto di difesa spettante a ciascun cittadino coinvolto in una causa di lavoro il quale deve essere reso edotto, al pari di quanto previsto nel rito ordinario, di quale sia il termine ultimo entro il quale poter svolgere le proprie difese. Nonostante queste interessanti premesse le carte sono arrivate alla Consulta dopo più di 2 mila giorni. Con ordinanza n. 92 del 17 aprile 2019 la Corte ha, comunque, respinto tutte le eccezioni ritenendole inammissibili.
Al 4° posto con un ritardo di 4 anni e 8 mesi l’ordinanza del 29 settembre 2014 della Commissione tributaria regionale per la Toscana sul ricorso proposto da una società contro l’Agenzia delle Entrate riguardante la violazione Iva sulle esportazioni.
Al 5° posto. con un ritardo di 4 anni e 7 mesi. l’ordinanza del 13 gennaio 2014 della Commissione tributaria regionale per la Lombardia sezione distaccata di Brescia sul ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate riguardante l’Ires, imposta sul reddito delle società. La Consulta ha respinto tali eccezioni ritenendole manifestamente inammissibili, con ordinanza n. 140 del 6 giugno 2019, perché erano state già accolte dall’Alta Corte oltre 4 anni fa con la sentenza n. 10 dell’11 febbraio 2015. Nella motivazione la Corte Costituzionale ha voluto sottolineare “l’anomalo ritardo di oltre 4 anni” con cui l’ordinanza era giunta da Brescia ed ha poi precisato che il rimborso Ires spetta, comunque, solo per il periodo successivo al 12 febbraio 2015 per effetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 32716 del 18 dicembre 2018.
Al 6° posto, con un ritardo di 4 anni e 2 mesi, l’ordinanza del 4 dicembre 2014 della Commissione tributaria provinciale di Trento su un ricorso contro l’Agenzia delle entrate e riguardante le detrazioni per le erogazioni in denaro effettuate in favore di partiti politici. Tutte le eccezioni sono state respinte dall’Alta Corte con ordinanza n. 182 del 6 giugno- 16 luglio 2019, che le ha ritenute inammissibili.

Il Tribunale di Vicenza

Al 7° posto, con un ritardo di 2 anni e 7 mesi, l’ordinanza del 18 febbraio 2016 del Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Vicenza sull’istanza promossa in un procedimento civile riguardante le spese per gli ausiliari di un magistrato e in particolare i compensi dell’esperto o dello stimatore. La Consulta ha respinto tali eccezioni ritenendole in parte inammissibili e in parte infondate con sentenza n. 90 del 17 aprile 2019.
All’8° posto, con un ritardo di 2 anni, l’ordinanza del 22 giugno 2017 della Corte d’appello di Torino su un provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio.
Al 9° posto, con un ritardo di 2 anni, l’ordinanza del 2 settembre 2016 della Commissione tributaria provinciale di Messina sul ricorso riguardante le spese di giustizia e il contributo unificato. La Consulta ha, comunque, respinto tali eccezioni ritenendole in parte inammissibili e in parte infondate con sentenza n. 67 del 3 aprile 2019.
Al 10° posto, infine, con un ritardo di 2 anni l’ordinanza del 27 febbraio 2017 della Commissione tributaria provinciale di Napoli, su un ricorso contro la Regione Campania e in particolare contro l’obbligo del pagamento della tassa automobilistica regionale, nonostante il fermo del veicolo disposto dall’agente della riscossione. (giornalistitalia.it)

 

 

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