TARANTO – Bene il primo passo, la giornata di diffusione straordinaria del 29 dicembre (venduto il triplo delle copie diffuse nel giorno medio). Adesso va preparato in tempi brevi in numero speciale da vendere a 10 euro, nelle edicole e con strillonaggio, con un ampio inserto contenente articoli, racconti, testimonianze di scrittori, saggisti, artisti di Puglia e Basilicata. Un’altra boccata di ossigeno per pagare stipendi e fornitori, ma anche e soprattutto un’altra testimonianza della vicinanza di pugliesi e lucani al loro giornale.
La crisi della Gazzetta, giova ricordarlo, viene da lontano. Viene dalle scellerate privatizzazioni: a partire da quella della gestione, frettolosamente varata nei giorni convulsi del rapimento ed assassinio di Aldo Moro, che portò alla cacciata di un direttore mitico e rispettato come Oronzo Valentini ed all’ascesa al “potere” in amministrazione di un ex poligrafico, sindacalista rinnegato della Cgil (una specie di Moretti delle Ferrovie in anticipo di decenni…), che nutriva comunque per i giornalisti un feroce odio di classe.
L’Edisud – così si chiamava la società di gestione – nacque male e visse peggio, specie quando si fuse per incorporazione con una società finanziaria di uno dei supi azionisti, in grave perdita per speculazioni sballate: società che non solo incorporò l’Edisud, e quindi la gestione della Gazzetta, ma ne assunse il nome.
Da allora i floridi bilanci – perché la gestione del giornale era ancora attiva – diventarono passivi, ed incominciò l’impoverimento del prodotto giornale. Insieme con l’aggravamento dell’aggressione ai diritti ed alle retribuzioni dei giornalisti. Ma quella fatale fu la privatizzazione proprietaria, che portò una malassortita cordata a rilevare dal Banco di Napoli (nonostante l’opposizione di tutta la redazione e del Comitato di redazione, la rappresentanza sindacale giornalistica) le quote azionarie della Mediterranea, la società proprietaria della testata.
Di stato in crisi in stato di crisi, la Gazzetta ridusse l’ampiezza del corpo giornalistico, si privò dei giornalisti più anziani ed esperti (e costosi) con prepensionamenti ai quali non facevano riscontro nuove assunzioni se non in numero esiguo, e dopo feroci lotte sindacali.
Il colmo dell’autolesionismo fu la chiusura della Redazione romana, i cui costi (a parte gli stipendi, che rimasero perché i giornalisti furono deportati in Puglia, tranne una sola collega, su un totale di 5, che pur di rimanere a Roma accettò di perdere l’art. 1 per passare a collaboratrice fissa, con decurtazione salariale) erano tutti a carico del ministero delle Comunicazioni.
I cospicui risparmi ottenuti con in prepensionamenti non furono mai reinvestiti nella professionalità giornalistica, anzi, negli ultimi anni, i collaboratori “a pezzo” si son visti decurtare i già bassi compensi, con ritardi di sei mesi e più nei pagamenti…
Ora una vicenda giudiziaria che si è abbattuta sull’azionista di maggioranza della Gazzetta, e proprietario de La Sicilia di Catania, ha messo in crisi i due giornali, peraltro estranei come corpi redazionali alle imputazioni (e ricordiamo magari anche che finora per l’editore Mario Ciancio non c’è nessuna condanna, neanche in primo grado…).
A gestire i due quotidiani sono due differenti amministratori giudiziari: che, però, trattano le due aziende come se fossero aziende manifatturiere, come se cioè non producessero informazione, ma beni di consumo. E quindi sono tutte e due – la Gazzetta, che doveva essere ricapitalizzata, ancor di più – nei guai.
Una parte del mondo politico pugliese si è mossa: ed era doveroso che lo facesse. Dal mondo imprenditoriale, che pure dovrebbe essere interessato a tenere in vita, e magari rilanciare, una voce quotidiana locale che ha sempre dato spazio e risalto alle ragioni del Sud, non pare che giungano invece segnali.
Cercasi editore, disperatamente: ma non un prestanome o un rottamatore che si sbarazzi della redazione per gestire la testata con pochi collaborazionisti e magari con un service. Un editore vero. Perché la Gazzetta, forte di 130 anni di storia e di un invidiabile radicamento territoriale, con una rete di corrispondenti estesa su tutto il territorio pugliese e lucano, e forte di una redazione che, con una consistenza numerica ridotta rispetto agli anni migliori, ma proprio per questo molto meno costosa, è di grande valore, è un affare per chiunque voglia fare editoria sul serio, e di qualità. Senza rimetterci, beninteso, ma anche e soprattutto senza sacrificare e mortificare le professionalità. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino
prepensionato, già componente del CdR
della Gazzetta del Mezzogiorno dal 1989 al 2012